“Col sentimento struggente d'una possibile scomparsa dell’uomo, Martinelli ferma l’ombra del passante e gliela presenta come un altro sé, monumento effimero al miracolo breve dell’esistenza. Si creano così nuove relazioni tra memoria, inconscio e spazio urbano. Nascono giochi di ruolo con la propria ombra emancipata appena scoperta, mentre un apparecchio riprende l’operazione in corso.”
Pierre Restany
Mario Martinelli, artista trevigiano, gira le città e le piazze del mondo con un flash che “soffia” l’ombra dei passanti, staccandola dal corpo e immobilizzandola su uno schermo, che la trattiene per qualche minuto prima che svanisca. Qualche istante dopo il flash, un apparecchio scatta automaticamente una foto della scena del telo illuminato con la persona che scopre la propria ombra liberata.
Scoprire la propria ombra, “emancipata”, costituisce una forte emozione per lo spettatore, che diventa in pochi istanti la scoperta, affascinante e perturbante al tempo stesso, di un altro se stesso. Come trovarsi di fronte il proprio doppio, il proprio alter ego, dotato di vita autonoma e libero da ogni impedimento.
Ma, come scrive Rosita Lappi, in una conversazione con l’autore, “riconoscendo all’ombra la sua volontà separativa e consentendole infine questa liberazione, Martinelli scopre che l’ombra è dotata di potenzialità del tutto inattese. La permanenza in questo scrigno di spettri ne svela il suo desiderio di gioco, l’impertinenza, la teatrale buffoneria, la sua natura infantile, la sua ribelle esuberanza. Ma anche la sua ineffabile caratura melanconica, figura dell’assenza, della perdita, della scomparsa.” Le ombre “liberate” sullo schermo diventano quasi le creature di un nuovo teatro dell’assurdo. Intrappolate nel muro tecnologico che ne cattura l’evanescenza, sviluppano nello spettatore un nuovo ordine di relazione con sé, insieme teatrale e intimo, sorprendente e drammatico.
Così fissate e immobilizzate sullo schermo, staccate dal proprio referente, le sagome fissate hanno la stessa consistenza di una fotografia, e tuttavia la loro graduale evanescenza le riporta alla natura fugace ed effimera propria delle ombre, dei riflessi, delle orme sulla sabbia.
Qualche volta, al posto del telo, Martinelli utilizza una rete metallica, che ritaglia lungo il profilo dell’ombra, che scomparirà pian piano come sul telo, ma la rete che ne ha preso la forma la renderà visibile per sempre. Senza sostituirsi ad essa. Questa figura-in-rete, scrive Martinelli, “questo graffito plastico applicato al muro, non è che lo scrigno dell’ombra. Ora, nell’opera, quello che conta è, come nel bicchiere di Laozi, quello che non c’è, il vuoto. Ciò che è via via venuto meno, che è svaporato, che è andato perduto”.
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