martedì 24 dicembre 2019

Corpi da indossare. La figura della donna nelle fotografie di Helmut Newton

Helmuth Newton, Sie kommen, 1981.

Helmut Newton ha costruito la sua carriera come fotografo di moda, ma le sue immagini durano nel tempo ben oltre ogni moda che hanno illustrato. Le sue fotografie, infatti, hanno già dagli anni Settanta valicato il confine delle riviste di settore per trovare posto all’interno di libri fotografici, gallerie ed esposizioni museali (sulla permeabilità tra fotografia artistica e moda cfr. il saggio di Claudio Marra https://zmj.unibo.it/article/view/9460/9502).
Molta parte della sua produzione si fonda sulla dialettica corpo vestito – corpo nudo, e questo potrebbe apparire paradossale, visto che materia prima della moda sono gli indumenti, mentre il nudo è dato dalla loro assenza. Il rapporto tra moda e nudo, tuttavia, parte da lontano, almeno dagli anni Trenta, quando la nudità filtrata dall’occhio del fotografo di moda rappresentava il soggetto da cui partire. Negli anni Sessanta, in alcune riviste come Vogue ed Harper’s Bazaar, il nudo è definitivamente sdoganato; tale fotografia condivide con quella artistica l’interesse verso un corpo che incarna i canoni estetici dell’epoca. Nella produzione di Newton, a partire dalla metà degli anni Settanta, è possibile ammirare una  nudità sempre più esplicita e audace. La critica considera, generalmente, la figura femminile che emerge dalle sue fotografie non più come quella della donna remissiva e sottomessa all’uomo o del manichino da rivestire, ma come amazzone e dominatrice, provocatrice e conscia del suo potenziale di sensualità e seduzione.

Helmuth Newton, Saddle I, 1976.

E’ innegabile che l’universo iconografico creato da Newton abbia contribuito in qualche modo alla progressiva liberalizzazione dei costumi, spostando i limiti della tolleranza, cambiando la percezione di ciò che è permesso e di ciò che è proibito. L’immagine del corpo della donna ne esce rivoluzionata anche nei canoni estetici. Prima di allora, infatti, la figura femminile era convenzionalmente resa con forme morbide e prosperose mentre la muscolatura marcata era lasciata all’iconografia esclusivamente maschile. Le modelle di Newton, al contrario, presentano un corpo scultoreo, tonico, alto e magro, quasi androgino, dove l’elemento di femminilità e di maggiore seduzione è riservato a qualche accessorio, come le scarpe con il tacco a spillo.
Quello di Newton è un erotismo patinato, lussuoso, con tratti saffici e sado-masochistici, spesso ambientato in grandi alberghi, piscine, ma anche stradine urbane, garage e scarni interni domestici.


Helmut Newton, Two pairs of legs in black stockings, Paris 1979

Le scene sono costruite in modo da esaltarne l’impostazione voyeuristica; è la donna la protagonista dell’immagine, una donna dall’assoluta padronanza scenica, sicura di sé e carica di energia, mentre, quando presente, il ruolo del maschio è quasi sempre marginale, relegato in secondo piano. E, tuttavia, è lo sguardo maschile il vero metteur en scene e il destinatario di quella dialettica tra coprire e scoprire, vestire e spogliare, che è l’essenza dell’erotismo costruito da Newton intorno al corpo femminile. La donna, anche quando famosa, non è mai ritratta, ma è più che altro messa in scena all'interno di una fantasia di perversione tipicamente maschile.
Come scrive Hans-Michael Koetzle in Photo icons, “per Newton la moda era solo un pretesto”, perché “la moda non è altro che un eterno gioco tra mostrare e nascondere, l’essenza della sensualità”. Tale dialettica esplode nel dittico intitolato Sie Kommen! (in italiano Eccole!, pare con riferimento all'esclamazione dei soldati tedeschi che, nei bunker della Normandia, vedevano apparire le navi nemiche), in cui compaiono quattro modelle che avanzano camminando come valchirie, riprese prima vestite e poi nude.

Helmuth Newton, Sie kommen, 1981.

