lunedì 12 marzo 2018

La rappresentazione dell'ombra

Jean-Baptiste Regnault, The Origin of Painting

Il tema del “doppio”, un argomento che è radicato nella natura stessa della pratica artistica, che “raddoppia” la realtà.
Solitamente sono tre i modi più usati per rappresentare il doppio: l’immagine allo specchio; il gemello o il sosia; l’ombra.
Il doppio è un tema antico, risalente ai miti e alle religioni dell'antichità, ed è poi ricorrente nelle tradizioni popolari e nella letteratura che attraversano i secoli, a partire dalle commedie della classicità fino ai romanzi e al cinema contemporanei. Esso è una figura ambivalente, a volte positiva, altre negativa.
J.B.Suvee, Invention of art drawing, 1793.

Può essere una duplicazione o una scissione di se medesimi, o essere interpretato come sosia o gemello, cioè come un altro da sé ma dalle sembianze identiche.
Secondo Freud, il doppio ha origine nella vita psichica del bambino e dell'uomo primitivo come figura amichevole, che protegge dalla paura della morte. Con il superamento di questa fase, però, il doppio viene rimosso. Diventa perciò un elemento estraneo che, quando riaffiora, provoca angoscia; e in ciò consiste il suo carattere perturbante. Il doppio altro non è che la proiezione delle contraddizioni interne, la personificazione delle parti negative di sé, quelle che vengono rimosse e rimangono scisse, non integrate, costitutive di una personalità multipla. In questo senso, quindi, il sosia o il gemello rappresenterebbero un’invasione dell’inconscio nel campo della coscienza, la cui comparsa provoca angoscia e inquietudine. Solo integrando le proprie parti oscure si può evitare la scissione e la disintegrazione.

J.Wright, The corinthian maid, 1782-1784.

Sebbene l’identità sia sempre in qualche modo ‘doppia’, in quanto consistente in un gioco continuo d’integrazione/alienazione, d’identificazione/differenziazione, il doppio è inserito nella categoria del “perturbante” perché mette in discussione il nostro senso di unicità, la nostra identità.
In letteratura è stato descritto, spesso, come la controparte spettrale che alberga nell’animo umano, sopita e minacciosa, come il risultato di una scissione interiore e rappresenterebbe la personificazione della parte di sé sconosciuta, oscura, della quale si prende coscienza solo attraverso il drammatico confronto con un altro se stesso, la cui comparsa assume quasi sempre una connotazione ossessiva e persecutoria.
Il termine, di derivazione tedesca, usato per indicare il doppio di una persona vivente è Doppelgänger (letteralmente “doppio viandante”). Si riferisce a un qualsiasi doppio o sosia, più comunemente a un gemello maligno o a un alter ego che si trova in un luogo diverso (bilocazione). In alcune mitologie, i doppelgänger non proiettano ombre e non si riflettono negli specchi o nell’acqua e inoltre vedere il proprio doppelgänger è un presagio di morte.

Francine van Hove, Dibutades, 2007.

Del tema del doppio come riflesso allo specchio ci siamo occupati in passato, soprattutto per quanto riguarda il cinema (https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.it/2017/08/specchi-lo-specchio-ambiguo-identita.html).
L'ombra è un'immagine di noi in negativo, attaccata ai nostri piedi dalla nascita, che ci segue o si muove imperterrita davanti a noi, senza che ci si possa sbarazzare di lei. E se ciò accade, se la nostra ombra si stacca da noi come nelle favole, allora diventa una presenza maligna, in grado di portarci alla rovina, esattamente ciò che avviene nella fiaba di Andersen intitolata, appunto, “L'ombra”.
E' Jung a trattare ampiamente il concetto di Ombra, definendola come il lato primitivo dell’uomo. Egli distingue tra un’Ombra personale, risultante dall’adattamento al collettivo, che contiene tutte le parti che l’Io e la coscienza condannano come valori negativi, e un’Ombra collettiva, che coincide con gli impulsi e gli istinti che l'umanità considera male e rifiuta.
Solo con l’incorporazione di questo lato oscuro, la personalità diventa capace di costruire la propria diversità individuale, distanziandosi dalle tendenze livellatrici della comunità. Accettare la propria Ombra, significa in sostanza accettare l'essenziale duplicità del proprio sé. Se, invece, l’Ombra non viene fronteggiata e accettata come parte integrante della propria personalità, s’impadronisce del soggetto che ne diventa schiavo.
Utilizzando lo stesso linguaggio dell'inconscio, cioè le immagini, le arti figurative sono lo strumento privilegiato in grado di esplorare le oscure profondità e di farci entrare in contatto con l’Ombra.
La storia delle arti figurative, infatti, testimonia il bisogno di dar forma a ciò che forma non ha, di visualizzare l'oscurità per poterla fronteggiare senza esserne annientati. Questo accade perché l’immagine, utilizzando un linguaggio simbolico per esprimere ciò che non si riesce a comunicare con le parole, riesce a scavalcare l’interpretazione cosciente per penetrare nell’inconscio, attivando, attraverso i meccanismi di proiezione e d’identificazione, i demoni personali di colui che contempla l’opera.

michael curran, louisa minkin, Butades or The origin of painting, 2006.

Malgrado il fascino di questi argomenti, nei post successivi si tratterà per lo più dell'ombra non dal punto di vista psicanalitico, ma come elemento figurativo. Questo tema è l'oggetto di studio di un bel saggio di Victor Stoichita, dal titolo “Breve storia dell’ombra”, il quale, già nelle prime pagine, colloca l'Ombra alle origini della nostra civiltà. In particolare rileva come essa compaia in due dei miti fondamentali della nostra storia: il mito di Dibutade, che racconta le origini dell'arte, e il mito della caverna di Platone, che è alla base della conoscenza occidentale.
Nel suo XXXV libro della Naturalis historia, Plinio il Vecchio narra la nascita del primo ritratto della storia. Secondo la leggenda, esso sarebbe stato eseguito da una donna, figlia del vasaio Dibutade, innamorata di un giovane che doveva partire per la guerra. La sera prima della partenza, la ragazza traccia su una parete i contorni del profilo dell'amato, ricalcandolo sull'ombra proiettata da una lanterna, per conservarne l’immagine nella memoria.
Le ombre compaiono anche nel mito di Platone, per il quale l'uomo delle origini, prigioniero in una grotta, altro non può guardare che il muro che ha di fronte, sul quale sono proiettate le ombre di una realtà esterna di cui egli non immagina neanche l'esistenza. Solo uscendo all'esterno, alla luce del sole, egli potrà accedere alla vera conoscenza.
Come sottolinea Stoichita, entrambi sono miti fondativi, si basano su uno stesso motivo, la proiezione, e in entrambi questa proiezione è un'ombra, cioè una macchia in negativo, che la vera arte e la vera conoscenza devono superare, perché entrambe devono attingere uno stadio superiore, quello della luce. Per questo, continua Stoichita, a parte l'antropologia, nessun'altra disciplina ha affrontato il tema di una storia dell'ombra, perché quest'ultima è stata estromessa dalla civiltà occidentale, considerata come uno stadio inferiore e negativo, da spazzar via con la luce della verità.

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