L’atto del camminare, apparentemente semplice e quotidiano, diventa nelle opere di Rousseau e Baudelaire uno strumento critico capace di sospendere il tempo dominante delle rispettive epoche. Il passeggiatore roussoiano e il flâneur baudelairiano si muovono in spazi opposti - la natura solitaria e la metropoli moderna - e tuttavia entrambi scoprono, nel movimento non finalizzato, una forma di resistenza. In due contesti radicalmente diversi, la passeggiata e la flânerie diventano così pratiche che interrompono, deviano o almeno incrinano il ritmo imposto dalla modernità. Una modernità che si definisce proprio attraverso il duplice dominio dell’ordine razionale dello spazio e della misura rigorosa del tempo, e che nel camminare trova un inatteso punto di frizione, una piccola ma significativa sospensione della sua potenza regolatrice.
Rousseau: la natura come spazio della rêverie
La rêverie rousseauiana si configura come uno stato mentale di sospensione, in cui il soggetto si abbandona a un flusso di pensieri spontanei, non finalizzati né orientati da scopi pratici. Essa non è assimilabile al sogno né alla meditazione razionale, ma rappresenta una forma di coscienza fluttuante, libera dalle costrizioni della logica e del tempo cronologico. Rousseau descrive questo stato come un “sentimento dell’esistenza” puro, in cui l’individuo si percepisce come parte del mondo naturale, senza mediazioni né ruoli sociali.
Infine, la reverie rappresenta una forma di felicità pura, non mediata dal possesso, dal successo o dal giudizio altrui. In questo senso, la rêverie si oppone radicalmente al tempo dominante della modernità: il tempo lineare, produttivo, scandito dalla misura e dalla finalità. Mentre la società moderna impone un regime temporale orientato all’efficienza, alla competizione e al progresso, la rêverie sospende tale regime, aprendo uno spazio di temporalità interiore. Il passeggiatore solitario non cammina per arrivare, ma per perdersi; non cerca di conoscere, ma di sentire. La sua esperienza è immersiva, contemplativa, e profondamente anti-utilitaristica. È un’esperienza di abbandono e di apertura, in cui il soggetto non cerca nulla, non persegue obiettivi, non misura il proprio tempo.
La rêverie sospende la temporalità sociale: sottrae il soggetto alla logica dell’efficienza, dell’utilità, del compito da svolgere. Nel camminare senza scopo nella natura, Rousseau scopre un tempo interiorizzato, disteso, che non procede verso un fine ma si lascia abitare. La natura diventa così lo spazio di un’altra temporalità, un luogo in cui il soggetto ritrova sé stesso.
Baudelaire: il flâneur, la metropoli come città-misura e la solitudine nella folla
Con Baudelaire la scena è cambiata radicalmente rispetto a quella del passeggiatore rousseauiano: il luogo del camminare non è la natura, ma la metropoli. Il termine, etimologicamente “città-madre”, assume nell’Ottocento il valore di città-misura: spazio regolato da un ordine razionale, organizzato da nuove infrastrutture, da vie tracciate geometricamente e soprattutto dal dominio del tempo degli orologi. La metropoli moderna è una macchina temporale: treni, fabbriche, uffici, comunicazioni, tutto scandisce e impone un ritmo calcolato, accelerato, necessario al funzionamento dell’economia industriale.
All’interno di questo spazio misurato e cronometrato, la figura del flâneur introduce una dissonanza. Il suo vagare senza meta non è semplice ozio: è una forma di resistenza. Il flâneur non corre, non produce, non ottimizza il suo tempo; anzi, lo disperde volutamente. Nel suo lento attraversare i boulevard, compie un gesto di sospensione rispetto alla tirannia dell’orario che domina la vita della metropoli. In un contesto che pretende di sincronizzare ogni individuo, egli si muove fuori tempo, “fuori fase”, esercitando un contro-ritmo che incrina la temporalità dominante.
La relazione del flâneur con la modernità è ambivalente. La città lo affascina e insieme lo inquieta: la sua vitalità è fonte di ebbrezza, ma anche di disorientamento; la libertà che offre è inseparabile da un senso di perdita e di instabilità. La flânerie è dunque un’esperienza duplice, fatta di attrazione e repulsione, entusiasmo e malinconia. Nel camminare Baudelaire identifica un dispositivo estetico ma anche critico: il flâneur abita la modernità per comprenderla, ma al tempo stesso la mette in questione attraverso il suo sguardo rallentato e non funzionale. In definitiva, il flâneur baudeleriano cerca la città, la folla, la novità. Il suo camminare non è un ritorno all’interiorità, ma un movimento verso l’esteriorità, verso il mondo fenomenico nella sua immediatezza più fugace. È nella superficie stessa della città che egli trova la materia della sua riflessione estetica e la misura del suo rapporto complesso con la modernità.
Pur muovendosi nella folla, anche il flâneur, come il passeggiatore di Rousseau, rimane tuttavia una figura solitaria. La sua solitudine, tuttavia, è una forma di estraneità vissuta dall’interno; essa nasce da un paradosso: egli non fugge dalla città, ma la attraversa; non rifiuta la presenza degli altri, anzi la ricerca come condizione necessaria alla sua esperienza. Il flâneur si immerge nella folla senza, tuttavia, mai appartenervi, senza confondersi nel flusso umano che lo avvolge. La folla per lui non è una comunità, ma una superficie da osservare, un teatro in cui egli è al tempo stesso presente e irrimediabilmente altrove. In mezzo alla densità della metropoli, la flânerie conserva una distanza sottile ma decisiva, la distanza dell’osservatore che partecipa solo in apparenza. La folla diventa così un medium della sua solitudine, lo spazio attraverso cui intensificare la propria differenza. Questa dimensione contemplativa e distaccata avvicina questa esperienza alla passeggiata roussoiana pur inscrivendosi in uno scenario opposto.

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