venerdì 11 gennaio 2019

Le immagini rupestri del Paleolitico. Le figure teriomorfe

Scena rupestre nella grotta di Lascaux.


Se le figure umane dell’arte paleolitica mobiliare, come le Veneri, avevano una fattura realistica ed erano eseguite con maestria, quelle che invece troviamo nell’arte rupestre sono molto stilizzate e di qualità esteticamente inferiore. Nell’arte parietale del Paleolitico, la presenza di figure umane è relativamente scarsa, mentre prevalgono nettamente le immagini zoomorfe, eseguite peraltro con grande abilità e vivacità realistica. Per lunghi periodi, prima di cominciare a raffigurare se stesso, l’Homo Sapiens rappresenta tutte le specie animali a lui familiari, non solo quelle a cui dà la caccia, ma anche le specie non commestibili. E’ possibile, pertanto, che la mitologia di quegli uomini primitivi venerasse gli animali o ritenesse che in essi risiedessero gli spiriti soprannaturali. Alla teoria secondo cui questi dipinti e graffiti rupestri fossero una pratica propiziatoria della caccia (e quindi avessero una funzione magico-utilitaristica), infatti, oggi se ne affianca un’altra, che li riporta a un culto totemico. I punti indiscutibili, al momento, sono che l’arte parietale del Paleolitico avesse una funzione magico-religiosa e che le grotte decorate venissero utilizzate quali santuari in cui svolgere dei rituali specifici, sebbene le decorazioni venissero eseguite nelle parti più interne e quasi inaccessibili delle caverne.


Uomo-bisonte, graffito alto 25 cm., da Le Gabillou, Dordogna, Francia. (13.000-12.000 a.C.).

Una delle più antiche pitture parietali in cui compare la figura umana è la scena della caccia al bisonte nella caverna di Lascaux. Si tratta dell’unico personaggio umano presente nel vano principale di un complesso di ambienti, tutti dipinti con figure zoomorfe. La scena rappresenta un bisonte ferito gravemente da una lancia e un cacciatore anch’esso ferito dalle corna dell’animale cacciato, un avvenimento certamente non raro a quei tempi, data la superiorità fisica dei grandi animali e le attrezzature primitive dei cacciatori. Tutti temevano, probabilmente, quelle potenti bestie che avevano il dominio quasi totale della natura, e in particolare il bisonte, la più terrificante di tutte, forse la divinità principale di un ipotetico culto zoolatrico.
Ma osserviamo la figura umana. Questi ha una testa non di uomo ma di uccello. Si tratta di un tratto comune alle rappresentazioni di personaggi umani in questo periodo; tutte infatti mostrano teste di animali, il che fa indurre a pensare che gli uomini primitivi indossassero delle maschere in alcune circostanze particolari come, ad esempio, la caccia (si noti che anche l’arma, abbandonata dal cacciatore, reca in cima l’effigie di un uccello). Mascherato da animale e munito di un’arma con una decorazione zoomorfa, l’uomo di Lascaux credeva di essere protetto dai pericoli durante la caccia, forse nella convinzione che attraverso la parvenza animale potesse magicamente assimilare le stesse qualità animali.

Riproduzione del dipinto rupestre conosciuto come "Lo Stregone", Trois-Frères, Ariège (13.000 a.C. circa).

La nota curiosa di questi dipinti parietali della zona franco-cantabrica è il livello alquanto mediocre delle figure umane, realizzate con un disegno ingenuo e un’incuria palese nella descrizione dei particolari, mentre le figure animali sono rese con un vivace verismo e una grande cura per il dettaglio.
Riassumendo, ciò che contraddistingue queste figure umane è la loro stilizzazione e il loro mascheramento con pelli e teste di animali. Tali figure vengono denominate “teriomorfi”, e risulta comunque difficile dimostrare se si tratta di uomini mascherati o di veri e propri esseri ibridi, metà uomini e metà animali.
In alcune grotte francesi (Le Gabillou e Caverne du volp), ad esempio, troviamo i graffiti di un uomo-bisonte, cioè di una figura umana che indossa una pelle di bisonte e una maschera fatta con il muso e le corna dell’animale. Nella caverna conosciuta come "Il Santuario" a Trois-Frères (sempre in Francia) troviamo il graffito detto “lo Stregone”. Sembra rappresentare un uomo che indossa una pelle di cervo (oppure un essere ibrido, metà uomo metà cervo, anche se la testa potrebbe essere attribuita a un felino e la coda a un cavallo).
Gli studiosi non sono concordi nell’interpretare queste figure teriomorfe; le ipotesi variano dal ritenerle rappresentazioni di sciamani o di cacciatori mascherati, oppure di miti o di divinità. Secondo le ipotesi più accreditate, ci troviamo probabilmente di fronte al tentativo, da parte dell’uomo primitivo, di identificarsi con le forze naturali, nella speranza di accrescere la propria potenza, assumendo le qualità di esseri ritenuti superiori.

Statua-stele, trovata in Lunigiana, località Taponecco (MS), (fra il 3400/3300 e il 2300/2000 a.C.).

Queste raffigurazioni ibride e fortemente stilizzate sembrano indicare che l’uomo del Paleolitico non avesse ancora acquisito piena consapevolezza di sé come alterità nei confronti della Natura, ma sentisse ancora la necessità di confondersi nell’indistinto primordiale, assumendone e imitandone le modalità. La mancanza di una piena autocoscienza e di strumenti efficaci per contrastare le avversità naturali rendevano l’uomo parte costituente della totalità della Natura. Solo lo sviluppo dell’intelligenza e di forme più avanzate di scienza e di tecnica saranno in grado di condurlo a prendere coscienza di sé come essere diverso dalle altre specie viventi in natura.
Tuttavia, questi tentativi di controllare e dominare le forze della Natura attraverso l’imitazione e l’assunzione delle sue forme, portati avanti dall’uomo del Paleolitico sulle pareti delle grotte, costituiscono il primo passo in quel processo di acquisizione del sé, come entità distinta e indipendente dalla condizione primordiale.
Le figure teriomorfe, infatti, sono talmente diffuse a livello geografico e temporale (perdurano per circa 30.000 anni) da farci ritenere che esse avessero un significato condiviso e che quindi costituissero un codice simbolico sacro e complesso (sebbene a noi ignoto) e, in quanto tale, permettessero all’uomo di trascendere la realtà quotidiana e naturale.
Per le prime rappresentazioni del volto umano bisognerà attendere la fine del Neolitico e le produzioni di monumenti megalitici, i dolmen e i menhir, tipici dell’arte sepolcrale che ha origine proprio in quel periodo. Verso la fine del quarto millennio a.C. si cominciò ad incidere su questi blocchi e lastre di pietra delle figure, che assunsero progressivamente forme antropomorfe, fino a trasformarsi in statue-stele. Esse rappresentano figure di entrambi i sessi e si ritiene che fossero personificazioni di antiche divinità. Il culto dei morti e l’attribuzione di un aspetto umano alle divinità dei culti sono indici di un’evoluzione spirituale e di una presa di coscienza di se stessi da parte di quegli uomini, che avevano raggiunto ormai un buon dominio del proprio ambiente.


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