Laocoonte e i suoi due figli lottano coi serpenti, scultura greca della scuola di Rodi (I secolo), Museo Pio-Clementino, musei Vaticani. |
Tema del prossimo percorso tematico sarà il corpo umano nella storia delle arti figurative, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al cinema.
La rappresentazione della figura umana è uno dei soggetti più presenti nell'arte di tutte le epoche e di tutte le latitudini. Essa ha avuto origine all’alba della storia dell’umanità, assolvendo a funzioni diverse e conoscendo molteplici interpretazioni. A partire dall’era preistorica, l’uomo ha sentito il bisogno di riprodurre l’apparenza fisica delle cose trasformandola in immagine. E lo stesso è accaduto nei confronti della propria stessa effigie. Significativo è, a questo proposito, il mito fondativo della pittura, che racconta di come la figlia del vasaio Butade tracciasse su una parete il profilo dell’ombra dell’uomo amato prima che partisse in battaglia, per conservarne l’immagine.
Tentando una schematizzazione, la figurazione del corpo umano nell’arte ha seguito tre tendenze principali, che ricorrono ad intermittenza in varie epoche storiche:
- una tendenza realistica, che parte dall’osservazione della realtà per poterla riprodurre nel modo più fedele possibile;
- una tendenza idealizzante, in cui alle particolarità del singolo individuo si privilegia una forma ideale e canonica, che rispetta degli schemi iconografici e dei rapporti geometrici, sia nelle forme che nelle posture.
- una tendenza espressiva, che ritroviamo già nelle immagini rupestri ma che sarà tipica soprattutto dell’arte del Novecento, spesso caratterizzata dalla deformazione dei corpi, che vengono allungati, disintegrati, disarticolati, alterati nelle loro proporzioni, al fine di esprimere l’interiorità dell’individuo o anche una nuova concezione dell'arte.
In tutti i casi, anche per quanto riguarda questo soggetto, la questione più spinosa che si pone è quella riguardante il rapporto tra l’immagine e il suo referente. E’ un problema talmente basilare che lo troviamo già espresso agli albori della riflessione estetica. Si ricorderà, infatti, come Platone intendesse l’immagine come raffigurazione mimetica (mimesis), cioè come riproduzione di forme reali. L’impostazione di Aristotele, invece, svincola la mimesi dalla conformità a un modello esterno, ponendo attenzione soprattutto alle leggi della rappresentazione intesa come costruzione fittizia, cioè come narrazione e drammaturgia, per cui la verità di una scena drammatica è da ricercarsi più nella coerenza interna della rappresentazione stessa che nella conformità a modelli reali. In questa visione, la ‘messa in forma’ del corpo umano è anche una ‘messa in scena’; la rappresentazione pittorica o scultorea della figura si dà come narrazione di una postura e di una gestualità, cioè come racconto possibile.
A partire da questa impostazione, il concetto di rappresentazione acquista un significato più complesso. Il termine ‘rappresentare’ significa essenzialmente ri-presentare qualcosa di assente, cioè mettere qualcosa al posto di un’altra cosa (referente). La rappresentazione di una figura umana, tuttavia, non è solo la sostituzione iconica di una forma reale, ma costituisce anche un'interpretazione simbolica, che trasferisce l’esperienza dal piano sensibile a quello astratto.
Oltre ad essere una ‘riproduzione del referente’, la rappresentazione ha anche un carattere di costruzione simbolica e retorica e di ‘messa in scena’, che svincola la figura dal suo rapporto con il modello reale. Si capisce da questo come l’indagine che seguirà non potrà limitarsi allo studio delle forme, ma dovrà prendere in considerazione anche la gestualità e le posture corporali, che connotano l’immagine di significati.
Una rappresentazione non è mai solo imitazione, ma è frutto di un processo di astrazione dalla realtà sensibile, proprio come il linguaggio, secondo schemi e moduli convenzionali. Gli schemi rappresentativi delle forme e delle posture del corpo umano seguono un repertorio molteplice e complesso, che variano nel corso delle epoche.
È questo il nodo della questione: tali schemi convenzionali di organizzazione delle forme anatomiche, delle posture e delle gestualità rispecchiano una mentalità, un costume percettivo condiviso dall’insieme culturale. La costruzione della figura umana, pertanto, che si conforma a questi modelli, perde ogni legame diretto con il referente, in quanto traduce la realtà nel linguaggio astratto dei valori plastici codificati convenzionalmente, i quali, più che riprodurre il mondo in copia conforme, impongono una visione culturale e artificiale.
E nel caso dell'immagine registrata, cioè dell'immagine fotografica? Essa sì che sembrava avverare il sogno della riproduzione fedele della realtà, in quanto non elabora la figura in base a passaggi sequenziali che costruiscono l'immagine per addizione di materiale plastico secondo modelli e canoni codificati, ma si limita a riprendere, attraverso procedimenti meccanici e chimici, l'aspetto sensibile delle cose e delle persone. Eppure, anche nel caso della fotografia, vedremo come la rappresentazione del corpo umano segua schemi retorici e stilistici molteplici e ben riconoscibili.
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