sabato 7 dicembre 2019

Se l'arte vuole essere effimera (Riflessione a margine di una banana attaccata al muro)

Daniel Spoerri, Tableau-piège

Si sa che Leonardo fosse un artista geniale, ma poco pratico nella tecnica degli affreschi. La sua fissazione ad usare l’antico procedimento ad encausto, infatti, determinò la cattiva riuscita de La battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio, che dopo qualche anno venne ricoperta dal Vasari, mentre il Cenacolo è stato recuperato da un lungo e laborioso restauro, pur mostrando comunque un importante stato di deperimento. Ma tali esiti non erano certo nelle intenzioni del genio vinciano, che anzi subì alquanto la frustrazione per questi insuccessi.
La questione riguardo alla durabilità delle opere non sembra, invece, appartenere alle preoccupazioni degli artisti del nostro tempo. Si ritiene che entro pochi decenni, un’altissima percentuale di opere d’arte contemporanea sarà perduta. I materiali usati, infatti, non sono più il marmo, il bronzo o i pigmenti ad olio e la tela, ma sono materiali poco stabili, benché alcuni di recente invenzione, alterabili e deperibili, soggetti a reazioni chimiche difficilmente controllabili: carte industriali, colori acrilici, colle e resine, varietà di plastiche, materiali naturali, fragili e friabili. L’arte contemporanea si presenta come la più fragile, la più effimera, la più “impermanente” di tutte le arti dei secoli precedenti e, per questo, sembra volersi esaurire nel presente e negare il futuro. E’ dunque possibile che tra qualche secolo, gli abitanti del pianeta potranno ancora ammirare le sculture degli antichi greci e gli affreschi della Sistina, mentre le opere di Spoerri, Beuys, Kounellis, Pistoletto saranno già da tempo perdute per sempre.

Maurizio Cattelan, Comedian.

Secondo gli esperti in materia di conservazione e restauro, ciò è imputabile al fatto che l’artista moderno ignora la composizione chimica e le reazioni a lungo termine dei materiali che usa, che sono per lo più quelli che trova in commercio, come le vernici industriali, o materiali di recupero, quelli che nella vita quotidiana siamo abituati a gettare via. E così gli acrilici si screpolano, i polimeri si alterano, i video non sono più leggibili, i pezzi di ricambio delle sculture sono introvabili, le installazioni, una volta smontate, diventano dei puzzle difficili da ricomporre.
Ma non è solo un problema di materiali adoperati. Tradizionalmente l’opera d’arte era vista come un connubio stabile di materia e idea. Questo legame, che sembrava indissolubile, è stato invece rotto dall’arte dell’ultimo secolo, in cui è soprattutto l’idea a occupare un posto di preminenza. L’arte contemporanea è dominata da poetiche incentrate sull’idea dell’“effimero” e della preminenza del pensiero dell’artista sul “corpo” dell’opera e spetta ai futuristi italiani, molto interessati alla sperimentazione di nuovi materiali, il merito di avere per primi teorizzato la necessità di un cambiamento tecnologico. Ma è soprattutto subito dopo la seconda guerra mondiale che si cominciano ad usare in modo massiccio materiali industriali modernissimi: vari tipi di plastica, colori acrilici e vinilici. Negli anni Sessanta, il rivolgimento è ancora più radicale, perché viene posta in dubbio l’identità stessa dell’arte: si afferma il carattere effimero e transitorio dell’opera d’arte, pensata dall’artista come destinata in breve tempo a consumarsi e scomparire, che pertanto o viene emancipata del tutto dalla materia (come accade per l’arte performativa e relazionale) oppure viene volontariamente realizzata con materiali deperibili. Si pensi, ad esempio, a tutto quel filone dell’arte concettuale che prevedeva perfino i quadri da mangiare.

Thomas Hirschhorn, Roof Off, La Biennale di Venezia 2015.

