martedì 9 ottobre 2018

La decostruzione dell’identità. "Untitled Film Stills" di Cindy Sherman

Untitled Film Still #3

Le fotografie di Cindy Sherman sono delle meticolose messe in scena. Le sue immagini si collocano su un confine tra fotografia e performance teatrale, la cui ripresa è come se fissasse una scena.
Una delle sue prime serie, Untitled Film Stills, è costituita da 69 fotografie, prodotte tra il 1977 e il 1980. Già il titolo (il cui significato letterale è “Fermo-immagine senza titolo) ci induce a considerare queste immagini non come delle semplici fotografie, ma come dei fermo-immagine cinematografici, momenti di una narrazione. Sono, inoltre, delle immagini in bianco e nero, perché in esse la Sherman mette in scena gli stereotipi visivi, ma anche psicologici, che il cinema hollywoodiano degli anni Cinquanta e Sessanta aveva costruito intorno all’immagine della donna (la starlette, la femme fatale, la casalinga, la donna in carriera, la ragazza romantica). Le molteplici identità femminili rivelate da queste fotografie mirano a evidenziare le convenzioni sociali e culturali che hanno sottratto alle donne la propria individualità. Modellati dai media, instillati dalla cultura, questi stereotipi condensano una serie di attributi del “femminile” - la fragilità, la seduzione, il mistero (per citarne alcuni) - che le donne devono rispettare per poter “esistere”.

Untitled Film Still #21.

I suoi personaggi impersonano un modello di femminilità che caratterizzava l’immaginario cinematografico del genere noir dei decenni precedenti e dei thriller hitchcockiani, come si evince dal netto contrasto tonale che stilizza la messa in scena, tipico di quella cinematografia. Per questo motivo le immagini hanno un carattere familiare, quasi di déjà vu. Rimandando direttamente a un immaginario mediatico diffuso, il loro significato e la loro portata artistica non sono scindibili dal bagaglio visivo che evocano.
Supporto di interminabili manipolazioni e metamorfosi, è l’artista stessa alla base della sua impresa fotografica. Sebbene la Sherman esponga continuamente il proprio corpo, rimodellandolo all’infinito, sarebbe ingenuo interpretare queste immagini come degli autoritratti. Le fotografie che produce costituiscono altrettante sfaccettature dell’artista, ma non la rivelano mai. Questo è il paradosso che è alla base dell’intera opera : l’artista, come la donna che vuole rappresentare, è contemporaneamente sovraesposta e assente, rappresentata e anonima, familiare e non identificabile.

Untitled Film Still (#14)

Come è consuetudine per un attore cinematografico, anche il personaggio femminile che compare in queste fotografie (la stessa Sherman, che nelle sue messe in scena svolgeva tutti i ruoli, dalla modella alla truccatrice alla scenografa) non guarda in macchina, ma dirige il proprio sguardo sempre al di fuori dell’inquadratura, come ad evocare un fuoricampo che rimarrà ignoto.
Il lavoro dell’artista è una riflessione sull’immagine e sull’identità, ma soprattutto una analisi sui cliché mediatici della figura femminile, alla decostruzione dei quali mirano queste messe in scena. In esse, infatti, la donna è presentata così come l’ha elaborata lo sguardo maschile: inquieta, vulnerabile, sottomessa, disperata, non autonoma. La sua postura è quella di un soggetto che non riempie lo spazio in modo stabile e consapevole, ma è subordinato a un altro spazio, che noi non vediamo, il fuori campo dove probabilmente c’è una presenza maschile, che incute paura e sottomissione. Il suo sguardo, spesso spaventato o insicuro, carica l’immagine di tensione drammatica, anche all’interno di una banale scena domestica. Il soggetto della fotografia, che è oggetto di quello sguardo esterno che non vediamo, sembra privato di ogni potere sotto l'influenza dell'altro.

Cindy Sherman. Untitled Film Still #53.

Uno still-frame è un fotogramma bloccato, che interrompe il flusso del film. A differenza di una fotografia, che è immobile e la cui porzione di spazio inquadrata è immutabile, un film è, invece, caratterizzato dai movimenti di macchina, che fanno variare in continuazione lo spazio incluso nell’inquadratura, in un movimento che mette sempre in relazione un campo e un fuori campo. Lo sguardo dei personaggi femminili della Sherman evocano proprio il fuori campo, attivando un meccanismo narrativo propriamente cinematografico, dando l’idea dell’attimo in cui sta per verificarsi qualcosa. A differenza delle immagini assorbite in cui tutta la scena è chiusa in se stessa, qui l’immagine rimanda oltre la cornice, ma comunque verso un spazio contiguo a quello rappresentato, e che dunque appartiene alla stessa dimensione.
Davanti a queste immagini dall’azione bloccata, lo spettatore è tagliato fuori dalla scena. Egli non sa come collocarla: tutto gli sembra familiare e al tempo stesso sconosciuto. Per poterla interpretare, è invitato a inventarsi una storia o, come la stessa artista ha dichiarato, a immaginarsi il personaggio di un film degli anni Cinquanta o Sessanta.

Cindy Sherman, Untitled Film Still #50, 1979.

Utilizzando consapevolmente un mezzo ambiguo come la fotografia, che produce documenti e contemporaneamente costruzioni finzionali, Sherman produce delle immagini ibride, capaci di conservare la stessa tensione scenica e drammatica di un film, ma nello stesso tempo di mettere in atto la potenzialità rivelativa di un’immagine fotografica. Sono proprio l’immobilità e l’isolamento spaziale e temporale della fotografia che permettono all’immagine di ritornare criticamente su se stessa. In questo modo, fissati in modo stabile, esasperati da una messa in scena che amplifica certi effetti teatrali, gli stereotipi rappresentati si rivelano per ciò che sono: delle costruzioni, delle finzioni, dei vuoti esistenziali. In questo senso si spiega la ricerca della Sherman di accentuare l’artificio dell’immagine (trucco marcato, accessori ricorrenti, volti inespressivi). Lo spettatore è chiamato a ricoprire la posizione del voyeur e, contemporaneamente, a riflettere sulla perversità del proprio sguardo, attratto da situazioni ambigue, morbose, angosciose o violente dove la vittima è la donna. Di più: tutta l'opera non è altro che il disvelamento del paradigma dello sguardo voyeuristico, in quanto le immagini sono costruite "a beneficio" di esso e, nello stesso tempo, per smascherarlo.

Cindy Sherman, Untitled Film Still #10 1978,

Mentre le fotografie si palesano come artifici e messe in scena, contemporaneamente mettono in luce l’artificiosità di ciò che rappresentano. Come le immagini sono costruite, così anche i soggetti ripresi si rivelano identità fittizie, modellate secondo codici e schemi prestabiliti. Letteralmente intrappolate nei cliché che incarnano, queste donne sono condannate a essere solo oggetti seriali, destinati al consumo e alla riproduzione.
Il lavoro di Sherman, in conclusione, rivela il carattere fluttuante e artificiale dell'identità e la complicità della fotografia e dei media nella sua costruzione. Mette in discussione il corpo per mostrare i limiti e l'artificialità della sua rappresentazione in una società inondata di immagini. E’ anche un’analisi sull’immagine, quella della Sherman: la fotografia non riproduce la realtà, ma mette in atto processi di costruzione di stereotipi visivi, che modellano inconsciamente la nostra identità e il nostro sguardo su noi stessi.

Cindy Sherman, Untitled Film Still #30, 1979.

Cindy Sherman, Untitled Film Still #58, 1980.

“Untitled Film Still #17” (1978)

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