martedì 20 marzo 2018

Ombre in piazza San Marco

Canaletto, View of the Piazza San Marco, Musée Jacquemart-André, Francia.
Scrive il Gombrich che “poche funzioni dell'ombra portata sono più importanti della sua capacità di accentuare l'impressione generale di luminosità”. Ad esempio di ciò cita le opere di un pittore olandese del Seicento, Gerrit Adriaenszoon Berckheyde, e quelle di un vedutista italiano, Francesco Guardi, che ritraggono scene ambientate in piazze urbane.
Le nette ombre congiunte presenti in questi quadri, oltre ad accrescere l'impressione della profondità, concorrono altresì ad accentuare l'effetto che produce la luce del sole nell'inondare il mercato e la piazza. E' proprio la presenza delle ombre ad amplificare la luminosità della scena e la brillantezza dei soggetti colpiti dal sole.

Gerrit Berckheyde, Piazza del Mercato e la Grote Kerk a Haarlem, 1674, National Gallery Londra.
Francesco Guardi, Veduta di Piazza San Marco, 1760-70, Accademia di Carrara.

Francesco Guardi, L'Arsenale di Venezia, 1755-60, Natinal Gallery, Londra.

Il “vedutismo” è una corrente artistica del Settecento, sviluppatasi in particolare a Venezia (sulle orme di alcune opere del Vanvitelli) e caratterizzata dalle “vedute”, cioè da paesaggi sia naturali che cittadini, rappresentati il più delle volte in modo oggettivo, in altre in maniera più pittoresca e teatrale.
Rispetto alle opere del passato, in cui i paesaggi costituivano solo lo sfondo dell’azione umana, la quale rappresentava il vero fulcro del dipinto a cui ogni altro elemento era funzionale, con il Vedutismo, invece, per la prima volta il paesaggio viene rappresentato da vero protagonista, in maniera oggettiva e “scientifica”, in accordo con i dettami dell’ideologia illuminista che si andava affermando proprio in quel periodo. I pittori veneziani realizzavano i propri lavori con precisione topografica e, a questo fine, si servivano di diversi strumenti tecnici, come la camera oscura o la lente grandangolare. Proprio la camera oscura era funzionale all’organizzazione della grande quantità di dati visivi che si presentavano all’occhio umano ai fini della loro rappresentazione su una superficie piana.

Canaletto, “Piazza San Marco verso la chiesa di S. Giminiano e le Procuratie Nuove” (1735-1740, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma.

Oltre alla veduta statica (con un solo punto focale, come l’immagine fotografica) Canaletto usò la veduta dinamica, combinando tra loro immagini riprese da punti diversi, come le può vedere una persona che passeggia in un dato luogo. Accade spesso, pertanto, che le vedute panoramiche di Canaletto siano composte da una o più vedute parziali, ottenute riposizionando la camera oscura in luoghi diversi e contenenti più punti focali o più prospettive combinate insieme in modo unitario. L’autore si comporta prima da regista, scegliendo i punti di ripresa migliori dove posizionare la macchina, poi da scenografo teatrale per creare scenari in cui piazze ed edifici vengono valorizzati nel modo migliore, attraverso la rotazione, la contrazione o l’espansione di qualche immagine, quasi si trattasse di una composizione scenica con le quinte disposte per essere visibili al meglio dagli spettatori.

Giovanni Antonio Canal, il Canaletto - Piazza San Marco, 1755-59, Wadsworth Atheneum Museum of Art.

A causa di ciò, i quadri di Canaletto e degli altri Vedutisti non sono una rigida riproduzione del vero come lo potremmo vedere in una moderna foto panoramica. Ogni dipinto sembra mediare tra un’esigenza documentaria (committenti sono i viaggiatori che richiedono un’immagine-ricordo di luoghi che hanno visitato e ammirato o coloro che, non potendo permettersi viaggi, bramano la rappresentazione di luoghi della città particolarmente attraenti e famosi) e un’esigenza estetica.
Le aspettative della committenza inducono a riprodurre una veduta ordinata dei monumenti più interessanti, presentati nella loro valorizzazione migliore. La veduta dinamica, combinando sulla stessa tela più immagini distinte, ciascuna osservata da un punto di vista diverso, simula in un certo senso i ricordi di un passante, che abbia visitato quei luoghi e ne serbi memoria. Canaletto mette insieme varie immagini, come in un sogno o in un ricordo, talvolta penalizzando le relazioni geometriche di distanza, proporzione o angolatura per valorizzare singolarmente gli edifici di maggior interesse. Questa pratica, però, poteva far nascere dei problemi; i vari pezzi, infatti, erano indipendenti, con punti di fuga diversi; anche le ombre convergevano verso direzioni diverse, a seconda della posizione della camera che le riprendeva. Occorreva dunque fornire una coerenza unitaria all’insieme.

Bernardo Bellotto, La Piazza San Marco, Venezia, 1742-1743.
Canaletto risolse questi problemi molto sapientemente, unificando il tutto con giochi di luce, ombre e colori che dessero la credibilità di una ripresa unica, di spazio e di tempo. A questo fine occorreva innanzitutto concordare proprio le ombre, in modo che fossero orientate in modo coerente e verosimile. Oltre ad enfatizzare le parti luminose, esse concorrevano a definire l'impianto unitario della veduta.
Per il resto, l'artista provvedeva poi a inserire sulla scena dei diversivi che distraessero l’occhio dello spettatore dalle incongruenze geometriche date dai molteplici punti focali: personaggi, piccoli aneddoti, scene di mercato e vari altri dettagli.
In pratica, quella che si osservava in tali dipinti non era la Venezia vera, ma una Venezia inventata e trasformata da un sapiente regista, una fantasia con l’apparenza del vero. Ma il tutto è stato realizzato con creatività e perizia tali che, di fronte a queste vedute, l’osservatore non si accorge degli artifici e crede di ammirare la reale Venezia del Settecento.


Francesco Guardi, La Fiera della Sensa in Piazza San Marco.


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