domenica 23 dicembre 2018

Glance. Lo sguardo mobile



Ogni rappresentazione necessita di un dispositivo che la ingloba e ne permette l’esposizione e la ricezione, predisponendo l’esperienza estetica del fruitore. Un dipinto necessita di una cornice, di una parete o comunque di un contesto espositivo.
L’insieme di queste componenti ‘peritestuali’ viene definito parergon (in semiotica oggi viene usato anche il termine “bordure”) e comprende degli elementi molteplici come il titolo, la firma, la cornice, lo spazio museale che circonda e ricontestualizza le opere, l’archivio che le documenta e le colloca dal punto di vista storico, il discorso teorico-critico che ne definisce la lettura. Il contesto parergonale caratterizza anche altre forme espressive, come la fotografia, il teatro, la musica, il cinema. Esso permette di presentare e di rendere percepibile ed esperibile l’opera, anche se le modalità con cui espleta questo lavoro variano strutturalmente da un linguaggio all’altro.

Ogni tipo di ‘bordure’ ha in comune le stesse funzioni di indice, soglia, delimitazione, focalizzazione, ostensione. Essa individua i margini stessi della rappresentazione, favorendone una fruizione adeguata. Quali sono i contesti parergonali (o ‘bordures’) che caratterizzano molta fruizione attuale di contenuti audiovisivi sulle moderne interfacce delle tecnologie digitali? Si pensi, ad esempio, alla visione di fotografie e filmati direttamente sul monitor di un PC, quasi sempre in un riquadro di dimensioni contenute ritagliato all’interno dell’area di lavoro del sito web cui siamo connessi.
La fotografia o il filmato, generalmente compressi e quindi spesso di scarsa definizione, sono collocati in una finestra, la quale non è che una porzione di spazio inclusa in un riquadro più grande, quello della pagina del sito su cui stiamo navigando, a sua volta cosparsa da una serie di informazioni grafiche e scritte. La ‘bordure’, in questo caso, omogeneizza la cornice più piccola e lo spazio della pagina web tutto intorno, incorniciando in un'unica superficie semantica sia l’immagine o il filmato che l’interfaccia del sito. Il contenuto visivo viene comunque ricontestualizzato e risemantizzato dalle azioni parergonali che premono ai margini e tutto intorno.
Il monitor di un PC risulta dunque una cornice labile e discontinua, una membrana permeabile che permette dei rapporti di scambio tra il testo audiovisivo inquadrato e il margine operativo dell’area di lavoro al suo esterno, che mostra tutta una serie di funzioni, informazioni e collegamenti a portata di click. Si pensi a delle piattaforme ipertestuali come Youtube o Vimeo: in questi casi, la fruizione non consiste nel guardare semplicemente un video, ma nella possibilità stessa di saltare agilmente e con assoluta scioltezza da un filmato all’altro, grazie alla serie di elenchi ordinati per categorie e somiglianze che il software predispone, visibili in ogni momento anche durante la fase di riproduzione. La visione si trasforma in navigazione, cioè in una serie di percorsi possibili di fruizione, che il singolo utente può articolare operando dei collegamenti. La sua attività, tuttavia, resta priva di un’impostazione ordinata, in quanto sottoposta agli stimoli e alle proposte di connettività offerte dal programma. Nella navigazione audiovisiva, il valore simbolico si va man mano addensandosi più sulle connessioni che legano questi contenuti – o frammenti di essi – tra loro, che sui contenuti stessi.
Si vede bene come, in queste circostanze, la ‘bordure’ non si configura più come un confine protettivo che separa lo spazio della rappresentazione dal mondo esterno, ma si presenta come una soglia fluida, un dispositivo che richiede allo spettatore continui adattamenti e nuove strategie di scambio tra i due universi, interno ed esterno, che la ‘cornice’ mette in relazione.
La tecnologia digitale moltiplica e frantuma a dismisura i luoghi di circolazione delle immagini, sia immobili che in movimento, rendendo la fruizione sempre più domestica, elastica e portatile. Dotati di una maggiore snellezza e trasferibilità, le immagini e i filmati proliferano nelle più diverse piattaforme mediali disponibili: dalla tv al web al display degli smartphone. Tutto ciò inserisce la visione in un contesto sociale e comunicativo sempre più ampio e articolato. Se un tempo il film era costretto in un numero esiguo di luoghi deputati – sale cinematografiche, palinsesti televisivi, VHS da visionare in salotto –, ora i nuovi spazi conquistati moltiplicano le occasioni di fruizione, modificandone la struttura.
Questo nuovo tipo di spettatore, o di ‘iperspettatore’ (come viene spesso definito), può accedere alla visione direttamente sul monitor multi-tasking del computer di casa, dove può essere distratto dalle funzioni di altri programmi contemporaneamente attivi e ridotti a icona, inframezzando la visione con altre attività, interrompendola e riprendendola spesso a distanza di tempo.
