sabato 16 marzo 2019

Lo scandalo del corpo imperfetto nell'arte di Caravaggio

Caravaggio, Fanciullo con frutta o Bacchino malato, 1593-94, Roma, Galleria Borghese

Al centro dell’arte del Caravaggio vi è il corpo umano, ma si tratta di una centralità ben diversa da quella che deteneva nell’arte dei due secoli precedenti. Questo artista, infatti, compie una vera e propria rivoluzione nell’ambito della pittura, rifiutando i modelli artificiosi e ripetitivi dello stile manierista per rifarsi direttamente alla natura, ma con spirito diverso rispetto agli artisti classici o rinascimentali. Se quelli, infatti, guardavano alla natura per selezionarne le parti e gli aspetti più belli e armoniosi al fine di elaborare la figura umana ideale secondo un determinato canone di proporzione, Caravaggio sceglie i suoi modelli tra la gente del popolo, cogliendone gli aspetti meno perfetti, a volte infimi e volgari, come i piedi sporchi dei pellegrini che compaiono in adorazione alle sue Madonne. La rappresentazione di personaggi appartenenti alle classi più umili e popolari, benché piuttosto comune nell’arte fiamminga, era invece una novità nell’arte italiana, se si escludono le produzioni dei fratelli Campi.


Tomaso Montanari, nella prima delle dodici puntate che compongono il suo viaggio intorno a questo artista (https://www.youtube.com/watch?v=cgtTSx7LvlA), afferma che il Caravaggio “risolve tutti i suoi quadri come uno sguardo sul corpo. Uno sguardo nuovo, uno sguardo anticonformista, uno sguardo violento, a volte, e molto spesso uno sguardo che non era tollerato dai suoi contemporanei.”
Sempre secondo Montanari, è stato proprio questo sguardo sul corpo l’elemento responsabile dei rifiuti che le opere del Caravaggio hanno spesso subito da parte dei contemporanei. E’ stato “il rapporto con i corpi, corpi rappresentati com’erano, senza filtri, senza veli, con una forza, un’evidenza, una disperazione che davvero era intollerabile. Dove i suoi contemporanei cercavano un rimedio, cercavano un’evasione, cercavano un’altra dimensione, cercavano una via di fuga dalla realtà: per esempio sulle pale degli altari pieni di angeli, di luce, di trascendenza, di cielo, di speranza, Caravaggio rimetteva al centro il nostro corpo con le sue lacerazioni, con le sue ferite e con le sue imperfezioni, con la sua fine.”
Questa disposizione è già evidente nelle opere giovanili, come quel Fanciullo con frutta o Bacchino malato di Galleria Borghese. Quasi sicuramente un autoritratto del pittore realizzato durante un periodo di convalescenza. In questo dipinto sono evidenti i segni della malattia, come il colorito pallido e le labbra bluastre.

Caravaggio, Morte della Vergine, 1604, Musée du Louvre, Parigi.

Caravaggio rifiuta ogni trascendenza; la sua pittura dona un significato immanente anche agli eventi sacri, volendo raffigurare la presenza concreta di Dio tra gli umili. I personaggi del Sacre Scritture sono soggetti a un’umanizzazione che i contemporanei trovano spesso intollerabile, e questo “scandalo” si esplica in primo luogo nella rappresentazione del corpo. Si osservi, ad esempio, La morte della Vergine (1605-06), che venne giudicata irriverente e rifiutata dalla committenza. I personaggi che interpretano gli apostoli sono popolani dai visi rugosi, con le mani callose, i piedi scalzi e le vesti miserevoli. Ma è soprattutto il corpo della Madonna a sconvolgere ogni iconografia: è gonfio, livido, scomposto nella posa, tutto vestito di rosso, privo di ogni aura di santità. Solo la luce, che investe il busto e il volto della Vergine, sottolinea la presenza del divino; quella luce che plasma e modella i volumi dei corpi facendoli uscir fuori dal buio della scena. La tradizione aveva rappresentato il tema iconografico della morte della Vergine dando la preferenza non all’evento della morte, ma a quello dell’assunzione in cielo di Maria tra schiere di angeli e santi. Caravaggio riporta la vicenda su un piano terreno, raffigurando la morte della Vergine come quella di una donna comune, il cui corpo mostra tutti i segni della fine, conferendo un carattere di quotidianità all’evento sacro, rendendolo emotivamente coinvolgente per lo spettatore. ““Nulla lascia presagire l’assunzione in cielo - afferma ancora Montanari -, nulla lascia sentire la speranza della resurrezione; sembra una fine senza speranza, umanissima. […] Parla della solitudine della morte, parla di una solitudine tutta schiacciata sull’immanenza del nostro corpo.”

