martedì 18 novembre 2025

In principio era il filtro. La discriminazione a fondamento dell’intelligenza artificiale



Una delle criticità più urgenti nell’impiego contemporaneo dell’intelligenza artificiale riguarda la sua formidabile capacità di operare come filtro di selezione. L’AI può decidere, in vari ambiti, ciò che passa e ciò che resta fuori. Questa funzione di filtraggio - che si tratti di sistemi di visione artificiale, di modelli linguistici o di reti neurali multimodali - attraversa una pluralità di ambiti solo in apparenza eterogenei. Nell’industria, l’AI opera come guardiano della qualità produttiva, riconoscendo difetti e scarti; nella logistica, organizza flussi materiali, decide priorità, indirizza movimenti. Nel dominio digitale, filtra contenuti attraverso la moderazione automatica, determinando ciò che è ritenuto accettabile o appropriato e influenzando la visibilità degli enunciati attraverso i sistemi di raccomandazione, che definiscono non solo ciò che appare in un feed, ma anche ciò che rimane in ombra, non visto, non pensato. Sono forme di curatela algoritmica che esercitano un controllo selettivo dell’attenzione collettiva. 

domenica 16 novembre 2025

Rêverie, flânerie: Rousseau, Baudelaire e la sospensione del tempo moderno

 


L’atto del camminare, apparentemente semplice e quotidiano, diventa nelle opere di Rousseau e Baudelaire uno strumento critico capace di sospendere il tempo dominante delle rispettive epoche. Il promeneur roussoiano e il flâneur baudelairiano si muovono in spazi opposti - la natura solitaria e la metropoli moderna - e tuttavia entrambi scoprono, nel movimento non finalizzato, una forma di resistenza. In due contesti radicalmente diversi, la promenade e la flânerie diventano così pratiche che interrompono, deviano o almeno incrinano il ritmo imposto dalla modernità. Una modernità che si definisce proprio attraverso il duplice dominio dell’ordine razionale dello spazio e della misura rigorosa del tempo, e che nel camminare trova un inatteso punto di frizione, una piccola ma significativa sospensione della sua potenza regolatrice.

venerdì 14 novembre 2025

Scrivere in lingua cinese con tastiera latina: percorsi tra fonemi e ideogrammi.



Ho fatto un po' di domande a Chatgpt sull'argomento e ho rielaborato le risposte.

Quando i cinesi scrivono al computer o sul cellulare, usano una tastiera con i caratteri latini (Qwerty) e digitano in pinyin, cioè la trascrizione fonetica del cinese con l’alfabeto latino, ma il testo finale è composto da ideogrammi. Poiché questi ultimi spesso condividono la stessa pronuncia (omofonia), quando si digita in pinyin, il parlante deve scegliere tra molte possibilità con suono identico ma significato diverso, un esercizio che abitua il cervello a convivere con ambiguità semantiche: digitare in pinyin rende evidente che una parola non è la sua pronuncia, ma qualcosa che deve essere selezionato, interpretato, confermato.
Facciamo un esempio pratico: se i cinesi vogliono scrivere “中国” (“Cina”), digitano zhongguo. Sul display compare una lista di possibili ideogrammi corrispondenti a quella pronuncia, e l’utente sceglie quello giusto (di solito con un tocco o un tasto numerico). Il sistema, grazie ai metodi di input intelligenti (IME – Input Method Editors), impara anche dalle abitudini dell’utente, prevedendo quali caratteri o parole intende scrivere in base al contesto. In sintesi: La tastiera è latina, non composta da migliaia di tasti ideografici. Il testo risultante, però, viene visualizzato in caratteri cinesi grazie alla conversione automatica dal pinyin agli ideogrammi.

giovedì 13 novembre 2025

È intelligenza, l'intelligenza artificiale?


L’intelligenza artificiale è una forma di intelligenza? La domanda, in apparenza semplice, nasconde una complessità concettuale che obbliga a interrogarsi sul significato stesso del termine intelligenza. Dipende, infatti, da cosa intendiamo con questa parola, spesso usata come un contenitore elastico, talvolta persino retorico. Parlare di “intelligenza” implica definirne lo statuto: è una facoltà, una proprietà emergente, un processo adattivo, una forma di relazione con l’ambiente? Le caratteristiche di pluralità e distribuzione (su cui si concentra questo contributo) rendono quello di intelligenza un concetto sfuggente, inafferrabile nei suoi confini. Tanto più oggi, in un paesaggio cognitivo in cui le frontiere tra umano, biologico e artificiale appaiono sempre più porose, attraversate da scambi continui di forme, di linguaggi, di funzioni. Le neuroscienze, la biologia evolutiva, la teoria dei sistemi e l’intelligenza artificiale stessa hanno contribuito a dissolvere l’idea di un’intelligenza come facoltà esclusiva e centralizzata, appartenente a un solo dominio o a una sola specie.

mercoledì 5 novembre 2025

Polisemia dell’immagine e vecchie e nuove iconoclastie



Abstract

Comprendere la storia dell’iconoclastia significa riconoscere che ogni civiltà, a suo modo, ha tentato di disciplinare il potere delle immagini, percependo la figura come entità eccedente, capace di incidere sul reale più di quanto la parola possa contenere. Ogni epoca si è confrontata con la loro forza emotiva, con la loro capacità di orientare comportamenti, credenze e affetti, cercando di regolare ciò che l’immagine può mostrare, suggerire o evocare. Dalla condanna degli idoli nell’antichità ai dibattiti bizantini, dalle riforme protestanti alle forme contemporanee di censura algoritmica, ricorre sempre lo stesso impulso: contenere l’eccedenza semantica delle immagini, disciplinare la loro potenza simbolica, riportarle entro un ordine controllabile dalla parola.


