mercoledì 1 gennaio 2020

John Coplans. Frammenti di un corpo senza volto

John Coplans, HandsHolding Feet, 1985

John Coplans, critico d’arte e curatore, fondatore della rivista Artforum, passati i sessant’anni, impugna la macchina fotografica e rivolge l’obiettivo verso un medesimo soggetto: il proprio corpo. Ma lo fa non nel modo tradizionale dell’autoritratto; ogni fotografia, infatti, cattura parti del corpo isolate e ritagliate, frammentate e ingigantite, ricche di particolari lontani da ogni estetica accademica (peli, calli, vene varicose, segni della pelle). Per oltre 20 anni esegue questi ‘autoritratti’, come l’autore li definisce, formati da immagini di dettagli del corpo nudo, esposte in dimensioni monumentali, spesso accostate a formare dittici e pannelli compositi.
Body of Work è il titolo del suo primo libro d’artista. Utilizzando il suo corpo invecchiato come oggetto, l’autore ci invita a vivere un'esperienza paradossale, nello stesso tempo autobiografica e impersonale. In altre parole, l'esperienza proposta dalle opere di Coplans è costruita sia a livello intimo, in quanto presenta immagini del suo corpo nudo, sia a un livello che astrae dalla dimensione individuale per mostrare forme pure e assolute. Régis Durand sottolinea questa peculiarità delle fotografie di Coplans, cioè la loro capacità di sfuggire al carattere personale dell'autoritratto, per trasformarsi in qualcosa di universale.


Queste immagini vanno ben oltre il desiderio di introspezione o di espressione psicologica incarnato solitamente dagli autoritratti. Come sottolinea Chevrier, infatti, le fotografie di Coplans trascurano qualsiasi carattere fisionomico, dal momento che non mostrano mai il viso. Mani, piedi, schiena, busto, ogni frammento del corpo diventa, esposto in dimensione monumentale, un tutto, un autoritratto a sé stante.
L'approccio di Coplans è caratterizzato da una predilezione per i primi piani, grazie a una inquadratura molto stretta, e da un modo di fare che rivela una fiducia nell’abilità della fotografia di oggettivare e di descrivere, di amplificare e di rivelare con chiarezza l’oggetto, evidenziando le trame della pelle, i giochi di linee e di forme creati dalla carne invecchiata. La frontalità e lo sfondo bianco evocano il rigore scientifico, per cui l'immagine diventa un documento che mostra il corpo che invecchia. Ma, nello stesso tempo, la fotografia mostra il suo potere di trasfigurare le forme del corpo, di deformarle in modo che non assomiglino più a se stesse ma facciano pensare ad altro.
I riferimenti alla fotografia moderna, in particolare a quella di Walker Evans, sono fondamentali per l'approccio di Coplans, che è orientato alla ricerca di forme pure, chiarezza ed effetti di superficie.

John Coplans, Hands Spread on Knees,+1985.

Frontalità, inquadratura stretta e grande formato sono, a loro volta, derivati della pittura modernista, che cerca di evidenziare la superficie dell'immagine. Le fotografie si impongono allo spettatore; le linee marcate del corpo, così abilmente esposte, portano alla contemplazione. La mano non è più semplicemente una mano, la parte posteriore del corpo diventa una forma geometrica, una scultura; i piedi, un paesaggio. Ogni frammento è autosufficiente, rendendo il volto un artificio inutile nella costruzione dell'autoritratto. Coplans attinge totalmente all’estetica della metonimia per il modo in cui presenta frammenti del corpo come parti che stanno per l’intero.
Con il lavoro di Coplans, viene abbandonato del tutto il mito del ritratto come specchio dell’anima, in grado di rivelare l’essenza e il mondo interiore del soggetto. Il corpo frammentato ha la funzione - e la capacità - di significare l'intera persona: il corpo prende il posto del volto.

Seated Figure IV, 1992


Osservando un ritratto o autoritratto tradizionale, l’attenzione si focalizza innanzitutto proprio sul viso, che sembra concentrare in sé tutta la persona in quanto individualità unica e irripetibile. Il corpo è percepito quasi come un’appendice della testa, in genere rivestito da quelle sovrastrutture culturali che sono i vestiti. Osservando un’immagine di nudo, al contrario, emerge soprattutto la sua dimensione ideale, intesa come insieme di forme e di volumi, a scapito della connotazione individuale. La frammentazione metonimica del corpo nudo proposta da Coplans, invece, evita la sublimazione ideale da una parte e, nel frattempo, sembra dirci: ecco io sono anche questo, sono questo piede, queste mani e questo busto, e sono questo corpo segnato dalla vita e dal tempo. La mia identità è anche nelle linee incise sulla mia pelle, nella carne che soccombe alla forza di gravità. Il mio io è anche nelle mie mani, che toccano il mondo, e nei miei piedi, che lo percorrono; io sono pertanto anche una linea di confine tra me e ciò che mi circonda e con cui entro perennemente in contatto.

John Coplans, Back and Hands, 1984.

 

Le fotografie di Coplans mettono in discussione la visione convenzionale e cristallizzata di ogni rappresentazione della mascolinità, costruendo contro-monumenti che celebrano il decadimento e la vulnerabilità, mostrando un corpo fragile, frammentato e lontanissimo da ogni canone estetico di bellezza, ridandoci quel piacere visivo che nasce dalla percezione del conflitto e della convergenza tra il damma e la commedia, permettendoci di assumere, di fronte a queste immagini, la distanza psicologica necessaria per vederci la bellezza dell’esplicarsi della vita e della morte come evento unico, che ci caratterizza in quanto esseri viventi.
Frammentando e addirittura mutilando il corpo, le fotografie di Coplans annientano la nostra familiarità e la nostra immediata capacità di riconoscere l'umano, introducendo la presenza dell'altro nel sé. Il corpo in queste immagini non è più un'entità stabile, ma piuttosto qualcosa di precario, catturato a metà strada tra l’umano e il mostruoso, forme allo stesso tempo assurde, fragili, monumentali, provocatorie e sensuali. Combinando familiarità e alienazione, le immagini di Coplans fanno eco alla continua disintegrazione e riconfigurazione di corpi e materia che caratterizzano la nostra era digitale, riflettendo la strana plasticità delle identità contemporanee, in cui non è più possibile un approccio unitario e omogeneo al corpo, in cui è necessario che lo sguardo arrivi all’unità passando dalla complessità e dalla frammentazione.

Crouched, 1990.

Knee and Hands, No.6











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