André Kertész, Distorsion n°40, Paris, 1933. |
Il fotografo André Kertész, ungherese di nascita, francese d'adozione, era considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e da Brassaï il proprio maestro. Se i suoi costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio da un lato ci impediscono di collocare il suo lavoro in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano lo sguardo poliedrico e la costante ricerca. La sua fotografia va dal lirismo umanista all'astrattismo costruttivista, dalle sperimentazioni surrealiste al fotogiornalismo e alla fotografia di strada, pur dichiarandosi sempre indipendente rispetto a qualsiasi movimento artistico.
Nel 1933 la rivista satirica francese Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. In particolare il Direttore chiese a Kertész di «produrre immagini di nudo capaci di rinnovare drasticamente il genere». Per l’occasione il fotografo ungherese utilizzò alcuni specchi deformanti da Luna Park, sia concavi che convessi, e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle in pose diverse, o meglio dei loro riflessi negli specchi, che restituivano immagini distorte dei corpi. La serie, conosciuta con il nome di Distorsioni, comprendeva 200 foto: ciò che all’inizio doveva essere un servizio all’interno di una rivista umoristica, finirà per essere una serie tra le più apprezzate di fotografia artistica del Novecento.
Anche se queste immagini costituiscono un evento particolare nella produzione di Kertész, nello stesso tempo conservano un legame con tutti quegli elementi propri dello stile del fotografo, e cioè il suo uso di luci, giochi di ombre, distorsioni e deformazioni, riflessi e isolamento dei dettagli, cioè quegli artifici che producono la destabilizzazione dell'immagine tradizionale e realistica. Qui gli specchi non sono usati come un elemento rivelatore di un soggetto, ma come un agente deformante, sebbene non si perda del tutto il contatto con il riconoscibile, poiché alcuni dettagli corporei restano integri. Kertész gioca con l’istanza realistica della fotografia: piuttosto che vedere queste immagini come studi sul corpo, possiamo intenderle come studi su come il contesto nel quale osserviamo un oggetto determina radicalmente la nostra percezione di esso, anche se mediata da un mezzo meccanico come la macchina fotografica.
André Kertész - Distorsioni n. 147, 1933 |
André Kertész - Distorsione # 135, 1933 |
Kertész è affascinato dalle alterazioni del corpo, da quelle "aberrazioni" prospettiche che implicano la possibilità di creare nuove forme del reale, in grado di sovvertire gli stereotipi consolidati. Il suo interesse per le distorsioni era nato già nel 1917, osservando la figura diluita e deformata di un nuotatore sott’acqua, forse il fratello Jano (Nuotatore sott'acqua, 1917). Nel 1926 dà vita a un’altra delle sue fotografie più famose, La ballerina di burlesque, dove una donna, la danzatrice Magda Forstner, distesa su un divano, imita le forme distorte di una scultura astratta, collocata su un piedistallo vicino.
André Kertész, Nuotatore sott'acqua, 1917. |
André Kertész, La ballerina di burlesque, 1926. |
Le Distorsioni del 1933 attraggono lo spettatore con la loro conturbante “mostruosità”. Alcune sono piene come sculture, altre sembrano liquefarsi; alcune risultano grottesche, altre terrificanti, altre ancore pregne di sensualità, per quanto inconsueta e perversa. Le fotografie, a causa delle distorsioni operate dagli specchi, sono delle rappresentazioni metamorfiche, ipertrofiche, a tratti spettrali del corpo umano. In alcuni casi, l'immagine delle modelle è così deformata che solo alcuni arti o elementi del corpo sono riconoscibili nella foto. Sono forme idrocefaliche e tentacolari, corpi chimerici in bilico tra bellezza e ripugnanza.
André Kertész - Distortions # 143, 1933 |
André Kertész - Distortions # 76, 1933 |
André Kertész - Distorsione # 46, 1933 |
Il nudo femminile, che da millenni costituiva il luogo in cui attingere la perfezione della forma armoniosa e unitaria, l’ideale della bellezza senza tempo, diviene invece la figura della distorsione grottesca, dell’aberrazione, della frammentazione.
André Kertész - Distorsione n. 45, 1933 |
Emerge in quest’opera una concezione antinaturalistica e antidescrittiva della fotografia, che, a partire da un elemento reale come il corpo, apre la porta a una realtà diversa, che va oltre quella comunemente nota e che per questo è stata associata alle metamorfosi surrealiste. E tuttavia, nel caso delle Distorsioni di Kertész, non è la fotografia ad essere manipolata (Kertész non ritoccava i suoi scatti in camera oscura), né tantomeno si tratta di inquadrature eccentriche o innovative. La macchina fotografica demanda all’interazione tra modella e specchio la ricerca di quel punto di vista alternativo sul corpo che, generalmente, la fotografia surrealista otteneva nel rapporto tra macchina e modella o nelle manipolazioni in fase di stampa.
Ciò che agisce nelle Distorsioni di Kertész è un dispositivo complesso, di cui il vero protagonista attivo è lo specchio. Come si può vedere a questo link: https://lapetitemelancolie.net/, nella maggior parte delle immagini, tale dispositivo è ben visibile e, talora, oltre al suo riflesso nello specchio, vediamo anche la modella in carne e ossa nel suo aspetto normale (ad esempio nella Distorsione n. 39 e nella n. 45). Ciò che riprende la fotografia, dunque, è il corpo e insieme lo specchio, l’oggetto e insieme la superficie che lo riflette. E la macchina fotografica non fa che replicare l’azione deformante dello specchio, entrambi dispositivi della visione, in quanto, per i surrealisti e per Kertész, la fotografia è anch’essa distorsione, anamorfosi, del reale, invece che sua rappresentazione esatta e oggettiva.
In generale, le Distorsioni di Kertész sono accostabili alle forme del corpo che sono prodotte dai pittori e scultori degli anni Trenta, come Pablo Picasso, Henri Matisse, Constantin Brancusi, Henry Moore, Hans Arp, solo per citare i più noti. L’artista non aderisce al movimento surrealista, ma è indubbio il richiamo di queste immagini a quell’estetica e, in particolare, ad alcuni dipinti di Magritte, come "Entr'acte" (1927) o "Gli esercizi dell'acrobata" (1928), in cui si vedono corpi deformati o membra frammentate, in cui il corpo come punto di riferimento unitario è del tutto assente. Sia quelle di Magritte che quelle di Kertesz sono immagini in cui il corpo sfugge al dominio dello sguardo e della comprensione; immagini che destabilizzano lo spettatore, che lo privano del punto di vista abituale e convenzionale, obbligandolo a interrogarsi sull'ambiguo rapporto tra realtà e apparenza.
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