mercoledì 14 marzo 2018

Il Rinascimento evita le ombre


Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-75, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Se la prima metà del Quattrocento si concentra sugli effetti provocati da una sorgente di luce puntiforme (come una candela o il sole), in grado di delineare contorni nitidi e profili secchi, e si sofferma a rappresentare finemente e con competenza le ombre portate, i maestri dei decenni successivi prediligono invece le differenti gradazioni di sfumature generate dalla luce diffusa e indiretta.
All'apice del Rinascimento, le ombre portate passano di moda, anzi, vengono addirittura sconsigliate. Perfino le opere che costituiscono i capisaldi della pittura di quel periodo e di ogni tempo, presentano un mondo privo di ombre portate. Nei capolavori di Piero della Francesca come di Leonardo da Vinci, e di altri grandi maestri rinascimentali, nonostante la ricca varietà di sfumature del colore per rappresentare chiaroscuro, profondità e volume, spesso manca qualsiasi accenno alle proiezioni di ombre congiunte o parallele.

Eppure i maggiori artisti osservatori della natura della fine del XV secolo, Leonardo e Dürer, ognuno nella propria maniera, studiano e teorizzano in modo sistematico la proiezione dell'ombra come un tratto caratteristico di ogni rappresentazione tridimensionale.
E tuttavia, nonostante questi studi, le ombre portate restano rare nella pittura del tempo e sono altresì rari gli esempi concreti in cui vengono attuate le conquiste teoriche riguardo la proiezione. Vero è che, se un pittore seguisse sempre le leggi sulla formazione dell'ombra e le applicasse ad ogni oggetto rappresentato, il risultato finale sarebbe un'opera poco gradevole. Per questo, afferma Stoichita, “a cominciare dal Rinascimento, si assiste da un lato allo sviluppo di una vera e propria scienza dell'ombra, che farà ben presto parte dell'insegnamento della pittura nelle accademie, e dall'altro a un attento controllo della messa in pratica di questo sapere” (“Breve storia del'ombra”, p. 62).
Alla stessa conclusione giunge anche il Gombrich, il quale rileva come molti maestri della pittura rinascimentale abbiano evitato di inserire le ombre nei loro dipinti, come se le considerassero degli elementi di disturbo o di distrazione, in grado di rovinare l'equilibrio e l'armonia sia cromatica che compositiva, o di appesantire e confondere la comprensione del quadro.
Nel suo “Trattato sulla pittura”, Leonardo da Vinci ci ha lasciato un passo molto importante da questo punto di vista, il quale testimonia del pregiudizio allora esistente tra i pittori nei confronti delle ombre troppo nette. In esso afferma che i pittori biasimano “il lume tagliato dalle ombre con troppa evidenza” e consiglia di fare, “in campagna aperta”, “le figure non illuminate dal sole”, ma immerse in un'atmosfera di leggera foschia (“fingerai alcuna qualità di nebbia o nuvoli trasparenti essere interposti infra l’obietto ed il sole, onde, non essendo la figura del sole espedita, non saranno espediti i termini delle ombre co’ termini de’ lumi”).
Si osservi, infatti, questa celebre opera leonardesca e si noti come le rare ombre portate siano rese in modo vago e rudimentale, in particolare quella, appena accennata, della Madonna.


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