mercoledì 6 marzo 2019

A immagine di Dio. La teologia del corpo umano di Michelangelo Buonarroti

Michelangelo Buonarroti, Creazione di Adamo, 1511 ca., Cappella Sistina.

Come entrare all’interno della Cappella Sistina senza essere avvolti dalla solenne, e nello stesso tempo tormentata, fisicità che emanano gli affreschi della volta e soprattutto della parete del Giudizio Universale? Giovanni Testori li definiva “un drammatico corpo a corpo col corpo”, mentre Giovanni Paolo II vedeva la Sistina come il “santuario della teologia del corpo umano”, di cui Michelangelo celebra la divina bellezza.
Il principale oggetto di studio degli artisti del Rinascimento è il corpo umano. Ed è infatti il corpo umano il centro indiscusso di tutta la produzione, sia scultorea che pittorica, di Michelangelo Buonarroti. Egli condusse fondamentali ricerche anatomiche per individuare l’esatta posizione, la forma e il funzionamento dei fasci muscolari, dei tendini, delle cartilagini e delle ossa, per poter rappresentare con precisione le forme del corpo statico e in movimento. E tuttavia, in Michelangelo più di tutti, il naturalismo delle forme si coniugò con la ricerca della bellezza ideale e della perfezione estetica, ritrovata soprattutto nei modelli antichi, in particolare in quelli dell’età ellenistica (pare che lo stesso Michelangelo fosse presente quando fu ritrovato il gruppo del Laocoonte, che fu di riferimento per l’artista).


Michelangelo Buonarroti, David, 1501-04, Galleria dell'Accademia di Firenze.
Naturalismo ed idealismo caratterizzano uno dei primi capolavori del Buonarroti, quella statua del David, commissionata dalla Repubblica di Firenze, della quale il Vasari disse che aveva “tolto il grido a tutte le statue moderne e antiche”, e che venne dai fiorentini collocata in piazza della Signoria, perché in essa videro il simbolo civico della repubblica e della loro libertà. Le forme perfette del David sono il simbolo della sua grande levatura morale, come la possente muscolatura è l’emblema della sua forza interiore. Quest’opera riassume già gli ideali di Michelangelo, che egli trae dal Neoplatonismo, secondo i quali la contemplazione della bellezza ideale costituisce l'accesso diretto al divino (sulla derivazione dell’arte e della poetica del Buonarroti dal Neoplatonismo si è espresso in particolar modo Panofsky).
Gli artisti del Rinascimento rappresentano un’umanità ideale e, per essi, la ricerca dell’armonia della composizione riveste più importanza della riproduzione fedele del vero. Il perseguimento della perfezione e dell’equilibrio delle forme e della loro potenza espressiva portò Michelangelo a far uso di particolari accorgimenti tecnici, come lievi sproporzioni o piccole deformazioni, fino a torsioni di parti del corpo del tutto innaturali. Il David, per esempio, ha le mani e la testa leggermente sovradimensionate, per significare una grande intelligenza e capacità di agire, mentre per poter inscrivere armonicamente il corpo di Cristo nella composizione piramidale della sua Pietà del 1499, il corpo della Madonna ha dimensioni un po’ più grandi rispetto al Figlio.

Michelangelo Buonarroti, Pietà, 1497-99, Basilica di San Pietro in Vaticano.

Il Neoplatonismo di Michelangelo, col passare degli anni, come scrive G. C. Argan, viene sublimandosi dal piano dell’intelletto a quello della fede religiosa. Le forme della pittura e della scultura devono diventare “rivelazione”, ma per far questo devono acquisire una maggiore espressività di quella data dall’imitazione della natura. Di conseguenza l’arte di Michelangelo è antinaturalistica e rifugge l’illusione mimetica. In pittura accosta colori opposti, complementari, di grande purezza timbrica, che non si fondono insieme, ma anzi danno un’impressione di stridore e di contrasto. Non rispetta la composizione prospettica e rappresenta le figure di scorcio, presentando il punto più lontano come contiguo al più vicino, coprendo col tragitto più corto la distanza più lunga.
Tutte queste caratteristiche sono evidenti in quello che è il suo massimo capolavoro, gli affreschi della Cappella Sistina.

Michelangelo Buonarroti, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, 1512 ca., Cappella Sistina.

Tutta la volta è un inno all’opera più alta della creazione, il corpo umano, alla sua forza e bellezza, al suo essere immagine di Dio (imago Dei), anzi, al suo essere l’aspetto visibile del Sommo Creatore. La scena della Creazione di Adamo tra ispirazione dal libro della Genesi, dove si legge: “Dio creò l’uomo a sua immagine: ad immagine di Dio lo creò”. Le anatomie dei corpi di Dio e di Adamo, infatti, sono simili: forti e perfetti, con robuste muscolature, disposti con una stessa doppia torsione (le gambe verso sinistra, il busto verso destra). La figura di Dio è convessa, quella di Adamo concava, come se il corpo dell’uomo fosse un calco del corpo di Dio. L’inerzia e la solitudine dell’uomo contrasta con l’impeto divino, mentre i due indici che si sfiorano al centro traducono in immagine il soffio della vita.

