La rappresentazione della Virgo Lactis (o Maria lactans), cioè della Madonna che allatta, è una delle più antiche dell’arte sacra cristiana e risale ai primi secoli (alcune raffigurazioni sono state rinvenute nelle catacombe romane, forse con richiami all’antica iconografia egizia della dea Iside in trono che allatta Horus).
Una delle prime testimonianze iconiche del culto mariano, d’altra parte, sarebbero alcune statuette votive rinvenute nella località di Abu Mena, a sud di Alessandria d’Egitto, risalenti al IV o V secolo d.C., che rappresentano Maria con il seno prominente e il ventre gonfio, a testimonianza del fatto che le donne in gravidanza hanno sempre visto nella Madonna la protettrice del parto e della fertilità. In tal senso, il culto mariano si inseriva perfettamente in quel panorama di divinità femminili, legate alla sfera della riproduzione e della fertilità, le cui origini si perdono nelle profondità dei tempi.
Probabilmente la predilezione per il tema iconografico della Galaktotrophousa aveva implicazioni teologiche, in un contesto segnato dalla necessità di stabilire un’ortodossia dogmatica, in contrapposizione a varie derive eretiche sorte intorno al difficile problema di conciliare la natura umana e quella divina di Cristo e dare un fondamento al mistero primo del Cristianesimo, cioè l’Incarnazione, il farsi uomo di Dio. In particolare, l’indirizzo dottrinale emerso dal Concilio di Efeso (431 d.C.) ribadiva la doppia natura di Cristo – vero uomo e vero Dio – opponendosi al Nestorianesimo, che invece la negava.
Connessa alla disputa cristologica, durante il Concilio era stata altresì dibattuta quella legata all'appellativo Theotokos (Madre di Dio) relativo alla Madonna: i nestoriani affermavano infatti che Maria fosse solamente Christotokos, Madre di Gesù-Uomo e non Madre di Dio. Il dogma affermato dal Concilio di Efeso ribadiva l'unione di due nature in Cristo, la quale si è compiuta in modo perfetto nel seno di Maria grazie allo Spirito Santo, con la precisazione che la divinità del Verbo non ha avuto inizio nel corpo di Maria, ma ha preso da lei la natura umana. In seguito la Chiesa dovrà opporsi a un’altra eresia, il monofisismo, che invece affermava la sola natura divina del Cristo. Rappresentare quest’ultimo mentre viene allattato dalla Madonna, pertanto, era un modo per ribadire e soprattutto diffondere il mistero dell’Incarnazione nel rispetto dei dogmi dottrinali ufficiali. L’esposizione del seno della Vergine sottolineava i tratti umani di Gesù Bambino, che veniva così rappresentato nel suo terreno bisogno di nutrirsi. D’altra parte, proprio questo insistere sulla realtà terrena del Figlio di Dio è stata la cifra più caratteristica della nuova religione, quella che doveva decretarne il repentino successo.
La parte della vita di Cristo ignorata dai Vangeli ufficiali veniva invece vivacemente trattata da quelli Apocrifi, i quali insistono sulla dimensione familiare di Gesù, sulla sua infanzia, sul rapporto con i genitori, temi universalmente cari alla sensibilità e vicini alla quotidiana esperienza delle persone. Il Cristo era stato un bimbo come gli altri, pur dotato di poteri speciali, e come gli altri doveva essere stato preso in braccio, cullato, allattato dalla madre. E quella madre doveva essere percepita come emblema, peraltro portato a livello paradigmatico, della maternità in sé. Ed è in tale contesto teologico che si situa l’immagine della Madonna allattante, segno e conferma della vera fisicità del Cristo. In modo deciso dunque la Chiesa delinea l’unione del divino e dell’umano in Gesù, e nel farlo ricorre alla prova inconfutabile di una Madre che nutre il suo Bambino.
Dopo apparizioni sporadiche a nel primo millennio del Cristianesimo (anche se potrebbero essere state più numerose e andate perdute nel tempo), questa iconografia prese piede e si diffuse a partire dal XII secolo e assumerà dimensioni rilevanti in tutta Europa. I francescani, particolarmente attenti a sottolineare la dimensione umana del Cristo, sono tra i committenti più assidui del tema, che compare sia a Greccio, nella Natività, sia ad Assisi, in San Rufino e in Santa Chiara, ma anche i domenicani, con motivazioni teologiche differenti, sostennero la diffusione del tipo di Maria lactans. Come già nei primi secoli dell’era cristiana la Madonna del latte aveva avuto un ruolo nelle dispute teologiche, così nel XIII secolo la sua immagine viene impugnata nella lotta contro l’eresia catara, che sosteneva l’intrinseca negatività della carne, della materia, e rifiutava quindi l’idea di un dio fattosi uomo.
Nel Trecento e nel Quattrocento la rappresentazione della Virgo Lactis è presente in quasi ogni chiesa, a sottolineare anche l’aspetto devozionale popolare che rivestiva un tale culto, quando il parto e il nutrimento, e perciò la sopravvivenza, dei neonati erano affidati alla buona sorte e all’aiuto del cielo. Si può notare come le rappresentazioni più antiche, in stile bizantino o gotico, siano più rigide, stilizzate e simboliche, mentre quelle realizzate nel periodo rinascimentale e successivo siano molto più realistiche, dotate di maggiore libertà compositiva e di più attenzione alla realtà fisica e umana dei protagonisti.
Tra i grandi artisti che si cimentarono con il tema ricordiamo Ambrogio Lorenzetti, Nino Pisano, Lippo Memmi, per il Trecento. Per il Quattrocento citiamo Masolino da Panicale, Leonardo e allievi, Bergognone, Sandro Botticelli e per il Cinquecento Andra Solaris, Correggio, Giampietrino. Anche all’estero pittori e scultori scelsero la Vergine nutrice per le loro creazioni; tra i tanti citiamo i fiamminghi van Cleve, Gossaert, Van Orley, Thiery Bouts il Vecchio, il Maestro di Flémalle, van der Weyden, van Eyck, senza dimenticare il tedesco Dürer e il francese Fouquet.
Anche in periodo barocco, nonostante le restrizioni imposte dal Concilio di Trento per disciplinare le rappresentazioni sacre che dovevano essere eseguite secondo decoro e rigore religiosi, l’iconografia della Madonna Lactans restò in auge. In Lombardia, invece, la rappresentazione di questo soggetto così tenero e popolare fu abbandonata quasi del tutto, perché giudicata sconveniente. Si mise mano addirittura alle raffigurazioni esistenti, provvedendo a correggere, rivestire o censurare del tutto quelle rappresentazioni di allattamento materno giudicate troppo indecorose. Scriveva il cardinale Federico Borromeo nel capitolo della sua opera De pictura sacra (1624) dedicato al nudo: “Appare ancora la sconvenienza di quelli che effigiano il divino Infante poppante in modo da mostrare denudati il seno e la gola della Beata Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che con molta cautela e modestia”.
Del Seicento, ricordiamo le rappresentazioni di El Greco e di Zurbaran.
E’ nel Settecento che si verifica il definitivo oblio figurativo del tema, probabilmente favorito dai retaggi postconciliari, dall’iconoclastia che aveva interessato i paesi riformati, dal clima di sempre maggiore distanza emotiva tra i fedeli e la divinità, dal razionalismo illuminista come dalla rigidità moralistica del clero.
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