mercoledì 6 novembre 2019

I diversi volti di Salomè


La Salomè del Rinascimento distoglie lo sguardo dallo spettacolo raccapricciante della testa del Battista, posata sul vassoio, e lo volge altrove, verso un fuori campo indefinito.
A partire dall'ottocento, lo sguardo di Salomè si trasforma radicalmente, diviene torbido, sensuale, perverso. Vuole incantare e sedurre, trascinare l'uomo in un abisso di perdizione.
La donna del mito diventa l'incarnazione della Femme fatale.


Personaggio citato sia nei Vangeli sinottici che in quelli apocrifi, Salomè è stata protagonista di un’abbondante produzione iconografica.
Nel Medioevo è sottolineato, in particolar modo, l’episodio della danza. Salomè viene raffigurata come una figura diabolica, danzatrice contorsionista e seduttrice. La Salomè dei pittori del primo Rinascimento, invece, è una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi o castani, carnagione chiara e viso angelico. Scompare ogni traccia di eccentricità e demonizzazione. E’ probabile che all’origine di questo cambiamento iconografico ci sia La Legenda Aurea, una storia delle vite dei santi scritta nel XIII secolo dall'Arcivescovo di Genova Jacopo da Varagine. Nel capitolo dedicato al martirio di Giovanni Battista, la figlia di Erodiade viene presentata come lo strumento di uno schema diabolico di Erode per sbarazzarsi del profeta.

Nelle rappresentazioni rinascimentali e seicentesche Salomè in genere è raffigurata non mentre danza, ma mentre regge il piatto su cui il carnefice pone la testa del santo. Spesso la donna distoglie lo sguardo; il suo volto mostra in genere un'espressione di tristezza, se non di disgusto. L’atteggiamento messo in evidenza dall’autore è quello di sottomissione della ragazza alla volontà della madre.


A poco a poco, l'immagine di Salomè diventa autonoma, lascia il contesto della pittura religiosa e assume il ruolo di protagonista. A partire, in particolar modo, dalle opere del simbolista francese Gustave Moreau, che dedicò al soggetto numerose versioni,  Salomè non viene più presentata come lo strumento innocente di sua madre Erodiade ma come una figura misteriosa, una maga religiosa ben consapevole del suo potere di seduzione. Salomè diventa in questo modo una femme fatale, una figura fortemente erotizzata, che incarna nella propria bellezza femminile il male, la morte e la perversione. Il suo stereotipo iconografico condensa il binomio eros-thanatos, seduzione ed distruzione; si afferma come un simbolo ambiguo, sospeso tra innocenza e demonicità, mito di un eros crudele e perverso, quintessenza degli umori decadenti fin-de-siècle.
Nella maggior parte di questi dipinti Salomè è parzialmente o totalmente nuda e indossa bracciali, gioielli e copricapo esotici. A volte regge il vassoio con la testa di Giovanni, secondo l’iconografia tradizionale, altre volte è impegnata in una danza sensuale. Il suo sguardo non è più quello dolce e sottomesso o riluttante delle rappresentazioni rinascimentali, ma torbido e sfrontato, sicuro di sé.
Nel 1896, al Teatro dell’Oeuvre di Parigi, viene rappresentata la “Salomè” di Oscar Wilde, un dramma in un atto nel quale l’autore elabora il tema della danza dei sette veli. I critici dell’epoca giudicano la sua Salomè un personaggio isterico, ninfomane e necrofilo. Il giovanissimo artista Aubrey Beardsley realizza delle illustrazioni per la traduzione inglese, in cui Salomè appare come una strega, che ricorda i demoni delle stampe giapponesi, molto di moda all'epoca. In una di queste tiene davanti al viso la testa del Battista come fosse un oggetto d’amore.
Il motivo della perversa relazione amorosa di Salomé con la testa del Battista viene sfruttato anche all'inizio del XX secolo nel campo della fotografia. Trova la sua fonte nell'immaginario medico sull'isteria che Jean Martin Charcot aveva realizzato il secolo prima, proprio grazie alla fotografia, nell'ospedale parigino della Salpêtrière. Il fotografo ceco Drtikol attinge a questo catalogo di espressioni dell’isteria per comporre il suo ciclo di fotografie sul tema di Salomè.

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