lunedì 26 ottobre 2020

Pillole di teoria dell'immagine. Pictorial Turn

Scuola Italiana del XVII secolo, Allegoria della Pittura


Pictorial TurnIconic Turn, Bildwissenschaft, Visual Culture Studies, sono termini che vediamo e leggiamo spesso. Ma, cosa sono?

Intorno alla natura dell'immagine e della visione dibattono da sempre numerose discipline.
La filosofia, fin dalle sue origini, e negli ultimi decenni con vari approcci (da quello trascendentale a quello fenomenologico a quello ermeneutico). Ma, soprattutto nel secolo scorso, tanti sono gli ambiti del sapere che hanno cominciato a riflettere sullo statuto di questi oggetti problematici: la semiotica, la psicologia e le neuroscienze, le scienze cognitive. Anche perché, nel frattempo, e soprattutto dagli anni Novanta, la quantità di immagini aveva cominciato ad incrementarsi a livello esponenziale, grazie alla diffusione di nuove tecnologie e di nuovi strumenti di produzione, di riproduzione e di diffusione di oggetti visuali, i quali sono andati acquisendo una centralità storicamente inedita.
Ed è proprio negli anni Novanta che avviene quella che è conosciuta come svolta iconica (ikonische Wendung, in area tedesca e pictorial turn, in area anglo-americana). Questa espressione fa riferimento a un modo diverso di intendere le rappresentazioni visuali, che in un certo senso ribalta il linguistic turn, cioè la tendenza, da parte delle teorie afferenti o derivanti dal poststrutturalismo, a considerare ogni produzione segnica come un testo, e cioè riconducibile a un discorso (Logos). 
Il pictorial turn ribadisce piuttosto la peculiarità degli studi visuali e richiede un cambiamento epistemologico che pone lo studio delle immagini sullo stesso piano di quello del linguaggio. Si parla di svolta iconica per sottolineare, in particolar modo, il grande effetto che oggi le immagini determinano sulla stessa antropologia dell'Homo sapiens, una constatazione che impone l'impianto di studi appropriati del visuale, di una 'scienza delle immagini' non riducibile alle discipline che si occupano delle analisi linguistiche e testuali.

Questa svolta è portata avanti da due scuole di pensiero coincidenti con le due aree geografiche tedesca e anglo-americana. In ambito tedesco la “svolta” ha il nome di Bildwissenschaft (traducibile, appunto, in Scienza dell'immagine), ed è una scuola di pensiero che attinge alla tradizione filosofica europea continentale e alla storia dell'arte. Pioniere è Gottfried Boehm, il quale, agli inizi degli anni Novanta, va alla ricerca di quella logica “interna” e propria delle immagini - che nulla ha a che vedere con la parola -, grazie alla quale esse producono senso e sapere, per mezzo del "mostrare" anziché del "dire". «Com’è che le immagini generano senso? È questa la domanda che mi guida – una domanda che […] pone […] l’accento sull’artefatto, ma che chiama sempre in causa anche l’interazione con il fruitore in un determinato contesto.» (Boehm G., Iconic turn, 2012). Perciò la ricerca di Boehm non si limita a un'analisi dell'immagine, ma ne approfondisce l'aspetto antropologico, affrontando contemporaneamente lo studio del medium, inteso come strumento in virtù del quale le immagini circolano, e quello di corpo, cioè la condizione di colui che agisce come autore e di colui che percepisce come fruitore.
Tra gli esponenti di maggior spicco, oltre Boehm, citiamo Horst Bredekamp e Hans Belting.
Con il riferimento forte anche all'opera di un grande tedesco come Aby Warburg, gli autori della Bildwissenschaft rivolgono la loro attenzione al ruolo dell’immagine nella formazione della conoscenza, attingendo in maniera indistinta sia alla storia dell'arte che alla scienza e occupandosi dell’intero ambito delle immagini (fotografia, immagini non artistiche, film, video, pubblicità, cartoline e manifesti), compreso ciò che, a prima vista, può sembrare marginale e privo di interesse. 
Vale la pena citare uno degli assunti fondamentali di Horst Bredekamp, secondo il quale «le immagini non possono essere collocate davanti o dietro la realtà, poiché esse contribuiscono a costruirla. Non sono una emanazione, ma una sua condizione necessaria.»