Caravaggio, L'incredulità di San Tommaso, 1601-02, Bildergalerie di Potsdam.

Anche ne L’incredulità di San Tommaso (1601-02) è fortissimo il tema del corpo, evidenziato dal gesto compiuto da Gesù nell’afferrare teneramente la mano dello scettico Tommaso, portandone un dito all’interno della piaga aperta del costato. E’ un invito all’esperienza tattile, al contatto sensibile con la corporeità del Dio risorto. Anche qui è solo la luce che investe il fianco e il costato del Cristo a testimoniare la sacralità dell’evento, a costituire l’unico legame con la sfera ultraterrena. Tutta l’atmosfera è sospesa intorno a questa esperienza dei sensi. Il Dio si dà concretamente come carne viva, come prova sensibile, non come apparizione o visione.
Il Rinascimento collocava le sue figure distribuendole in uno spazio ordinato, strutturato in profondità. Caravaggio propende per un’organizzazione spaziale alquanto diversa: ingrandisce le figure ponendole molto davanti nel piano, collocandole in un ambiente strettissimo, chiuso immediatamente alle loro spalle. Ciò permette di abbattere l’invisibile linea di separazione tra l’universo della rappresentazione e quello dello spettatore, unendo lo spazio del dipinto con quello reale. Non attraverso l’organizzazione prospettica dello spazio, ma si cerca il coinvolgimento dello spettatore attraverso un atto di avvicinamento ad esso. Grazie anche al realismo che permea la rappresentazione, il quadro mette la storia alla portata dell’esperienza sensibile di colui che guarda. E’ soprattutto la corporeità dei personaggi – una corporeità viva e sensibile - a offrirsi alla fruizione dell’osservatore. Questi è avvicinato, è portato in prossimità dell’evento, nell’attimo in cui questo accade, ed è invitato a partecipare non solo come testimone, ma come attore vero e proprio.
Anche l’uso di ampi gesti contribuisce a questo coinvolgimento. Braccia alzate e mani distese erano già da tempo un mezzo per accentuare la drammaticità di una scena e per evidenziare le reazioni emotive dei personaggi, ma per Caravaggio diventano anche un elemento efficace per attivare il pubblico e renderlo partecipe alla rappresentazione. Le mani che si protendono diagonalmente, oltrepassando il piano, della Cena in Emmaus di Londra ci danno l’illusione di essere fisicamente presenti nella scena come testimoni dell'evento sacro che si sta compiendo.

Caravaggio, La Cena in Emmaus, 1601-02, National Gallery, Londra.

Un altro elemento significativo è l’ossessione di Caravaggio per le teste mozzate, recise dal corpo, a partire dalla Testa di Medusa del 1597. Si ricordi che per l'uccisione di Ranuccio Tomassoni, Caravaggio era stato condannato alla pena della decapitazione, sentenza che ognuno poteva eseguire ed essere per questo anche ricompensato. E' singolare, da questo punto di vista, che in molti autoritratti Caravaggio si sia ritratto nelle fattezze di un personaggio decapitato: Oloferne, Giovanni Battista, Golia. In questi dipinti si rappresenta sempre come vittima col capo reciso, quasi a voler mettere in scena la propria punizione e l'espiazione di una vita turbolenta e tormentata. E’ l’oscenità estrema nella rappresentazione di un corpo umano, la sineddoche anatomica più scandalosa: la testa prende il posto dell’intero corpo, una testa che sembra ancora in vita, testimoniata dal guizzo di luce negli occhi e dalla bocca aperta, come nell’atto di proferire l’ultimo grido.

1. Davide con la testa di Golia (1607), 2. Salomé con la testa del Battista (1607-10), 3. Giuditta e Oloferne (1599-1600), 4. Davide e Golia (1600 ca.), 5. Salomé con la testa del Battista (1609 ca.), 6. Davide con la testa di Golia (1609-10)

I corpi del Caravaggio non sono quelli idealizzati e sublimati di Michelangelo e Raffaello, ma corpi imperfetti, fragili, sottoposti a violenza e che a volte emanano una sensualità torbida. Solo la luce radente, una luce non naturale che proviene da una fonte luminosa esterna al dipinto ed è simbolo della presenza divina, li riscatta dalla loro imperfezione, venendo da essa modellati e condotti nel vivo del miracolo che si sta compiendo. Questa luce redime i corpi nella loro dimensione terrena, senza proiettarli in nessuna trascendenza. La carne veicola il sacro e il messaggio divino senza trasformarsi in spirito.

Caravaggio, Madonna del Rosario, particolare, 1607 ca., Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, particolare, 1604-06, Cappella Cavalletti, Basilica di Sant'Agostino, Roma.

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