venerdì 1 marzo 2019

Leonardo da Vinci, colui che “dette alle sue figure il moto e il fiato”

Leonardo da Vinci, L'Ultima Cena, 1495-98,  Santa Maria delle Grazie, Milano.

Nelle sue “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, Giorgio Vasari pone Leonardo all’inizio della maniera moderna del ritratto, in quanto il primo a imprimere “alle sue figure il moto e il fiato”, cioè a tradurre la gamma delle emozioni e dei sentimenti umani nell’articolazione di gesti ed espressioni del volto, attribuendo al corpo il compito di dare forma esteriore alla parte più intima dell’essere umano.
“Farai le figure in tale atto, il quale sia sofficiente a dimostrare quello che la figura ha ne l’animo; altrimenti la tua arte non fia laudabile”, scrive infatti l’artista intorno al 1490.
Il suo studio del corpo umano comprende non solo l’anatomia, ma anche la fisiognomica, per la quale si intende lo studio della forma esterna corporea come espressione del carattere permanente, cioè dell’ethos dell’individuo. Diversa cosa dalla fisiognomica è la mimica, ovvero l’espressione momentanea, occasionale di una passione (pathos).

Leonardo dimostra notevole interesse per entrambe le ricerche che interessano la figura umana, cioè sia quella di tipo fisiognomico sia quella che individua nel linguaggio del corpo (postura, gesti, movimenti e mimica) l’espressione di emozioni, sentimenti, stati d’animo. Per Leonardo una figura che non mostri “affezione e fervore” è da considerare "due volte morta, com’è morta perché essa è finta, e morta un’altra volta quand’essa non dimostra moto né di mente né di corpo".
Uno dei primi ritratti leonardeschi in cui troviamo l’espressione dei moti dell’animo è quello conosciuto come La Dama dell’ermellino, realizzato a Milano, ai tempi della permanenza dell’artista presso la corte di Ludovico Sforza detto il Moro. L’opera raffigura la nobildonna Cecilia Gallerani, all’epoca sedicenne favorita del Moro. Cecilia è bellissima, elegante e, nonostante la giovane età, molto colta e di forte temperamento. Verrà allontanata da corte dopo il matrimonio del duca con Beatrice d’Este e andrà in sposa al maturo conte Bergamino di Cremona.

Leonardo da Vinci, La Dama con l'ermellino, 1489-90, Castello del Wawel, Museo Czartoryski..

Il dipinto che la vede protagonista è per molti critici il primo ritratto moderno della storia dell’arte, simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese. In esso, l’artista riesce infatti a cogliere e a raccontare un frammento di vita della giovane donna, a cogliere l'attimo fuggente del variare di uno stato d'animo, di uno di quelli che il pittore chiama "moti mentali". Un'altra nota importante da mettere in evidenza è l'effetto "rilievo" ottenuto facendo risaltare la figura su sfondo scuro.
Cecilia è colta e raffinata, il suo sguardo è aristocratico e intelligente, ma ciò che colpisce di questo ritratto è in particolare la posa della donna. In quest'opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì un movimento spiraliforme, una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra.
Cecilia guarda altrove, escludendo lo spettatore dall’opera. Ella sembra volgersi come per osservare qualcuno che sta entrando nella stanza, e al tempo stesso ha la solennità imperturbabile di un'antica statua. Gli occhi sono espressivi, chiari e profondi e il sorriso, abbozzato e timido, è tipico di Leonardo da Vinci, che preferisce accennare a emozioni delicate piuttosto che rappresentarle in modo esplicito. La luce investe e dà grande risalto alla mano, con le lunghe dita affusolate, nervose e aristocratiche, che accarezzano l'animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia.

Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière, 1490-95, Museo del Louvre.

