domenica 7 luglio 2019

La fotografia surrealista e l’estetica dell' "informe"

Bill Brandt

Per i sostenitori del Surrealismo, la percezione della realtà non è altro che una costruzione della mente e dei suoi meccanismi. Magritte afferma che noi vediamo il mondo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi. In questo contesto, il corpo umano, in quanto frontiera tra il reale e la vita interiore, diventa il laboratorio espressivo ideale nel quale realizzare la messa in scacco delle convenzioni percettive e rappresentative ereditate dalla tradizione. Per questo motivo, il corpo femminile, soggetto principe dei surrealisti, è un corpo improntato al disordine, alla dismisura, all’anormalità, a quella nozione di “bellezza convulsiva”, teorizzata da Breton, o a quella dell’ “informe”, elaborata da Bataille. Entrambi questi concetti esprimono la volontà di andare oltre la rappresentazione del corpo naturale, di mostrarlo nella sua alterità.

Brassaï, Senza titolo, 1933.

Il corpo della donna che compare nella pittura e nella fotografia surrealista è spesso incompleto, mutilato, frammentato, ibridato, sovvertito, soggetto a una redistribuzione anatomica che fa in modo, ad esempio, che la testa perda il suo primato per confondersi con il resto del corpo, fino a scomparire. Si pensi alle fotografie di Man Ray, che privano il corpo femminile della sua immagine familiare, o alle Distorsioni di Kertész, che presentano una corporeità deformata, ipertrofica e anamorfica, oppure ai fotomontaggi di Pierre Molinier, in cui il corpo della donna diventa quasi un mostruoso meccanismo formato da parti replicabili e smontabili. La disintegrazione delle categorie e degli schemi percettivi tradizionali, insomma, nell’estetica surrealista, si esplica in primo luogo come disintegrazione del corpo.

Dora Maar
Pierre Molinier

Pierre Molinier

Pierre Molinier

L’estetica dell’informe caratterizza la produzione di larga parte dei fotografi surrealisti, compresi, oltre quelli citati, Tabar, Boiffard, Brandt, Bayer, Hugnet, Dora Maar e lo stesso Brassaï, i quali “hanno permesso di identificare un linguaggio della “metamorfosi” continua in cui la figura femminile o l’oggetto quotidiano sono stravolti o resi perversi da un processo di violenza del desiderio sull’ordine del discorso per immagini” (Germano Celant, Fotografia maledetta e non). In tal modo, questi artisti innovano di molto la funzione poetica della fotografia, portandola ben oltre “la pratica e la logica del ritrarre e del documentare”.

Raoul Ubac, La battaglia delle Pentesilee, 1939
Raoul Ubac

Bataille non fornisce una vera e propria definizione di “informe”; piuttosto gli attribuisce un compito: quello – come scrive Krauss – di negare che ogni cosa abbia una forma “propria”. Si tratta dunque di un attacco aggressivo alla “forma”, che trova nelle possibilità del mezzo fotografico un valido alleato. Attraverso manipolazioni come la solarizzazione, l’esposizione molteplice, il collage, il fotomontaggio, ecc. il corpo viene disgregato dall’interno oppure è sottomesso a degli “assalti ottici” esterni (Krauss). “Le Combat des Penthésilées” de Raoul Ubac, ad esempio, mostra parti duplicate di corpi che, attraverso la manipolazione del medium, sembrano emergere (o sprofondare) dal fondo, subendo un processo di decomposizione. Ubac ottiene un’altra sua celebre fotografia, La Nébuleuse, sottoponendo il negativo che mostra una figura femminile al calore di un fornellino, che corruga l’emulsione, provocando la fusione e la corrosione dell’immagine.

Maurice Tabard

Maurice Tabard

Maurice Tabard

Sovraimpressioni, esposizioni multiple, rovesciamento del negativo, utilizzo di specchi sono invece le tecniche che segnano le fotografie stratificate e composite di Maurice Tabard, attraverso le quali realizza la disarticolazione del corpo femminile nel doppio del riflesso, lo sottopone a mimetismo, sfondandone i limiti e esponendolo all’invasione dello spazio e alla minaccia delle ombre.
Il nudo surrealista ridisegna una nuova cartografia anatomica, afferma Q. Bajac, a forte connotazione sessuale e in costante metamorfosi. Si nota, inoltre, presso i surrealisti, una fascinazione per la donna dal corpo artificiale, che si tratti dell’automa o della bambola. A questo proposito, emerge in tutta la sua forza il progetto di Hans Bellmer, con le sue fotografie di bambole orrendamente disarticolate e amputate, le cui forme sono espressione senza fine di un processo che è insieme di costruzione e di smembramento, in cui il corpo diventa un assemblaggio di plastica smontabile e rimontabile. Si tratta non della rappresentazione oggettiva del corpo ma, nella volontà di uscire fuori dagli archetipi e dagli stereotipi, della messa in scena del corpo così come viene immaginato e vissuto dall’interno.

Jacques-André Boiffard, L'alluce, 1929.

André Boiffard isola alcuni dettagli del corpo trasformandoli in feticci, come un alluce oppure una bocca ripresa in primissimo piano, che mostra un’inquietante lingua umida. La tendenza a prediligere il taglio che decontestualizza o sottopone ad astrazione i frammenti del corpo si ritrova anche in altri autori che frequentano l'ambiente surrealista, come Lee Miller, Dora Maar, Bill Brandt, che fotografa le parti del corpo delle donne da punti di vista rivoluzionari o con lenti deformanti, talmente vicine all’obiettivo da sembrare irriconoscibili oggetti inanimati. Un ginocchio, un piede, una gamba, una mano acquistano una monumentalità che spesso li mimetizza con il paesaggio naturale, conferendo loro una completa autonomia rappresentativa.

Bill Brandt

Bill Brandt

Nel 1951 Salvador Dalì concepisce e progetta un assemblage che Philippe Halsman fotografa. Si tratta di In Voluptate Mors, un quadro vivente composto dai corpi nudi di sette donne formanti l’immagine di un teschio, che richiama l’idea del binomio inscindibile di eros e thanatos. Il corpo femminile subisce qui una totale dislocazione, divenendo strumento di rappresentazione di una metafora visiva, assoggettato ad assolvere una funzione che gli è estranea. Qui il “sadismo” non viene esplicato direttamente sul corpo, ma coinvolge il ruolo che gli viene assegnato, in quanto sette corpi vivi e floridi vengono piegati a formare un cranio, cioè una parte del corpo umano, che si trova sotto la carne viva ed è simbolo di morte.

Salvador Dalí e Philippe Halsman, In Voluptate Mors, 1951.

Il Surrealismo porta avanti la riduzione del corpo ad oggetto, cominciata dal Dadaismo, una riduzione che si afferma come forza eversiva, in grado di aprire un nuovo spazio di consapevolezza, del quale la fotografia si fa strumento privilegiato di analisi.

Lucien Lorelle. Nu au papillon 1953.

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