lunedì 12 marzo 2018

Ombre su un pavimento sporco


Copia di Heraclitus da Sosos di Pergamo, Mosaico dell'asàrotos òikos, II secolo d.C., particolare, Musei Vaticani.

I nostri occhi percepiscono gli oggetti grazie alla luce, ma non dimentichiamo che è grazie alle ombre che noi riusciamo a coglierne la forma, la consistenza, le dimensioni e la collocazione spaziale.
Le ombre dipendono da due fatti evidenti: i corpi che le emanano sono solidi e non trasparenti e i raggi luminosi si propagano in linea retta.

Scrive Gombrich:
“Per quanto le ombre possano essere ricondotte alle semplici leggi dell'ottica, ci sarà sempre qualcosa di sfuggente nel loro aspetto. Esse fanno parte del nostro ambiente, ma appaiono e scompaiono alla vista, sono effimere e mutevoli, come può aver sperimentato qualsiasi pittore che abbia tentato di registrare la loro presenza sulla tela. […] Noi tendiamo a concepire il mondo come stabile, anche se siamo consapevoli della molteplicità di circostanze che possono influenzare il modo in cui ci appaiono le cose; ma attribuiamo comunque al colore o alla struttura delle superfici caratteristiche di stabilità che permangano anche al di là della mutevolezza delle immagini. Diversamente accade con le ombre, perché esse non fanno parte del mondo reale.” (E. H. Gombrich, “Ombre. La proiezione dell'ombra portata nell'arte occidentale”).
E, tuttavia, in alcune situazioni è la presenza dell'ombra a certificare la consistenza di un oggetto, perché ciò che proietta un'ombra dev'essere reale.
La classificazione delle ombre comprende tre diverse tipologie:
1. ombre proprie, che si producono sui corpi nelle zone che non ricevono la luce;
2. ombre portate, che il corpo proietta sul piano e nell’ambiente circostante, interrompendo il flusso luminoso (anticamente l’ombra portata era detta “sbattimento”);
3. ombre autoportate, che il corpo proietta su se stesso.

Se le ombre proprie, necessarie per il modellato, sono state utilizzate fin dall'antichità, le ombre portate, invece, hanno conosciuto fortune alterne.
Non esistono tracce di modellato né nell'arte egizia né nella pittura vascolare greca del V secolo, ma una volta acquisito, l'uso delle ombre proprie al fine di definire la plasticità delle rappresentazioni fu lo strumento che rivoluzionò l'arte della pittura e che diventò il segno distintivo della tradizione occidentale.
Le ombre portate, invece, sono più rare: spesso gli oggetti rappresentati, finemente modellati dalle ombre proprie, non proiettano alcuna ombra nell'ambiente circostante, oppure questa è resa in modo alquanto rudimentale.
L'ombra portata può essere “parallela” (cioè proiettata su una superficie parallela all'oggetto, come ad esempio la nostra ombra su una parete) o “congiunta” (l'ombra proiettata da un oggetto sulla superficie su cui appoggia). Quest'ultima è uno stratagemma efficace nel rendere l'illusione di realtà dell'oggetto rappresentato. Infatti di esso ha sempre fruito il trompe l'oeil, come ad esempio questo pavimento realizzato a mosaico, che ornava una villa di età adrianea sull'Aventino. Il tema decorativo è quello dell'asàrotos òikos, "pavimento non spazzato", ideato nel II secolo a.C. da Sosos di Pergamo e qui ripreso dall'artista Eraclito che vi ha inserito la sua firma. Il mosaicista ha realizzato un pavimento disseminato da resti di cibo, come doveva presentarsi alla fine di un lussuoso banchetto: si riconoscono frutti, lische di pesci, ossa di pollo, molluschi, conchiglie e anche un topolino che rosicchia un guscio di noce. La consistenza dei soggetti raffigurati è resa attraverso un efficace gioco di ombre, proiettate sul fondo bianco del pavimento.


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