giovedì 13 settembre 2018

"Apollo e Dafne" di Gian Lorenzo Bernini. Il tema della metamorfosi

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25, Galleria Borghese, Roma.

L'estetica Barocca rifugge l’equilibrio e l’armonia unitaria, prediligendo la forma fluida e irregolare, il frammento e l’incompiuto. Essa è permeata dai motivi dell'instabile e del mutevole, dell'illusione, dell'apparenza, della metamorfosi, del moto continuo. Come la nuova cosmologia afferma che tutto l’universo è animato dal movimento perenne, così l’arte interpreta in modo cinetico le sue rappresentazioni. Il nuovo spazio è uno spazio dinamico. Niente più è fermo e stabile. Tutto si muove, i personaggi sono colti nel momento culminante dell'azione, e si predilige la trasformazione, il mutamento, la rappresentazione dell’attimo fugace. La grande fortuna del tema della metamorfosi è legata a questa percezione della realtà come continuo movimento e trasformazione, dove tutto muta senza sosta in qualcos’altro. Ogni cosa è mobile, inconsistente, effimera, illusoria.

Un esempio magnifico di questa estetica della metamorfosi è il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini “Apollo e Dafne” (storia tratta, appunto, dalle “Metamorfosi” di Ovidio), che rappresenta i due protagonisti nel momento in cui si sta compiendo la trasformazione di Dafne in una pianta di alloro: le dita dei piedi stanno divenendo radici, la corteccia lignea sta ricoprendo il corpo, i capelli e le mani si stanno tramutando in rami e foglie. L’autore ha deciso di fermare nel marmo il momento in cui comincia la metamorfosi. La figura sinuosa della fanciulla è ancora riconoscibile, ma reca già i segni di ciò in cui si sta trasformando. La postura dei corpi è resa con estremo dinamismo, che dà l’illusione del movimento. L’uso esclusivo di linee curve conferisce alla composizione una sensazione di leggerezza e una forma a spirale, una forma, cioè, senza fine e senza compimento, che si prolunga e si avvita indefinitamente nello spazio.
Il gruppo scultoreo di Bernini si può considerare la realizzazione perfetta di un tema centrale nell’immaginario barocco, qual è appunto quello delle metamorfosi. Attraverso il mito di Apollo e Dafne l’autore mette in scena l’instabilità delle forme, mostrando il loro perenne mutare e disfarsi: tutto è precario e variabile, persino il confine tra animato e inanimato, tra mondo umano e mondo vegetale.


Qual è la posizione dell'osservatore di fronte a un’opera siffatta? L’aspetto più evidente, da questo punto di vista, è che l’Apollo e Dafne del Bernini non possiede un punto di vista privilegiato che permetta una visione di insieme. L’opera, da qualunque parte la si guardi, appare frammentata in particolari e in punti di vista che impediscono la fruizione complessiva del tutto. Lo spettatore non può rimanere fermo a contemplarla, ma deve girarci attorno, per ricostruire la frammentarietà della composizione, per seguire la durata dell’azione nel tempo e per completarla attraverso l'attivazione della propria immaginazione.
Il medesimo discorso sulla molteplicità dei punti di vista può essere esteso ad altre opere del Bernini, come ad esempio l'altrettanto dinamico e spettacolare "Ratto di Proserpina".

Gian Lorenzo Bernini, “Il ratto di Proserpina”, 1621-22, Galleria Borghese, Roma.



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