venerdì 15 dicembre 2017

Le finestre di Josef Sudek

Josef Sudek, Ultime rose, 1959.

Dalla finestra del proprio studio, il fotografo cecoslovacco Josef Sudek ha ripreso immagini piene di poesia, molte delle quali durante l'occupazione nazista di Praga.
Seppure privato del braccio destro durante la Prima guerra mondiale, la fotografia diviene il centro del suo lavoro. Il suo braccio mutilato non gli impedisce di aggirarsi per Praga con un treppiedi di legno sulla spalla e fermarsi ad aspettare anche per ore la luce giusta che dia vita a qualsiasi oggetto che desti la sua attenzione. Sudek viene definito poeta della luce, perchè con la luce, ricercata e a lungo attesa, compone le sue immagini.
Ad un primo sguardo le sue fotografie sembrano delle perfette nature morte o visioni di paesaggi, immagini del tutto convenzionali, ma esse sono frutto di un lavoro di preparazione lunghissimo, severo, che cerca nella bellezza e nell’armonia della luce la poesia del mondo. Un mondo che è immobile dietro una finestra rigata dalla brina o dalle gocce di pioggia, una finestra che è cornice e limite di uno spazio indefinito che definisce la poesia dei suoi scatti.


Il suo ascetismo e il suo rifiuto del lato più materiale della vita sono la base teorica su cui poggia la sua ricerca fotografica, la sua attrezzatura è altrettanto modesta quanto la sua persona. La sua macchina fotografica è una vecchia Kodak panoramic fuori produzione con cui fa fatica anche a trovare un formato di pellicola adatto, la nuova tecnologia e gli accessori non lo interessano.
La sua esplorazione della luce lo porta in giro per le strade di Praga, ma con l'inizio della Seconda guerra mondiale Sudek si ritira nel suo studio di Malà Strana, sulla riva sinistra della Moldava, concentrandosi su soggetti privati: la finestra del suo atelier, il giardino intorno, semplici nature morte in interno. Memorabili quelle messe in scena sul davanzale della finestra del suo studio, davanti a vetri rigati dalla pioggia o dalla brina, ritagliando piccoli quadri di elegiaca poesia, mentre all'esterno divampa l'orrore della guerra.


Dal 1940, la finestra del suo studio diventa il suo nuovo punto di ripresa: dall’interno verso l’esterno e poi dall’esterno verso l’interno, posando oggetti diversi sul suo davanzale. Esterno e interno, separati e uniti sempre dalla presenza del vetro. Con le sue nature morte vuole raggiungere quello che c’è oltre gli oggetti stessi, un mondo dove le possibilità degli oggetti sembrano illimitate.
Sin dai primi esperimenti di sviluppi e stampe, tra il 1918 e il 1922, per Sudek la stampa a contatto è quella che più si avvicina all’immagine fotografica: non gli interessano la finezza della grana o la nitidezza del contrasto. Inizia a usare anche carte leggermente colorate che accentuano le più lievi gradazioni tonali, mantenendo il contorno sfumato delle forme.



A questo link si possono vedere altre foto di Sudek: http://www.nikonland.eu/forum/index.php?/page/indice.html/_/grandi-fotografi/josef-sudek-la-profondita-delle-cose-semplici-r559

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