In area angloamericana è lo storico dell’arte William John Thomas Mitchell che, nello stesso anno 1994, conia il termine pictorial turn e fonda l'altra scuola di pensiero, i visual culture studies (o anche semplicemente visual studies, che sono lo studio della visual culture). I visual studies, più che alla filosofia e alla storia dell'arte, attingono maggiormente ad esperienze di studio di matrice angloamericana come i cultural studies, i feminist studies e i postcolonial studies, attenti alla valenza culturale, sociale e politica dell'immagine come dello sguardo dello spettatore.  I visual culture studies studiano le immagini e la visione all'interno di un contesto ampio quale è quello della “cultura visuale”; ciò significa prendere in esame tutti gli aspetti formali, materiali, tecnologici e sociali che contribuiscono a situare le immagini e gli atti di visione in un contesto culturale. 
Anche Mitchell riconosce il ruolo centrale delle immagini nella contemporaneità, cercandone, come Boehm, una specificità non testuale, dunque non verbale. 
Mitchell sa bene che non si tratta di una svolta assoluta, ma di una figura del pensiero che ritorna nella storia della cultura ogni volta che si rendono attive nuove tecnologie o nuovi tipi di immagini, come ad esempio avvenne con l'invenzione della prospettiva quattrocentesca o con quella - secoli dopo - della fotografia.
Per lo studioso, inoltre, la questione delle immagini va posta a partire non da ciò che consideriamo la loro essenza o consistenza ontologica, ma da ciò che esse pretendono da noi, dalla loro agency all'interno dei processi comunicativi. Si tratta dunque di un approccio che non riduce le immagini a linguaggio, segno o discorso ma le considera veri e propri soggetti dell'interazione sociale (Cfr. Cometa M., Prefazione a W.J.T. Mitchell, Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, 2017).
A questo proposito Mitchell è molto chiaro: il pictorial turn non è un ritorno alle teorie ingenue della rappresentazione basata sulla mimesi, sulla copia o sulla corrispondenza. L'immagine non è intesa come riproduzione di un referente, ma come una complessa interazione tra visualità, corpi e figure, dispositivi, istituzioni, discorsi. Come si vede, è una definizione che sottolinea soprattutto la dimensione mediale dell'immagine, cioè il suo essere un prodotto culturale che circola nella società. L'invito che rivolge, e che pone al fondo della sua ricerca, è infatti ad indagare non tanto ciò che le immagini significano e fanno, ma ciò che le immagini vogliono (What do Pictures Want? è il titolo di un suo saggio del 2005).
Pur nella specificità delle due scuole, gli elementi che accomunano la Bildwissenschaft ai Visual Culture Studies sono molteplici: innanzitutto l'intento di affrontare in maniera interdisciplinare il tema delle immagini, della visione e del loro significato culturale (coinvolgendo ambiti di studio tradizionali come l'estetica, la storia dell'arte, la semiotica), di estendere la ricerca a ogni tipo di prodotto visuale senza limitarsi alle immagini d'arte, di riconoscere le differenze tra il valore artistico di un'immagine e la sua rilevanza in un determinato contesto.
L'altro assunto comune è il superamento del linguistic turn e della testolatria (cioè il culto del testo verbale) e la consapevolezza dell'irriducibilità di iconico e verbale, di visivo e linguistico, che sono due ambiti distinti. E, tuttavia, Mitchell non manca di riconoscere come tutte le arti siano 'composite' (sia testo sia immagine) e che non esistano media visivi puri, in quanto tutti i media sono misti (mixed media). È sostanzialmente questo il significato della sua nozione di Image/Text.

Riferimenti
BOEHM G., Iconic turn, 2012
MITCHELL W.J.T., Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
PINOTTI, A., SOMAINI, A. (a cura di), 2009. Teoria dell’immagine. Il dibattito contemporaneo. Collana Saggi. Milano: Raffaello Cortina.
PINOTTI, A., SOMAINI, A., 2016. Cultura visuale. Immagine sguardi media dispositivi. Collana Piccola Biblioteca Einaudi. Torino: Einaudi.

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