domenica 15 luglio 2018

L'immagine transitiva

Giotto, Storie di San Francesco. Presepe di Greccio, 1295-99, Basilica Superiore di Assisi.

In un suo testo, John Shearman indaga i rapporti tra l’opera d’arte e lo spettatore durante il Rinascimento, a partire dal Quattrocento. La tesi dell’autore è quella secondo cui le opere di questo periodo presuppongono e operano un maggiore coinvolgimento dello spettatore rispetto al passato, che anzi l’opera d’arte trova il suo completamento nella partecipazione dello spettatore alla vicenda narrata. Ciò significa che il fuoco intorno al quale, entro il quadro, si concentrano le azioni viene descritto come collegato ad un altro fuoco esterno ad esso. Per questo Shearman definisce “transitiva” la relazione tra opera d’arte e spettatore del Rinascimento. “Transitiva” nel senso che l’opera non esaurisce l’azione in sé, ma la estende a un soggetto esterno. Questa modalità viene adottata in quanto “permette la più completa e vivida presentazione del soggetto allo spettatore” (J. Shearman, Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. "Only connect...", Jaca Book, Milano 1995, ed. orig. 1992), e dunque un più forte coinvolgimento psicologico, emotivo e affettivo, di quest’ultimo nella vicenda narrata.

I percorsi seguiti dagli artisti nel Rinascimento verso una comunicazione pienamente transitiva si diramano per strade diverse secondo tre passaggi.
1. L'artista è consapevole e riconosce la presenza dello spettatore. Una condizione che vale anche per i mosaicisti e i pittori bizantini.
2. Lo spettatore si accosta al soggetto dell'artista portandone a compimento il programma. Perché il soggetto sia completato al di là di se stesso nello spazio dello spettatore, l'artista deve costruire l'illusione di continuità tra lo spazio dipinto e quello reale. Ciò viene attuato grazie alle leggi della prospettiva lineare o ad accorgimenti quali la prosecuzione dell'architettura reale nella simulazione dello spazio dipinto, i giochi di sguardi o la particolare disposizione delle figure nel quadro.
3. L'artista presuppone la complicità dello spettatore per assicurarsi il pieno funzionamento del valore comunicativo dell'opera d'arte.
Secondo l’opinione (a dire il vero azzardata) dello Shearman, quasi tutta la pittura narrativa precedente al Quattrocento presuppone la presenza di uno spettatore passivo, lasciato completamente all’esterno. In effetti, le statue classiche, modello di perfezione e armonia, sono immerse in una dimensione ideale e conservano un’espressione generalmente serena e imperturbabile, imperscrutabile e indifferente a quella occupata dallo spettatore. E così anche i personaggi delle pitture vascolari greche, rappresentati quasi tutti di profilo, e i ritratti dei romani immersi nella loro interiorità, e i rilievi scultorei, costituenti un mondo narrativo a se stante. Allo spettatore, in questi casi, non è riservata una posizione che abbia a che fare con il soggetto, né la sua presenza è riconosciuta da un gesto o da uno sguardo. Tuttavia Shearman ammette alcune importanti eccezioni. Una di queste è il “Miracolo del Presepe di Greccio”, realizzato da Giotto intorno al 1300 ad Assisi.
Da alcuni indizi eloquenti sappiamo di certo che la scena è ambientata nello spazio chiuso del coro di una chiesa conventuale francescana, diviso dalla navata dal muro di tramezzo in fondo, in cima al quale possiamo notare il crocifisso visto da dietro. Molto realistica, in particolare, è la collocazione dei personaggi nello spazio e la descrizione dettagliata degli arredi.
Ma è soprattutto l’assetto architettonico a includere chiaramente lo spettatore, che osserva la scena da un ipotetico punto di vista sul fondo dell’abside. Il muro di tramezzo e la consapevolezza di trovarsi all’interno del perimetro presbiteriale trasmettono il senso di uno spazio che si chiude intorno a noi e agli altri spettatori dipinti, riuniti insieme in un unico ambiente, dandoci la possibilità di assistere e partecipare al miracolo del bambino Gesù che appare in carne e ossa nel Presepe. Lo spettatore non solo è definito come partecipante, ma la sua posizione è precisata in modo puntuale. Il suo ruolo di spettatore è anzi specificato proprio dalla collocazione spaziale all’interno della scena e della vicenda narrativa.


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