La situazione appena descritta è quella che gli attuali studi sulla ricezione riconducono alla pratica del glance (occhiata), indagata in contrapposizione a quella del gaze, inteso quest’ultimo come sguardo attento, prolungato, di tipo contemplativo. Il glance individua, invece, una fruizione distratta, non immersiva, che si tiene in superficie. Il glance è lo sguardo mobile, instabile; è un modo di “vedere” il film discontinuo, che non si lascia ipnotizzare o comunque coinvolgere dalla storia, così come avviene nell’oscurità di una sala cinematografica. L’esperienza di fruizione è semmai ricondotta a una moltitudine di luoghi non sempre forniti di una definizione spaziale, nonché a una indeterminatezza temporale che spesso interrompe, prolunga e diluisce le pratiche di ricezione. La fruizione glance, che si ha nella visione attraverso dispositivi portatili, trasforma il film da oggetto privilegiato dell’attenzione dello spettatore a puro oggetto di distrazione; tra il film fruito secondo queste modalità e lo spettatore non si instaura un rapporto solido e continuo; al contrario tra essi esiste un rapporto discontinuo, distratto, in cui lo spettatore non ha la possibilità di immergersi nell’universo filmico rappresentato, ma ne coglie sono alcuni aspetti.
La visione individuale e in mobilità è l’esatto contrario della visione collettiva e immobile che il cinema ha adottato fin dalla sua nascita. Con il suo avvento, infatti, la visione ha assunto due diverse modalità: da un lato le immagini fisse e lo spettatore libero di muoversi nello spazio secondo un percorso individuale, come nel Museo o nelle Gallerie; dall’altro le immagini in movimento con spettatori fissi, raccolti in un pubblico davanti allo schermo, come nel teatro e nel cinema.
All’interno di una sala cinematografica, lo spazio e i dispositivi di proiezione e riproduzione del suono lavorano insieme per la creazione di un ambiente immersivo e privo di alcuna distrazione che possa distogliere l’attenzione dello spettatore dal film. Il buio della sala denota il luogo come distinto dai contesti quotidiani, consentendo allo spettatore di immergersi nella storia raccontata ed alimentando la possibilità che l’immagine proiettata diventi un vero e proprio mondo. Con i nuovi dispositivi, invece, “la visione avviene sempre più spesso in piena luce: sui mezzi di trasporto, nelle piazze, persino a casa, quando ci apprestiamo a seguire delle immagini in movimento (e dei suoni) sul nostro computer, o sul tablet, o alla televisione, non ci preoccupiamo troppo che l’ambiente sia oscurato. Non si tratta di un dettaglio, ma semmai di un sintomo. […] Non siamo più vincolati a un ambiente chiuso; al contrario, i luoghi della visione sono spesso aperti, esposti, senza soglia. Le immagini filmiche non pretendono più di costruire un mondo: al contrario, ciò che arriva sui nostri schermi è un materiale spesso incerto, composito, di diversa natura e dotato di finalità differenti. Infine, non è più scontato trovare un pubblico immerso in una visione; al contrario, seguire un film è un atto sempre più solitario e superficiale.” (F. Casetti, La questione del dispositivo, in Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, n.20)
Si tratta, allora, della fine dell’esperienza cinematografica? “La risposta – continua Casetti - passa attraverso un profondo ripensamento della nozione di dispositivo cinematografico”. Questo non è una struttura chiusa e precostituita. All’idea di dispositivo come apparato, Casetti ne oppone una come “assemblage”, in grado di ricreare, “pur lontano dalla sala buia, nuove occasioni di re-incantamento”. Il fruitore, infatti, pur nelle situazioni meno vantaggiose e anche nell’uso di dispositivi mobili, riesce a mettere in atto delle “strategie di riparazione”. Ecco infatti che, pur trovandosi in ambienti aperti e addirittura affollati, lo spettatore cerca di creare delle barriere e di isolarsi (ad esempio indossa le cuffie) fino a costruirsi una bolla personale entro cui rifugiarsi e immergersi nella fruizione di un contenuto. Oppure, mentre guarda qualcosa in solitaria, cerca anche di ricreare attorno a sé un pubblico, magari dialogando in rete con altri spettatori su forum o social network. Il nuovo contesto mediale, infatti, consente di costruire dei pubblici virtuali anche quando lo spettatore si ritrova da solo di fronte al display di un computer o di un tablet.
Queste, secondo Casetti, sono delle strategie di riparazione che cercano di porre un rimedio alla perdita di alcuni caratteri tradizionali della visione cinematografica. In questa nuova modalità, il cinema non scompare; semplicemente si riloca. Certamente, molte differenze permangono. La bolla in cui lo spettatore si chiude, ad esempio, “ha delle pareti assai fragili, che si possono infrangere a ogni istante. La privacy che assicura è del tutto precaria, visto che l’utente continua a essere esposto agli sguardi di chiunque gli passa accanto. Tuttavia questa bolla offre anche una sorta di riparo. Quando mi rintano in essa, abolisco ciò che mi circonda, e ricreo un senso d’intimità”.

Bibliografia:
F. Casetti, La questione del dispositivo, in Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, n.20.

Francesco Casetti, Mariagrazia Fanchi (a cura di), Terre incognite : lo spettatore italiano e le
nuove forme dell'esperienza di visione del film, Roma, Carocci, 2006.

Pierpaolo De Sanctis, Ricezioni espanse. Il film e le sue cornici, Tesi di dottorato.

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