lunedì 24 settembre 2018

Testimoni della chiamata di Dio.



Lorenzo Lotto e Michelangelo Merisi detto il Caravaggio: due pittori molto diversi tra loro, sebbene entrambi posti su due linee di confine. La vita artistica di Lotto abbraccia tutto l’arco della prima metà del Cinquecento, quella del Caravaggio comprende invece gli ultimi anni del secolo e il primo decennio del Seicento. Chiude la parabola del Rinascimento il primo, apre quella barocca il secondo.
Pur appartenendo a due epoche diverse, l’opera di entrambi si caratterizza per il realismo della rappresentazione del quotidiano e per l’azione drammatica impressa alle scene.
Nel 1535 Lotto dipinge la famosa Annunciazione di Recanati; oltre settanta anni dopo Caravaggio realizza la stupefacente Conversione di San Paolo, di Santa Maria del Popolo. Cosa accomuna queste due opere? In entrambe si realizza l’incontro sconvolgente tra l’umano e il divino. In ambedue Dio irrompe nella vita di un essere umano, chiamandolo a una missione che sconvolgerà non solo la sua esistenza, ma muterà per sempre il destino del mondo intero.

A fare da testimoni dell’evento, questi due artisti raffigurano in una posizione di spicco due animali, un gatto e un cavallo. E se in precedenza le presenze animali nelle rappresentazioni sacre rivestivano una funzione essenzialmente simbolica e metastorica, nel caso delle opere del Lotto e del Caravaggio, invece, esse assumono più che altro il ruolo di garanti imparziali, nei confronti dello spettatore, della realtà concreta dell’accadimento che travolgerà la storia dell’umanità.

Il gatto testimone dell'Annunciazione
Quella di Recanati, eseguita da Lorenzo Lotto, è sicuramente la più singolare Annunciazione della storia della pittura, per l’approccio originale e non retorico a un tema così familiare e diffuso nell’immaginario collettivo.


Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1534-1535, Recanati, Pinacoteca Civica, Villa Colloredo Mels.

L’insieme compositivo di questo dipinto è estremamente interessante ed innovativo rispetto alla tradizione tre-quattrocentesca, dove l’Angelo e Maria venivano rappresentati di profilo, l’uno inginocchiato di fronte all’altra, sulla soglia di una stanza o nel chiostro o in un colonnato di un convento; il punto di vista del pittore (e dunque dello spettatore) era di solito esterno al luogo in cui avveniva l'annuncio. Nella tela di Lotto, invece, lo spettatore viene collocato nel lato più interno della stanza. Inoltre lo schema pittorico è invertito: se l'Arcangelo Gabriele, infatti, è tradizionalmente a sinistra e la Madonna a destra, qui accade esattamente il contrario.



Beato Angelico, L’Annunciazione, (sec. XV) Museo del Prado.

Il dipinto di Recanati è ambientato nella camera da letto della Vergine Maria, che presenta una loggia aperta su un giardino (hortus conclusus). Particolarmente minuziosa è la rappresentazione della scena, di dettagliato realismo di ascendenza fiamminga. L’episodio risulta così restituito in tutta la sua immediatezza, come in un’istantanea capace di rivelare l'evento nell'attimo stesso in cui accade e le più intime reazioni emotive dei protagonisti. L’opera fissa con sguardo attento la verità quotidiana dell’avvenimento, evocata dalla descrizione analitica degli oggetti e degli arredi domestici che connotano la camera di Maria: l’inginocchiatoio sul quale è posta la Vergine, la clessidra appoggiata sullo sgabello in secondo piano (peraltro la quantità di sabbia posta nell’ampolla superiore della clessidra è uguale a quella dell’ampolla inferiore, segno che si è giunti nella centralità del tempo, ovvero nella sua pienezza), la cuffietta da notte e l'asciugamano appesi, i libri e gli oggetti collocati sulla mensola. Lo spazio esterno appare come un giardino anch'esso ben ordinato, come un hortus conclusus, immagine della perfezione e della purezza della stessa Maria, nel cui grembo sta per incarnarsi il mistero di Dio fatto uomo. La luce chiara che si posa su ogni elemento presente nella stanza, le ombre create dai personaggi presenti, la dolce penombra nell'angolo tra la porta e il letto ci restituiscono l’atmosfera silente di una giornata primaverile senza tempo, dove il divino si unisce all’umano, l'eterno alla caducità delle cose terrene e la parola di Dio diviene realtà di fronte ai nostri occhi.

Lorenzo Lotto, Annunciazione, Dettaglio

In questo mondo perfettamente ordinato e terreno irrompono, dal cielo, Dio Padre e l’angelo, che sembra a sua volta spaurito dall’enormità di quanto sta avvenendo e sgrana gli occhi indicando con una mano l’ordine superiore, cui nessuno può sottrarsi, e recando nell'altra il giglio, simbolo di purezza virginale.
Maria Vergine, che ha un aspetto modesto, di ragazza di campagna, è colta alla sprovvista nella quiete domestica ed è presentata nel momento del turbamento (conturbatio), impaurita dal sopraggiungere dell'angelo e dalle sue parole.


