lunedì 8 dicembre 2025

Contro il Versteher: come l'Europa ha moralizzato ed espulso la "comprensione".



Negli ultimi anni, nel dibattito politico e mediatico soprattutto tedesco (ma non solo), il termine Versteher - letteralmente “colui che comprende”- ha subito una trasformazione radicale. Da parola chiave della tradizione umanistica e della sociologia, è diventato un’etichetta polemica, un’accusa implicita di indulgenza nei confronti di potenze autoritarie come la Russia e la Cina. 
Il termine ha sempre goduto di una luce di nobiltà in quanto il verbo verstehen significa comprendere dall’interno le ragioni dell’altro ("mettersi al posto dell'altro"), cogliere il senso dell’azione umana, evitare semplificazioni moralistiche. È la postura metodologica delle scienze umane tedesche, da Dilthey a Weber. Per decenni, soprattutto nel secondo dopoguerra, questo ethos ha plasmato anche la politica estera tedesca, favorendo un approccio dialogico e una diplomazia sensibile alle condizioni storiche degli interlocutori. Ma proprio questa tradizione ha reso possibile la comparsa, nel linguaggio pubblico, di un suo rovescio. A partire dagli anni Ottanta, e in modo sempre più evidente dopo il 1991, Versteher comincia a essere usato in senso critico: non più “colui che comprende”, bensì “colui che giustifica”. C'è un lungo articolo su Wikipedia (https://de.wikipedia.org/wiki/Putinversteher) su questo argomento. La traduzione automatica in italiano rende il termine versteher con "apologeta" o "simpatizzante". È proprio la Germania a costituire, negli ultimi decenni, il principale laboratorio di questa accezione negativa. Il termine Putinversteher è apparso per la prima volta nel 2014 (viene proposto per il concorso annuale Unwort des Jahres), con l'occupazione russa della Crimea, ma è l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 a segnare il punto di non ritorno. 

Il termine Versteher diventa un marchio d’infamia politica, simbolo di cecità strategica, di immoralità e complicità involontaria. E non si limita solo alla Russia, ma si estende fino a comprendere alcuni atteggiamenti verso altri paesi, primo tra tutti la Cina. A partire soprattutto dal 2020, la pandemia, la competizione tecnologica e le crescenti denunce di violazioni dei diritti umani contribuiscono a dare forma a questo nuovo modo di guardare al gigante orientale. La Cina è vista sempre più non solo come partner, ma anche rivale sistemico. Il sospetto verso i China-Versteher cresce: chi insiste troppo sulla “comprensione” (valorizzare la specificità culturale e politica cinese; evitare i giudizi occidentali sulla governance di Pechino; difendere la cooperazione economica come strumento di stabilità) rischia di apparire un apologeta involontario (https://www.youtube.com/watch?v=FnJiHdaS5Nw).

La discussione sui Versteher non riguarda solo la Germania: illumina una tensione universale delle democrazie contemporanee. La progressiva accezione negativa di un termine epistemologicamente così nobile rivela una serie di spaccature profonde all’interno della cultura politica e intellettuale contemporanea. Da un lato c’è l’etica della responsabilità storica, che invita a sospendere il giudizio, a contestualizzare, a evitare letture superficiali, immediate e reattive: è l’eredità di una lunga tradizione critica, che considera la comprensione non come indulgente neutralità, ma come condizione necessaria per giudicare con rigore. Dall’altro lato, tuttavia, c’è la crescente percezione della necessità di proteggere l’ordine liberale europeo, soprattutto di fronte ad aggressioni che sembrano rimettere in discussione le fondamenta stesse della democrazia, del diritto internazionale e della convivenza pacifica.

