venerdì 27 dicembre 2019

Robert Mapplethorpe. Trasgressione e classicità

Robert Mapplethorpe, Derrick Cross, 1985

“L’eros domina il mondo e le fotografie di Robert Mapplethorpe ne glorificano la potenza e la moltiplicazione; solo non lo identificano nel predominio di un unico e univoco sesso, maschile o femminile, ma lo esaltano per la pluralità delle sue espressioni, per il suo muoversi irregolare e diverso, per il disordine che esso crea nell’identità degli individui”.
Così si apre il capitolo che Germano Celant dedica a Mapplethorpe nel suo libro Fotografia maledetta e non e che cerca di mettere in luce come l’opera del fotografo americano, plasmata intorno allo studio del corpo nudo,  si caratterizzi proprio per l’ equilibrio che riesce ad ottenere tra l’espressione di una potente e inarrestabile pulsione erotica da una parte e il rigore e l’armonia di una forma estetica attinti alla scultura classica e rinascimentale dall’altra. Mapplethorpe celebra il corpo umano, l’energia sessuale che lo anima, ma contenendolo nei contorni di linee e volumi ben definiti. Nelle immagini, i modelli cessano di essere individui e si trasformano in statue. Lo stesso artista, d’altra parte, ipotizzava che, se fosse nato in un'epoca precedente, avrebbe potuto essere uno scultore piuttosto che un fotografo. Nella sua produzione, egli tende a sottolineare la potente presenza fisica e le proporzioni perfette dei suoi modelli con un'attenzione ossessiva ai dettagli, alla precisione delle loro pose statuarie, alla raffinatezza tecnica dell'illuminazione. Nella fotografia di Mapplethorpe sono presenti una certa tattilità e un’illusione di fisicità che la rendono scultorea, come se si potesse allungare il braccio e muovere la mano sui corpi ritratti. Anzi, dirà l’artista che la fotografia è solo il modo perfetto di fare una scultura.



Il canone di figurazione è quello classico, ma i contenuti sovvertono ogni tradizionale rappresentazione del corpo, fondata sulle consuete distinzioni di genere, razza e sessualità, pervertendo i valori e l’estetica del classicismo scultoreo. Egli presta tutta la sua attenzione all'ordine, alla proporzione, all'equilibrio e all'armonia. La chiara padronanza degli aspetti formali della sua arte, la meticolosa composizione, inquadratura e illuminazione dei soggetti, conferiscono alle sue fotografie una già citata tattilità scultorea. I soggetti fotografici sono ritratti con un'eleganza e una simmetria che evocano le idealizzazioni greco-romane della forma perfetta. Eppure Mapplethorpe prende intenzionalmente in prestito lo stile classico non per valorizzare ulteriormente gli ideali dell'antichità occidentale ma per profanarli, presentando un suo ideale in cui il corpo nudo maschile diventa il protagonista di un immaginario provocatorio, con scene di omoerotismo e sadomasochismo, sdoganando, in questo modo e su vasta scala, l’erotismo gay.

Robert Mapplethorpe, Brian Ridley e Lyle Heeter, 1979
Robert Mapplethorpe, Phillip, 1979..

Come scrive ancora Celant, Mapplethorpe cerca sempre, consciamente o inconsciamente, di ricucire la dicotomia tra gli opposti, tra disordine e ordine come tra maschile e femminile, per arrivare alla rappresentazione di una “sessualità allargata”. Da una parte, viene favorito il godimento di qualcosa che la tradizione aveva proibito e rimosso, dall’altra il tutto viene compiuto attraverso una modalità estetica che esalta armonia ed equilibrio, due valori che rassicurano e stemperano la portata radicale e trasgressiva del contenuto del messaggio. Le fotografie di Mappelthorpe attuano un certo rovesciamento di valori, dando spazio a quanto considerato proibito ed osceno, attraverso la simmetria e l’idealità delle forme classiche, michelangiolesche e neoclassiche.

 


Il fotografo predilige i corpi che emanano una potenza vitale e prometeica, prototipo dei quali è quello del bodybuilder e del danzatore. Riprende, perciò, personaggi come Arnold Schwarzenegger, Lisa Lyon o Lydia Cheng e ballerini come Bill T. Jones e Lucinda Childs, i cui corpi mostrano una compiuta perfezione delle forme, anche quando l’inquadratura li riprende in modo parziale, indugiando solo su una parte. “Si accende così una vertigine sensuale che attinge al piacere della carne, maschile e femminile, nera e bianca. Il risultato è l’offerta di un corpo purificato da ogni scoria, sessuale e razziale, moralistica e ideologica” (Ibidem).