Michelangelo Buonarroti, Creazione di Eva, 1511 ca., Cappella Sistina.

Michelangelo Buonarroti, Ignudi, 1511 ca., Cappella Sistina.

Tutta la Cappella Sistina, così come l’intera produzione artistica di Michelangelo, è una celebrazione del corpo umano, e in particolare del corpo nudo virile, che l’artista porta al massimo grado della sua forza espressiva. Quella di Michelangelo, infatti, è sempre una nudità dinamica, viva, colta nelle posture e nei movimenti più arditi e complessi, per metterne in risalto bellezza, armonia e plasticità.
Il colossale affresco del Giudizio Universale è un vortice di corpi di diverse proporzioni. Tutta la rappresentazione si svolge all’interno di un orizzonte umano, fondata com’è sulla declinazione del corpo e della fisicità: il Cristo-Giudice non è raffigurato secondo l’iconografia tradizionale, ma sembra un terribile Apollo, possente e muscoloso, i santi e i beati sono senza aureole, gli angeli sono privi di ali e anche i diavoli hanno gli stessi corpi degli uomini, dalle membra possenti e muscolose. E nonostante i corpi degli eletti si librino nel cielo, essi conservano lo splendore e anche la pesantezza delle proprie carni, risorte insieme alle anime.

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, particolare, 1536-41, Cappella Sistina.

Qualcuno ha parlato di un’ossessione michelangiolesca per il corpo. Va detto però che in questa teologia del corpo si esprime tutto lo spirito religioso dell’artista, amante appassionato della tradizione classica, per la quale la rappresentazione figurativa del corpo umano nudo risponde a una concezione religiosa: le forme di un corpo virile e ben costruito sono simboli divini e sono proprie di quegli uomini che vengono elevati dalle loro virtù al livello delle divinità, come gli atleti e gli eroi.
Ma come si concilia questo che sembra un ritorno al paganesimo con la religione cristiana, che dà il primato allo spirito e pone il corpo umano all’origine della caduta del peccato originale? Come è compatibile tale ostentazione di nudo virile e atletico con il sacro così come inteso dalla Chiesa di Roma?

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, particolare, 1536-41, Cappella Sistina.
La concezione che sottende questa rappresentazione è quella per cui la bellezza dell’uomo reca impresso il segno della grandezza divina, e non si può glorificare Dio senza mostrarla. Il corpo è strumento dell’anima; la contemplazione della sua bellezza permette di elevarsi al sommo Bene. Non solo l’uomo è fatto ad imaginem et ad similitudinem Dei, ma il corpo dell’uomo è anche portatore di una promessa di salvezza attraverso il mistero dell’Incarnazione. La filosofia rinascimentale e la visione di Michelangelo si imperniano su questa dimensione del corpo incarnato: esso è il luogo in cui si risolve l’ambiguità dell’uomo, perché rappresenta contemporaneamente la sua debolezza e la sua dignità. Il messaggio cristiano, infine, elaborato in particolar modo da San Paolo, si fonda sulla resurrezione dei corpi, non solo delle anime, modellata sulla resurrezione di Cristo. Questo spiegherebbe la corporeità insistente del Giudizio Universale, la cui magnificenza e la cui nudità sono, all’interno di quella concezione, indispensabili all’illustrazione della dottrina teologica, nella lettura dell’umanesimo rinascimentale.

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, particolare, 1536-41, Cappella Sistina.
Per Buonarroti, come per Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, la drammaturgia del corpo umano è l’unico teatro in grado di rappresentare la storia della salvezza e della dannazione. Michelangelo non dipinge paesaggi o altre forme naturali: solo l’uomo è la degna espressione del mistero della fede e della redenzione.
Nella visione umanistica non c’è contrasto tra paganesimo e Cristianesimo, ma le due visioni si fondono insieme. La perfetta forma umana è l’immagine di Dio perché Cristo è il nuovo Adamo, che riporta l’uomo alla sua purezza originaria, quella del giardino dell’Eden. Per questo il corpo umano è nudo, perché la verità sacra è nuda ed esprime la perfezione dell’essere nella sua natura originaria. Nella Cappella Sistina, gli Ignudi della volta rappresentano proprio la purezza di Adamo prima del peccato originale, simbolo della perfezione dell’uomo così come è stato creato da Dio. Il corpo è il segno concreto di una grandezza spirituale, che è così straripante da gonfiare i muscoli e dilatare le dimensioni delle membra.

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, particolare, 1536-41, Cappella Sistina.
Ma con l’età della Controriforma sembra esaurirsi questa spinta umanistica; il concilio di Trento cancella la concordanza tra paganesimo e Cristianesimo sancita dal Rinascimento. La valanga di critiche e di accuse di oscenità e di mancanza di fede agli affreschi del Buonarroti prenderà il sopravvento, fino a trasformarsi in una vera e propria reazione iconoclasta, tanto che Paolo IV Carafa darà l’incarico a Daniele da Volterra di ricoprire, mettendo le “braghe”, le nudità del Giudizio Universale.

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