Comincia con Leonardo la concezione del ritratto come esplorazione introspettiva dell’uomo, che si andrà sviluppando nei secoli successivi. Lo si può notare in un altro celebre ritratto leonardesco, la Belle Ferronnière del Louvre (1495 ca.). Anche il suo corpo è ruotato in semiprofilo, una postura che vuole raccontare la naturalità della condizione del personaggio e non la sua messa in posa. Il volto è frontale, ma lo sguardo di nuovo cerca qualcosa all’esterno del quadro, sfuggendo quello dello spettatore. Le labbra carnose e increspate sottolineano la severità dell’espressione del volto, il quale lascia intuire i “moti mentali” e il temperamento della donna.
Le grandi opere dei maestri del Quattrocento italiano, nonostante il loro disegno rigoroso, spesso soffrono, come afferma il Gombrich, di una certa legnosità, cioè di una rigidità che fa somigliare le figure a delle statue, piuttosto che ad esseri vivi. In vari modi i pittori avevano tentato di superare questa difficoltà. Il Botticelli, per esempio, accentuava il movimento dei capelli e delle vesti, così da rendere meno rigido il contorno. Ma solo Leonardo trovò la vera soluzione al problema: “il pittore deve lasciare allo spettatore qualcosa da indovinare; se i contorni non sono delineati rigidamente, se si lascia un poco vaga la forma come se svanisse nell’ombra, ogni impressione di rigidezza e di aridità sarà evitata. Questa è la famosa invenzione leonardesca detta ‘lo sfumato’: il contorno evanescente e i colori pastosi fanno confluire una forma nell’altra lasciando sempre un margine alla nostra immaginazione” (Gombrich). Questa innovazione, che punta sull’effetto vivificatore dato da una certa indeterminatezza del disegno che immerge la figura in una morbida penombra, raggiungerà la sua completa attuazione nel capolavoro del 1503 “La Gioconda”, in cui davvero lo sfumato si fa strumento al servizio della definizione psicologica dell’effigiato, avvolgendo il personaggio all’interno di un impenetrabile mistero.

Leonardo da Vinci, La Gioconda, 1503-04, Museo del Louvre.

Anche il Cenacolo vinciano offre un sublime e variegato campionario di rappresentazioni dei moti dell’animo, rinvenibili nel multiforme assortimento delle posture, delle espressioni e dei gesti degli apostoli, suscitato dall’annuncio di Cristo: “Uno di voi mi tradirà”. Ogni personaggio, turbato a suo modo, ha una reazione diversa, un proprio pathos, che è anche espressione del proprio ethos, cioè del carattere e della personalità. Ognuno manifesta le sue emozioni nel modo che rispecchia il suo tipo fisiognomico, proveniente dalla tradizione iconografica. Ciascun apostolo reagisce con un misto di meraviglia, incredulità e paura, adattando i propri lineamenti del viso all’inclinazione personale. Ad esempio Giovanni, simbolo di vita contemplativa, è rappresentato mentre ascolta pacatamente e in silenzio le parole che Pietro sussurra al suo orecchio, mentre quest’ultimo, uomo dal carattere irascibile e simbolo di vita attiva, è raffigurato in piedi e con in mano un coltello.

Copia di Paul Rubens della parte centrale del dipinto di Leonardo, Battaglia di Anghiari, 1503.

Nella Battaglia di Anghiari (1503‐‘06), invece, Leonardo punta sull’analogia caratteriologico‐comportamentale tra uomo e animale. La guerra per Leonardo è una “pazzia bestialissima”, che costringe l’uomo a regredire alla barbarie animalesca. Si noti come il cavaliere a sinistra risulti essere quasi il prolungamento del corpo del cavallo su cui è montato.
Qual è la modernità di Leonardo nel rappresentare gli uomini e le donne del suo tempo?
Anche gli antichi Romani raffiguravano il carattere e le inclinazioni dell’anima dei personaggi scolpiti nelle loro statue. Ma si trattava soprattutto di rappresentare dei tipi generali di personalità: il coraggioso, l’eroico, il pavido, il mite, il saggio, l’astuto, il nobile, il magnanimo ecc.  Nei ritratti del Quattrocento, invece (se si eccettua il caso di Antonello da Messina), l’intento è per lo più dinastico e celebrativo. Lo scopo è di evidenziare, attraverso l'uso di simboli ideologici, il ruolo di colui che l’ha commissionato. Si tratta, infatti, molto spesso di ritratti di profilo, che non mostrano le passioni o i moti dell’anima dei personaggi.
La modernità di Leonardo risiede nel fatto che i suoi personaggi non ci appaiono in posa, ma l’artista cerca di presentarceli al naturale, così come si muovono nello spazio. Ognuno di essi, pur inquadrato all’interno di particolari tipi fisiognomici e caratteri psicologici, viene dal pittore di Vinci interpretato e rappresentato come persona unica, con l’espressione peculiare dei suoi moti interiori, rinvenibile nei tratti esteriori, nella postura, nell’espressione del volto, nei gesti del corpo. Leonardo si avvia così verso quell’introspezione psicologica che caratterizzerà i ritratti degli anni a venire. Dopo Leonardo, maestri quali Lorenzo Lotto, Raffaello, Giorgione, Tiziano, Tintoretto condurranno il genere alle massime potenzialità espressive. Una rivoluzione davvero straordinaria, che sta alla base della modernità e della progressiva valorizzazione dell’individuo che diviene persona.

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