sabato 16 marzo 2019

Corpi verso il cielo. Le figure allungate di El Greco

El Greco, Visione di San Giovanni, 1608-1614, New York Metropolitan Museum of Art.

Con Michelangelo ha inizio un processo che porterà la rappresentazione della figura umana a modelli che si allontanano dai canoni di armonia e di equilibrio del primo Rinascimento. Lo stile che conosciamo con il nome di Manierismo finirà per alterare le proporzioni e le simmetrie del corpo, sottoponendolo a deformazioni, contraffazioni, fino a pose scomposte e visionarie suggestioni. Siamo in un periodo di profonda crisi, seguito alla Riforma Protestante e alla crisi dell'universalismo della Chiesa di Roma, in cui vengono meno molte delle certezze dell’Umanesimo, della visione antropocentrica, dell'equivalenza natura-ragione, dell’idea di razionalità della storia. L’immaginario manierista non mira a riprodurre una realtà naturale, ma elabora un mondo tra il lezioso e il visionario, tra l’artificioso e il tormentato, altamente espressivo, la cui complessità è ben lontana dalla linearità e dall’equilibrio della composizione rinascimentale.


Parmigianino allunga e assottiglia le forme del corpo, Rosso Fiorentino le rende imponenti e spigolose, il Pontormo le riveste di colori chiari e irreali. Il corpo abbandona il cerchio vitruviano, che circoscrive le divine proporzioni del classicismo, e subisce uno sviluppo eccentrico. Spesso viene sottoposto a torsioni e pose del tutto innaturali (l’esasperazione della figura serpentinata di ascendenza michelangiolesca), facendogli acquistare un’espressività, una sensualità e una dinamicità del tutto assenti nelle figure rigorose e composte del periodo precedente.

El Greco, Battesimo di Cristo, particolare, 1608-14, Hospital de Tavera, Toledo.

In questo panorama, un posto a sé, per la sua originalità, merita Domenikos Theotokopoulos, nato nel 1541 a Candia (Iraklion), capitale dell’isola di Creta, passato alla storia come El Greco. Le sue origini giocano un ruolo molto importante nella sua pittura, che risentirà sempre di un certo influsso bizantino, anche se la sua formazione si compie soprattutto in ambito veneziano, prima di approdare definitivamente a Toledo, dove sarà il promotore di un rinnovamento dell’arte spagnola.
La sua pittura è inconfondibile, caratterizzata com’è da elementi che la connotano in modo peculiare: altezze smisurate dei personaggi, volti oblunghi, colori allucinati, quasi acidi, sfondi cupi, pennellata espressionista. El Greco, infatti, mutua le figure altissime dal canone bizantino e il colorismo e la pennellata sfrangiata, a macchia, dalla pittura veneta. Proprio la fusione di queste culture produce, grazie a un intenso apporto personale dell’artista, un nuovo modo di vedere e di rappresentare la realtà, che porta a conclusione il manierismo, aprendo un orizzonte nuovissimo che però sarà accolto solo alcuni secoli dopo.

El Greco, Il martirio di San Maurizio, particolare, 1580-82, Monastero, Escorial.

Proprio a Toledo El Greco matura il suo linguaggio sempre più lontano dal naturalismo italiano; il suo stile si fa visionario, caratterizzato da un cromatismo freddo, dalle figure allungate, dall’aspetto irreale ma spirituale e dalla forte carica emotiva, sottolineata dalle atmosfere fosche e turbinose che di solito fanno da sfondo alle sue tele.
Se normalmente la proporzione tra il corpo e la testa di un uomo è di 7 a 1, il pittore cretese utilizza un rapporto decisamente squilibrato, di 13 a 1. I suoi personaggi si sviluppano in verticale, così come verticale è il formato delle tele e l’andamento delle composizioni. I corpi sono imponenti anche se scarni, vibranti, come animati da una fiamma interiore; i volti sono affilati, severi o irrequieti, oscillanti tra la mestizia e il misticismo ardente che aspira all’estasi; le carni si fanno estremamente pallide mentre le vesti si colorano di cromie forti, brillanti e metalliche, nelle quali dominano l’azzurro, il rosso, il giallo e il verde, e appaiono scosse da fluttuazioni che sembrano provocate dall’energia emanata dai corpi. Più che dal rigore della linea e del disegno, i volumi sono costruiti dal colore e dalla luce, rendendo la rappresentazione dinamica e vibrante, mai statica o rigidamente percepibile per schemi, quali quelli prospettici ed accademici, fino alla metamorfosi della materia cromatica nell’essenza luminosa della luce.

El Greco, San Martino e il mendicante, 1597-99, National Gallery of Art, Washington. 

Le figure ossessivamente allungate e sproporzionate e le torsioni tipicamente michelangiolesche vengono esasperate, finendo col perdere il contatto con l’aspetto mimetico-naturalistico e approdando a risultati di grande pathos narrativo, accentuato dalle atmosfere dalla luce densa e ferrosa e dagli sfondi irreali e indeterminati, caratterizzati da architetture troppo piccole perché queste figure monumentali possano abitarle. Come scrive M. Heimbürger, “i personaggi non poggiano sulla terra, non planano e nemmeno sono sospesi in aria, Esistono, ma non si capisce bene in quale tipo di luogo o di atmosfera siano. […] Il colorito freddo ed aspro e l’assenza di gravità sembrano collocare queste figure in un altro sistema solare, completamente diverso dal nostro”. (La figura umana nell’arte europea)
Questo “espressionismo” ante litteram nella resa del corpo umano, attraverso vie che quasi tendono all’astrazione, rappresenterà uno degli elementi di maggior fascinazione per artisti del primo ‘900 come Kirchner, Schiele, Bacon, Giacometti e soprattutto Picasso, che si mostrerà debitore dello stile del pittore cretese nella sua opera più famosa, le “Demoiselles d’Avignon”.

El Greco, Laocoonte, 1610-14, National Gallery of Art, Washington.



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