L’immagine è costitutivamente ambigua. A differenza del linguaggio verbale, non trasmette messaggi soggetti a codici rigorosi di significazione: non dice, ma mostra; non spiega, ma suggerisce. La sua forza non sta nella chiarezza enunciativa, bensì nella capacità di aprire lo sguardo a una pluralità di interpretazioni. In ogni immagine convivono più sensi possibili, più verità in tensione. È questa la sua polisemia, la sua natura irriducibile a un’unica lettura.
Ma proprio questa libertà del visivo - la sua resistenza alla definizione - ha generato, nel corso della storia, diffidenze e reazioni violente. Ogni volta che una cultura ha cercato di fondare la verità su un linguaggio stabile e controllabile, l’immagine è diventata sospetta. La sua ambiguità, fonte di emozione e di turbamento, è stata percepita come una minaccia: come la possibilità di deviare il senso, di ingannare lo sguardo, di sovvertire il principio della chiarezza.

lunedì 3 novembre 2025

Oltre realismo e costruttivismo. Un'ipotesi di co-emergenza


Il nodo della questione

Il dibattito fra realismo e costruttivismo attraversa come un filo rosso la storia della filosofia moderna e contemporanea. Le due posizioni rappresentano, in fondo, due modalità opposte di pensare il rapporto tra mente e mondo, tra soggetto e oggetto, tra conoscenza e realtà.
Il realismo afferma che esiste un mondo indipendente dal soggetto conoscente e che, almeno in parte, possiamo accedere ad esso così com’è. La conoscenza, in questa prospettiva, non crea il reale ma lo rappresenta: l’atto conoscitivo ha la funzione di rispecchiare, più o meno fedelmente, ciò che esiste al di là di noi. È un paradigma che trova radici antiche - dal logos greco alla scienza galileiana - e che si è tradotto, nella modernità, nell'ideale di una descrizione oggettiva del mondo.
Il costruttivismo, al contrario, mette in discussione la possibilità stessa di un accesso “puro” alla realtà. Ogni sapere è una costruzione situata, mediata dal linguaggio, dalla cultura, dagli strumenti e dalle prospettive storiche. Non esiste un “dato” neutro, ma soltanto interpretazioni. Il mondo che conosciamo è già intriso delle nostre categorie, dei nostri simboli, delle nostre tecnologie cognitive. In questo senso, il costruttivismo sposta l’asse del problema dal mondo all’attività del soggetto, ponendo l’accento sulla dimensione produttiva della conoscenza.

lunedì 27 ottobre 2025

Il rischio di delegare. I modelli generativi come protesi linguistiche


Abstract 

L’articolo indaga il parallelismo tra la rivoluzione della scrittura nell’antichità e quella, oggi, dei modelli generativi del linguaggio. A partire dalla critica platonica nel Fedro, dove la scrittura è accusata di indebolire la memoria e di spegnere la vitalità del pensiero dialogico, si ricostruisce la genealogia di una diffidenza antica verso ogni forma di esternalizzazione cognitiva. La storia, tuttavia, mostra come quella stessa delega - alleggerendo il peso a carico delle risorse mentali - abbia consentito un potenziamento della mente umana e abbia moltiplicato la capacità del sapere di auto-organizzarsi, di sedimentarsi e di evolvere. In questa prospettiva, l’articolo propone un’analogia con i modelli generativi contemporanei: anch’essi, pur suscitando timori di perdita delle competenze linguistiche, possono essere letti come strumenti di redistribuzione cognitiva. Deleghiamo alla macchina la forma del linguaggio per dedicare più energie al pensiero, alle intuizioni, alle connessioni e alla creazione di nuovi significati.

L’etica del monopolio: perché i padri dell’IA ci mettono in guardia dai loro stessi prodotti


Sam Altman, CEO di OpenAI , la società dietro ChatGPT , sta lanciando avvertimenti inaspettatamente severi sugli effetti dei suoi prodotti e di quelli simili. "Mi aspetto che accadano cose davvero brutte a causa della tecnologia", ha affermato in una recente intervista. E Altman non è il solo. Si ricordi che anche altri "padri" dell'Intelligenza artificiale, da Elon Musk a Geoffrey Hinton a Yoshua Bengio, da tempo, ci mettono in guardia contro i pericoli portati da queste nuove macchine, che pure si affrettano a sviluppare tramite investimenti miliardari. 
Le parole di Altman suonano inquietanti, ma anche ambigue: come può chi guida lo sviluppo di queste stesse tecnologie presentarsi come voce critica e ammonitrice? Perché i costruttori dell’IA sembrano essere oggi anche i suoi profeti apocalittici?
Dietro questa apparente contraddizione si nasconde una strategia più sottile e coerente di quanto sembri, che intreccia comunicazione, potere e ideologia. Le ragioni di questo doppio discorso - l’allarme etico e la spinta espansiva - possono essere ricondotte almeno a tre logiche complementari.