Le nuove tecnologie introdotte dall'intelligenza artificiale rappresentano non solo un bacino di opportunità per il mondo dell'arte. Esse costituiscono oggi soprattutto un'esplorazione necessaria, obbligata. Una provocazione - per dirla con le parole del filosofo Cosimo Accoto - che non si può lasciare inascoltata. Perché solo il mondo dell'arte, lo sguardo e la manipolazione dell'artista sono gli unici a garantire una possibilità di liberazione, gli unici a poterci mostrare una direzione, contribuire alla sottrazione di questi apparati al monopolio del profitto e dello sfruttamento estrattivo.
In questo l'arte è oggi chiamata a una grande responsabilità, proprio perché enormi sono i rischi legati alle "immagini operative", alle immagini che vedono, sentono e agiscono.
È la grande lezione di Flusser, che già negli anni Sessanta ci metteva in guardia rispetto ai due atteggiamenti più comuni di fronte alle nuove tecnologie: il consumo passivo (che si limita ad eseguire semplicemente i programmi dell'apparato) e il rifiuto catastrofista. Occorre invece considerarle come dei problemi, dei mondi che richiedono non di essere accettati così come sono, ma di essere trasformati. Occorre quella che Flusser definisce un'apertura esperienziale, che ci chiama pertanto a un impegno attivo (V. Flusser, The Holy See. An Extract from The Last Judgment: Generations).
Cosa sarebbe stato se, nei due secoli trascorsi, gli artisti (cioè coloro che si sono posti nei confronti del fotografico non in senso puramente strumentale e utilitaristico) non avessero "disinnescato" il potere ideologico della fotografia (largamente dispiegato in campo scientifico, psichiatrico, militare, economico, coloniale ecc.) e non avessero mostrato tanti modi diversi di impiego, più orientati a discorsi di emancipazione, messa in discussione, contrapposizione e creatività?
Ogni nuova tecnologia genera faglie di conflitto di potere. Senza le "armi" dell'arte, la società sarebbe più sguarnita di fronte a chi il potere ce l'ha e lo usa.
La tecnologia, per essere superata, ha bisogno di essere trasformata in qualcos'altro. In questa "apertura esperienziale" inizia un movimento diverso nel mondo che ci circonda. È quello che Accoto definisce "innovazione culturale" e che significa che di fronte all'assalto di queste nuove tecnologie, che sono sempre apparati sociotecnici, occorre una profonda trasformazione di ogni aspetto della cultura (schemi, valori, strumenti concettuali, istituzioni), perché i rimedi e gli argini portati dall'etica o dal diritto sono del tutto insufficienti.
Quell'espressione comune, scialba e ritrita, secondo cui "solo l'arte ci potrà salvare", forse oggi assume una qualche legittimazione. Solo l'arte può assumere quello sguardo curioso, appassionato e spregiudicato insieme, che lavora ai fianchi ma senza fare sconti. In grado non solo di offrire un nuovo punto di vista. Oggi questo non basta più. Occorre un diverso modo di agire, di manipolare, di fare esperienza. Se l'umanità non avesse gli artisti e tutti coloro che non si limitano ad eseguire semplicemente i programmi dell'apparato, resterebbe disarmata di fronte alla tempesta che ci sta investendo. Perché è vero che ogni innovazione ridefinisce i confini del mondo e dell'umano, ma mai nessuna tecnologia finora è stata così in grado di mettere in discussione quella concezione del mondo e dell'umano ereditata dall'umanesimo. Se l'invenzione dell'arma nucleare ha rappresentato l'inedita possibilità dell'autoestinzione di massa, l'intelligenza artificiale può essere l'arma perfetta, in mano ad apparati statali e militari e a sistemi capitalistici e finanziari, per realizzare il controllo totale. La prima ad accorgersi di questo potenziale anti-umanista, prima delle accademie e della politica, è stata un'istituzione plurimillenaria come la Chiesa, che infatti subito si è data da fare per non lasciare il campo sguarnito. Ma chiesa, politica e accademia possono offrire un campo di azione limitato. Il fenomeno lo possono studiare, normare, regolare. C'è bisogno di quel fronte, o forse meglio di quel tessuto interno che offra modelli di sguardo su queste tecnologie e di uso delle stesse che non siano di asservimento. E nel contempo che sappiano mettere a frutto quel potenziale insito in questi nuovi agenti artificiali, che con il loro carattere "alieno" ci aiutano a ripensare quell'umanesimo scaturito dalla modernità, che era antropocentrico, razzista, fondato sul dominio della natura, e possono contribuire così a rifondare un umanesimo nuovo, più rispettoso del mondo che ci circonda, consapevole finalmente che non siamo i soli ad agire in modo intelligente su questa terra, ma siamo connessi a una trama fittissima di intelligenza animali, vegetali e perfino artificiali. E che la nostra umanità non può essere definita in contrapposizione a quelle, ma sempre e solo in profonda relazione.
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