Lorenzo Lotto, Annunciazione. Dettaglio


Rinnovando radicalmente l’iconografia della scena, Lotto raffigura la Madonna nell'atto di volgersi verso lo spettatore, al fine di renderlo partecipe del suo smarrimento, dando le spalle al messo celeste, e solleva le mani sorpresa, infossando la testa tra le spalle con un'espressione tra lo sgomento e il rassegnato. La giovane ha un equilibrio precario; ritraendosi sembra quasi che possa scivolare. Questo movimento conferisce al personaggio un'impressione di vitalità e di realismo lontani dalla postura ieratica e composta di molte annunciazioni.
Citiamo a questo proposito quella del Trittico di Mérode di Robert Campin: anche qui grande realismo dei dettagli nella raffigurazione degli ambienti e della quotidianità. Ma quale compostezza nella scena! Maria, per nulla turbata, continua tranquillamente a leggere il suo libro; nella stanza accanto, San Giuseppe prosegue la sua attività di falegname. Solo il fumo proveniente da una candela spenta e le pagine mosse di un libro aperto testimoniano che l’angelo e il respiro di Dio sono entrati nella stanza, che il divino ha toccato il tempo del’uomo.


Robert Campin, L'Annunciazione. Trittico di Mérode, 1427, Metropolitan Museum New York - Public Domain via Wikipedia Commons


Nel catalogo, realizzato nel 1979, Pittori nelle Marche fra '500 e '600, Arcangeli definisce gli occhi di questa Madonna del Lotto “i più commoventi della pittura. Spalancati, con le pupille grandi come laghi cupi nel buio; laghi del cuore, dove un'anima s'affaccia e spaura, timida di confessarsi, torbida quasi per troppa innocenza [...]. Capolavoro della trepidazione, della tristezza: i sentimenti inevitabili del Lotto.” Nell’espressione di questa fanciulla modesta ritroviamo la capacità del Lotto di realizzare, come afferma Argan, i primi ritratti psicologici della storia dell’arte. E’ uno sguardo che rivela non tanto delle qualità morali o spirituali, ma è soprattutto specchio di un’interiorità, di uno stato d’animo, dei sentimenti che albergano e si dibattono in esso.
L'espediente narrativo che contribuisce sicuramente a rendere più realistica e familiare la scena è quello rappresentato dalla presenza del gatto, spaventato anch’esso dall’arrivo inaspettato dell’Angelo. La sua reazione di paura, manifestata dalla schiena inarcata e dall’espressione spaventata, testimonia che quell'annuncio sta avvenendo davvero, in quella stanza, in quel dato momento; l'eternità ha fatto irruzione nel tempo, la potenza divina ha scosso la terra. Quel Dio non è solo una visione della Madonna, chiamata ad assolvere il disegno dell’Onnipotente. E’ invece un fatto storico, visibile anche da un piccolo essere animale, che assume così lo status di testimone. La stessa funzione è svolta anche dagli oggetti minuziosamente ritratti nello spazio pittorico, che concorrono nel costruire una scena realistica, di vita quotidiana, incardinata nel tempo. Ma questi oggetti rimangono dei testimoni inerti, silenziosi nell’ombra, mentre il gatto, con la sua reazione drammatica, ci rivela che siamo di fronte a un evento sconvolgente.
Secondo alcune interpretazioni, invece, il gatto è anche un richiamo simbolico al male, che fugge di fronte alla rivelazione della potenza di Dio; infatti, quest'animale nel Medioevo e nel Rinascimento era caricato di valori negativi, associato alle streghe ed al demonio.


Lorenzo Lotto, Annunciazione, Dettaglio.


Nell'antico Egitto il felino era associato alla luna, alla dea Bastet, rappresentata con la testa di gatto. In Grecia e a Roma il gatto era associato ad Artemide-Diana e ancora alla Luna. In genere aveva carattere positivo, benefico. Nel Medioevo, invece, si diffuse la leggenda che il gatto fosse l'immagine del diavolo e che quindi avesse una connotazione negativa. Così lo definisce ad esempio San Domenico. Nel 1233 papa Gregorio IX emanò la bolla Vox in Rama che considerava il gatto, specie se nero, incarnazione di Satana, e ne incoraggiava lo sterminio. Il gatto, inoltre, veniva associato alle streghe e praticare gatti o solo avvicinarli da parte di una donna era sintomo di pratiche diaboliche e stregonesche: papa Innocenzo VIII, nel 1484 emanò una bolla Summus Desiderantes Affectibus con la quale, fra l'altro, scomunicava tutti i gatti. Le sue considerazioni sulla frequentazione dei gatti da parte delle streghe vengono riprese e liberamente interpretate, anche se in modo diverso, dal Malleus Maleficarum ( Martello delle Streghe ), degli inquisitori domenicani tedeschi Jakob Sprengen e Heinrich Insitor Kramer, secondo i quali avvicinare e frequentare i gatti da parte delle donne, specie nelle notti di luna, significava avere rapporti col demonio e quindi essere streghe.