In questa tensione si inserisce un’altra frattura: quella tra l’affezione al vecchio ordine unilaterale, che per trent’anni ha garantito un orizzonte relativamente stabile e prevedibile, e la consapevolezza di essere entrati in un mondo multipolare, più conflittuale, meno controllabile, in cui la distinzione tra alleati e rivali è più incerta. Se nel vecchio ordine la comprensione era un presupposto della diplomazia e del rapporto tra Stati, nel nuovo ordine viene fatta apparire come un lusso o addirittura come una debolezza.
In ogni caso, ciò che questa evoluzione semantica denuncia è la progressiva moralizzazione di un atteggiamento che dovrebbe costituire la base stessa dell’epistemologia umanistica. Verstehen significava, nella sua radice metodologica, analizzare le ragioni e le logiche interne dei fenomeni, non per assolverli ma per renderli intelligibili. Oggi, però, sempre più spesso il comprendere viene letto come un gesto sospetto, come una presa di posizione mascherata, come un cedimento moralmente ambiguo. La comprensione perde la propria neutralità epistemica e viene assorbita in un regime discorsivo che richiede schieramenti, prese di posizione, condanne immediate.

Il destino del Versteher negativo mostra così una tensione che va ben oltre la geopolitica: riguarda il ruolo stesso delle scienze umane in un’epoca di polarizzazione morale e accelerazione comunicativa. In un mondo che chiede risposte rapide, il comprendere - con la sua lentezza, la sua distanza, la sua propensione alla complessità - rischia di apparire fuori tempo. E tuttavia, è proprio questa complessità che oggi sarebbe più urgente difendere. Demonizzare la comprensione oggi rischia non solo di rendere impossibile la diplomazia, ma anche di delegittimare le scienze umane. Dalla storiografia alla sociologia, dall’antropologia alla filosofia, l’atto del comprendere (il capire dall’interno, l’interpretare le ragioni dell’altro, l’attribuire senso alle azioni) ha rappresentato ciò che distingue l’indagine umanistica dalla spiegazione causale delle scienze naturali. Oggi, però, la cornice moralizzante della discussione fa di quell'atto non più un gesto conoscitivo neutro, ma un atto discutibile, potenzialmente complice. L’epistemologia è assorbita dall’etica; la comprensione, un tempo strumento di distanziamento critico, si trova a essere oggetto di sospetto.

Per quasi un secolo le scienze umane europee hanno rivendicato la Wertfreiheit come condizione di legittimità. Il termine coniato da Max Weber significa "libertà dai valori" e postula che le scienze storico-sociali devono essere oggettive, distinguendo chiaramente tra analisi scientifica e giudizi di valore. Comprendere non significa giustificare; ricostruire il senso dell’azione non comporta l’assenso morale. La trasformazione avvenuta negli ultimi due decenni rovescia questa architettura: il comprendere viene valutato non per il suo rigore metodologico, ma per le sue possibili conseguenze politiche. 
Questo slittamento riflette un cambiamento più ampio nella cultura occidentale: l’erosione della distinzione tra comprensione e giustificazione; la pressione mediatica a prendere posizione immediata; la radicalizzazione morale del discorso pubblico; la crescente diffidenza verso le categorie interpretative complesse. La categoria del verstehen, che implica lentezza, distanza, sospensione del giudizio, è poco compatibile con un contesto comunicativo dominato dalla velocità, dalla polarizzazione, dalla richiesta di schieramento immediato. In questo nuovo contesto, comprendere diventa rischioso. Il rischio non sta nel comprendere male, ma nel comprendere troppo. Perché la comprensione, nel suo farsi prossimità, può apparire indulgenza. La figura del Versteher è così il sintomo di un regime epistemico che tende a subordinare ogni gesto conoscitivo alla sua ricaduta morale e politica. Ciò che storicamente aveva animato le scienze umane - l’empatia cognitiva, la sospensione del giudizio, la ricostruzione delle logiche interne dei fenomeni - viene oggi percepito come un ostacolo. La domanda non è più: “hai compreso correttamente?”, ma “è davvero necessario comprendere?” La comprensione non è giudicata per la sua capacità di spiegare, ma per la sua accettabilità morale; l’epistemologia viene assorbita dall’etica, e quest’ultima dall’urgenza politica. L'atto del comprendere va oltre l'ambito epistemico, essendo assorbito dal territorio politico; e come tale viene sorvegliato, giudicato, delimitato. La figura del Versteher indica il punto in cui la comprensione diventa colpevole e in cui la complessità rischia di essere sacrificata in nome della moralità. È una trasformazione che interroga profondamente il futuro delle scienze umane: possono ancora rivendicare il diritto di comprendere senza essere accusate di giustificare? Oppure siamo entrati in un orizzonte in cui capire è già, in qualche misura, prendere posizione?

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