Ma se gli Happening, le Performance, la Body Art, la Land Art, ecc. nascono in partenza come eventi effimeri, perché consistenti in eventi, gesti, azioni, succede che se l'artista sceglie ancora di incarnare il suo atto artistico in un oggetto materiale, la nostra mentalità è votata alla sua conservazione in istituzioni apposite, per permettergli di restare non solo come oggetto artistico, ma anche come documento di un periodo artistico. La domanda è: l'arte contemporanea vuole durare o vuole scomparire? Sarà dunque lecito intervenire per la conservazione di un’opera d’arte programmata dal suo autore per scomparire? Ma se l’autoannientamento fosse insito nell’intenzione espressiva dell’autore?
Pare che la sopravvivenza della loro opera non sia contemplata dagli artisti di oggi. Del resto furono già i futuristi, antesignani dell’arte effimera, a proclamare la chiusura dei musei.
Il carattere effimero dell'arte contemporanea, dunque, non è solo una questione che riguarda i materiali utilizzati, ma anche le poetiche che la animano.
Oppure l’arte contemporanea è effimera perché rispecchia il mondo che la produce? La sua impermanenza risiede nella volontà dell’autore, che programma il deperimento della sua opera come atto finale e definitivo della sua creazione oppure è una più prosaica e meno romantica conseguenza dell’ansia moderna di velocità e, soprattutto, di novità? L’arte contemporanea è una celebrazione del transeunte o una vittima dell’immediata obsolescenza che sembra caratterizzare la nostra civiltà attuale come marchio distintivo?

Mario Merz, Tavola a spirale,1982

Il nostro operare è governato da parametri così mutevoli e transitori da poter essere rappresentati da forme simboliche altrettanto mutevoli e transitorie, concepite nell’ottica del sempre nuovo e diverso. Il feticcio di questo mondo frenetico è la novità, esibita a ritmi sempre più veloci e offerta come oggetto di consumo, reso tuttavia rapidamente obsoleto. Un mondo effimero, dunque, che cerca di “rigenerarsi” nella ricerca ossessiva della originalità a tutti i costi, perché la durata non è contemplata.
Ma se l’artista programma la sua opera al deperimento, l’istituzione, che si fa paladino della volontà della storia di preservare, vorrebbe invece conservarla. E non solo per ragioni di mercato. L’arte è uno dei testimoni del suo tempo, il più illustre, e coloro che si occupano di custodire la memoria, intendono preservarla e tramandarla ai posteri. Ma per conservarla, occorre restaurarla, con grande dispiego di energie e di risorse.

Thomas Hirschhorn

Da una parte, dunque, la volontà dell’istituzione di preservare, dall’altra il desiderio dell’arte contemporanea di scomparire, perché il deterioramento viene visto come il completamento dell’atto creativo.
Si tratta, forse, di fare un po’ di chiarezza. Sia da parte degli artisti che da parte delle istituzioni preposte all’esposizione e alla conservazione: si vuole preservare l’opera per tramandarla o per conservarne il valore di mercato? E’ probabile che tutta la nostra ansia di tutela non derivi da altro che da una mera visione mercantile, che ci impedisce di guardare le cose nella giusta prospettiva. Dovremmo, forse, accettare che l’opera invecchi, si decomponga e scompaia definitivamente, perché quel dissolvimento era già insito nella sua nascita, come accade per tutti gli esseri viventi.
L’arte effimera si pone in una posizione dimessa di fronte alla storia, perché vuole farne parte come dissolvimento e non come presenza duratura. Un’arte che non cerca di ostacolare il tempo, fermandolo, ma lo accoglie per intero, compresa la sua azione distruttrice. E mentre lo accoglie, ne balza fuori, perché è l’opera stessa che si ritaglia una sua propria temporalità.

Dieter Roth , Bust made out of chocolate and birdseed, 1970

L’arte effimera esprime, altresì, la forma dell’epoca in cui viviamo, la quale non cerca sedimenti stabili e duraturi come quelle che ci hanno preceduto, ma vive in una programmata e frenetica transitorietà, determinata dal principio di obsolescenza. E così, se possiamo ancora tentare di afferrare l’enigma della Sistina o di una scultura di Rodin, testimonianze di epoche che ancora cercavano principi fondativi universali ed eterni, è difficile prevedere adesso quali tracce resteranno del nostro tempo. Non ci resta che volgere lo sguardo alle tavole con gli avanzi di cibo in decomposizione di Spoerri o alle sculture di cioccolato e muffe di Didier Roth, a contemplare la caducità delle cose e il degrado della materia, accettando l’idea che tra venti o cinquant’anni di queste opere non resterà più nulla, mentre i Memento mori del Seicento continueranno a ricordare agli abitanti del futuro che il nostro destino è l’inevitabile disfacimento. Malgrado la medicina e la chirurgia estetica saranno state capaci di rimandarlo di un po’.

Damien Hirst. Quando lo squalo in formaldeide ha raggiunto uno stato avanzato di decomposizione, l'artista l'ha sostituito.

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