Robert Mapplethorpe, Lisa Lyon, 1982.
Se a un primo sguardo le sue immagini appaiono un tripudio di armonia, a guardarle meglio si scopre che si tratta di accostamenti di molteplici contraddizioni, come quelle che caratterizzano il ritratto del 1982 fatto a Lisa Lyon dove, a una testa elegantemente coperta da un cappello nero con fiori finti e veletta che ricade sul volto di profilo, corrisponde un busto avvolto da un sensuale bustino e un braccio piegato nella mossa del bodybuilder che mostra il bicipite rigonfio. Così, non solo Mapplethorpe ridefinisce i confini dell’immagine maschile, promuovendo un uomo che può essere sia forte che sensuale e gay, ma contribuisce a rivoluzionare anche l’immagine della donna, come fa, ad esempio, con la poetessa del rock Patty Smith, che il fotografo ritrae parecchie volte sottolineandone l’aspetto androgino (come nel ritratto che costituirà la copertina del primo album della cantante, Horses).


Nel 1986 pubblica The Black Book, che contiene fotografie di uomini dalla pelle nera, considerata da Mapplethorpe il colore ideale per estrarre il meglio della forma. I corpi sono spesso frammentati, mostrando parti come un busto, un braccio, glutei e cosce. A questo proposito, il fotografo dichiara di concentrarsi sulla parte che considera la più perfetta in quel particolare modello. E qui viene in mente come la rappresentazione del corpo ideale della classicità consistesse nel mettere insieme le parti migliori prese da modelli diversi. I corpi maschili neri, nelle pagine del libro di Mapplethorpe, sono messi in posa e illuminati come statue, spogliati nudi e privati di qualsiasi identità al di fuori della loro forma, ridotti a oggetti d'arte passivi e decorativi. Per questo l’artista viene accusato di feticizzare i suoi soggetti, raffigurando uomini afroamericani come individui anonimi e completamente sessualizzati, reiterando antichi stereotipi visuali riconducibili all’epoca dello schiavismo, come è evidente in una delle sue più famose e controverse fotografie, Man in Polyester Suit, che esotizza ed erotizza palesemente la mascolinità nera, costringendoci a confrontarci con le nostre fantasie e paure in relazione al fallo nero.

 

Robert Mapplethorpe, Man in Polyester Suit, 1980.

Per quanto esteticamente perfette e sublimate, le fotografie di Mapplethorpe non riescono ad uscire fuori dall’oggettivazione stereotipata del corpo nero in quanto strumento sessuale. Guardando le immagini in cui compaiono il pornoattore Thomas Williams con le modelle Dovanna Pagowski e Tara Shannon, vediamo come il corpo nudo e iper-sessualizzato dell'uomo nero, che emana una forza primitiva e selvaggia, appaia come un ‘altro’ che è sia oggetto di fascino che di orrore, reiterando fantasie coloniali, riproducendo dualismi razziali e dinamiche di potere.

Robert Mapplethorpe, Tara Shannon e Thomas Williams, 1986.
Robert Mapplethorpe, Thomas And Dovanna_1986.

Tuttavia, è anche vero che Mapplethorpe riduce più o meno tutti i corpi, anche quelli bianchi, a oggetti estetici privi di identità, feticisticamente illuminati e messi in mostra. Quando il suo obiettivo non esegue ritratti, ma si concentra sul corpo, questo viene privato di ogni soggettività  e rappresentato come pura forma di armonia e bellezza. E’, altresì, corretto aggiungere che Mapplethorpe, con le immagini del suo Black Book, sovverte quel canone che aveva sempre escluso la pelle scura dall’estetica e dalla rappresentazione classica, andando a focalizzarsi proprio sulla perfezione dei corpi scultorei di modelli afroamericani. E’ stata l’ambiguità di fondo della sua fotografia, contraddittoria abbastanza da suscitare polemiche e clamore, ma anche decise prese di posizione sia pro che contro, a decretarne il successo.

Robert Mapplethorpe, Ken, Lidia e Tyler, 1984.

Nel suo Autoritratto del 1988, Mapplethorpe è seduto di fronte a noi, con in mano un bastone dall’impugnatura a teschio. Siccome è vestito di nero, vediamo la sua testa fluttuare libera, leggermente sfocata e circondata dall'oscurità. Robert Mapplethorpe è quasi alla fine dei suoi giorni; l’anno successivo morirà di AIDS. La materialità plastica e possente del corpo lascia il posto a una dissolvenza che preannuncia l’uscita di scena dell’attore. Resta l’opera, oggi disseminata nelle collezioni dei principali musei di tutto il mondo.

Robert Mapplethorpe, Autoritratto, 1988.

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