Questo, insieme ad altri dittici simili, fu pubblicato per la prima volta nel novembre 1981, in doppia pagina, su Vogue Francia, con il titolo Beauté – Silhouette 82. Andranno poi a far parte del libro Big Nudes, dove la disposizione delle immagini verrà invertita e il gruppo di donne nude questa volta comparirà a destra nell’impaginazione, la posizione di maggiore impatto. Il pensiero, come è naturale, va subito alla Maja vestida e a quella desnuda che Goya dipinse all'inizio del XIX secolo.
Nella prima immagine del dittico compaiono quattro donne statuarie ed elegantemente vestite, che camminano a testa alta e sembrano venirci incontro. Nella seconda, troviamo lo stesso quartetto, nella medesima posizione, ma questa volta le modelle non indossano altro che le scarpe. L'effetto è sorprendente. L’inquadratura frontale, leggermente abbassata, lo sfondo neutro e la luce laterale scolpiscono il volume dei corpi, evidenziando le forme perfette, quasi bioniche. E tuttavia l’immagine non provoca alcuna emozione. Tutto è come irrigidito dalla glaciale indifferenza degli sguardi, i corpi sono congelati nel loro movimento, collocati in un ambiente algido e asettico che conferisce loro una dimensione atemporale. La nudità non rivela la verità del corpo, ma appare come un accessorio indossato con la stessa artificiosità con cui sono indossati i vestiti eleganti e ricercati. I corpi, infatti, non sono del tutto nudi davanti a noi. I peli pubici sono stati tagliati e ordinati, acconciatura e trucco mascherano il volto, le scarpe con il tacco alto modificano la postura: ciò che abbiamo dinanzi è una natura completamente controllata e resa artificiale. In entrambi i casi, ciò che viene esposto sono delle maschere dietro le quali non si intuisce altro. È questo a rendere Newton un grande anticipatore della nuova estetica, compiacente di esibire la propria esteriorità carnale e postnaturale, provocante e sensuale, a discapito dell’interiorità. Come scrive Claudio Marra nel saggio citato, “quella dei Big Nudes è una grandiosa celebrazione del corpo, un corpo enfatizzato, ingigantito, monumentalizzato, levigato e impeccabile, il nuovo culto degli anni Ottanta che Newton intuisce essere la prima e più autorevole forma di abito e di comunicazione sociale”.

Autoritratto con moglie e modella, 1981

Altro elemento che permea il lavoro di questo fotografo è la componente voyeuristica, spesso modulata in senso metafotografico, come nel celebre Autoritratto con moglie e modella del 1981, in cui appare riflesso nello specchio mentre scatta alle spalle di una modella nuda, sotto lo sguardo della moglie June, seduta a lato. Qui è lo specchio che dilata lo spazio, rivelando ciò che accade fuori campo e cioè l’autore e lo stesso atto di produzione dell’immagine. In primo piano è esposta la parte posteriore del corpo nudo mentre lo specchio ci rivela quella anteriore, ricomponendo l’oggetto del desiderio e dello sguardo, sebbene sdoppiato in due. Nello specchio, oltre alla protagonista che rivolge lo sguardo verso un punto esterno al campo, vediamo anche spuntare da sinistra un paio di gambe femminili affusolate che indossano delle decolté nere con il tacco a spillo. Come ne Las Meninas di Velasquez (pittore citato spesso da Newton), oltre all’autore e alla modella, completa il quadro la presenza dello spettatore, cioè la moglie di Newton, che osserva attentamente la scena, anche se, nell’immagine, il suo sguardo sembra indirizzarsi verso di noi, spettatori di secondo grado. Da una parte la donna bella e giovane, in posa per essere protagonista della scena, dall’altra la donna non più giovane, seduta al margine, in una posizione non proprio elegante ma con l’espressione di chi è abituata a usare il pensiero e l’intelligenza.

Newton, Woman being filmed, French Vogue, Paris 1980, Givenchy Dress

Le critiche dei movimenti femministi degli anni Settanta e Ottanta saranno aspre contro la rappresentazione dell’universo femminile elaborata da Newton, accusata di ridurre la donna a un oggetto erotico; Newton dichiarerà, invece, che il suo intento era quello di trasmettere fotograficamente l’immagine di una donna contemporanea emancipata, forte, autoritaria, dominante anche nella sfera sessuale. Se compariamo le donne monumentali di Newton con i coevi Boys di Bruce Weber, che invece evidenziano una perdita di quella virilità richiesta dallo stereotipo maschile, diventa chiaro il disfacimento in atto delle identità sessuali consolidate dalla tradizione.
Come concludere? Helmut Newton, con il suo erotismo aristocratico ed elegante quanto cinico e crudele, ha umiliato il corpo femminile oppure ha celebrato paradossalmente la sua rivincita? Probabilmente è stato in grado di dosare entrambe le istanze, tenendosi in equilibrio su una rischiosa ma vincente contraddizione.

Helmut Newton, Study on voyeurism, Los Angeles, 1989

Di sicuro la donna di Helmut appare più consapevole di far parte di un gioco di potere e sottomissione, di seduzione e desiderio e di interpretare comunque l’oggetto delle fantasie maschili. Stivali e fruste, selle e speroni, manette e tacchi alti fanno parte di un corredo simbolico atto a costruire un complesso sistema di segni visivi modellato prima di tutto intorno all’immaginario maschile. La differenza, semmai, è che qui la donna appare non come messa in vendita dall’uomo, ma protagonista della propria commercializzazione. La sua indipendenza, il suo carattere, la sua personalità la rendono padrona del proprio corpo e della propria sensualità. L’erotismo e la trasgressione che propone continuano a far ricorso ai tradizionali stereotipi fatti di tacchi a spillo, corsetti, giarrettiere e pose provocanti, ma stavolta è lei che se ne appropria e li rende disponibili secondo la propria volontà.

Helmut Newton, Velasquez-in-my-apartment,1981







HELMUT NEWTON, Elsa Peretti in a Bunny costume by Halston, New York, 1975.

Helmut Newton, 2003.

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