La conversione di San Paolo di Caravaggio
Nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo, all'interno della cappella Cerasi, ci sono due opere famosissime di Caravaggio, poste una di fronte all'altra: La conversione di san Paolo e La crocifissione di san Pietro. Dipinto nel 1601 su commissione di Monsignor Cerasi, il primo rappresenta il momento, descritto negli Atti degli Apostoli, della conversione di Saulo di Tarso, soldato romano, folgorato dalla luce divina nel suo viaggio verso Damasco, dove avrebbe dovuto continuare la sua opera di persecuzione dei cristiani.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, La conversione di san Paolo, 1601-02, Roma, Santa Maria del Popolo.

Basta guardare il dipinto per rendersi conto dell'audacia compositiva dell'opera e della sua portata rivoluzionaria: qui il vero protagonista non è il santo, ma il cavallo (tanto che qualche critico ha definito la tela "La conversione del cavallo"), messo di traverso lungo lo spazio del quadro e incombente, con la sua gran massa, non solo su Saulo caduto, ma anche sullo spettatore. Un vecchio palafreniere, in secondo piano, trattiene per il morso l'animale ancora schiumante. A terra giace, folgorato e reso cieco dall'intervento divino, Saulo di Tarso, che allarga le braccia e le protende verso la luce, sovrastato, quasi minacciato, dallo zoccolo di quel cavallo, in sella al quale poco prima sedeva baldanzoso e sicuro della propria autorità. La spada e l'elmo giacciono ai suoi fianchi, ormai inutili, appartenenti alla vita precedente del soldato. Saulo in quel momento diventa Paolo, cioè "piccolo", che come un bambino appena nato alza le braccia al cielo per accogliere la luce dell’amore divino. La scena sembra avvenire di sera, al chiuso, forse all'interno di una stalla. Quella zona del quadro in cui si forma un intrico terribile di zampe, gambe, braccia e mani è il luogo di un dramma misterioso insieme sacro ed umano.
Come in tutte le tele della maturità del Caravaggio, protagonista assoluta è la luce radente, la cui fonte non è mai presente all'interno dello spazio raffigurato, la quale qui irrompe teatralmente dall’alto, plasma l'ambiente e definisce lo spazio della composizione, oltre a focalizzare l'attenzione dello spettatore sui protagonisti della scena che sembrano emergere dall'oscurità che li circonda. A differenza di altre rappresentazioni del medesimo episodio (Michelangelo, Raffaello, Lodovico Carracci ed anche un precedente dipinto dello stesso Caravaggio), dove compaiono soldati spaventati e cavalli imbizzarriti, in questo quadro Michelangelo Merisi privilegia l'intimità e il mistero della conversione, semplificando la composizione e riducendo il numero dei personaggi presenti. Inespressiva, eccessiva, manieristicamente sovraccarica, la prima tela dipinta da Caravaggio per questa commissione e poi, forse, rifiutata dal Cerasi (oggi di proprietà Odescalchi); essenziale, esteticamente e formalmente straordinaria questa seconda. Drammatica e coinvolgente, plastica e potente nel suo caldo cromatismo; irruente e movimentata nella concitata lotta tra la luce e la tenebra, essa non solo ci racconta un evento, ma ci risucchia in esso costringendoci a non rimanere indifferenti, bensì coinvolgendoci nella scena.


Caravaggio, Conversione di San Paolo (Odescalchi).

A questo proposito, fondamentale è lo spazio che Caravaggio crea, non costruendolo in profondità, secondo i canoni della prospettiva rinascimentale, ma aprendolo in avanti. Esso è infatti ben delimitato e chiuso sul fondo dalla possente sagoma del cavallo, ma ben aperto in avanti, spinto fuori dal cerchio costituito dalle braccia di Paolo e dal corpo dell'animale. Uno spazio in cui si consuma la lotta tra l'oscurità di fondo e la luce che irrompe staccando le figure da quel buio, infrangendosi sul meraviglioso manto pezzato del cavallo come su uno specchio, riflettendosi abbagliante sulle zampe e sui piedi del vecchio, e poi sul corpo del convertito e sul suo bel mantello di porpora, fino a uscire fuori dalla tela, per raggiungere lo spettatore. Tutto si impregna di quella luce, riverbera di quella potenza. Ma non è il mero significato simbolico che impressiona, bensì l’inquietante realismo di quei corpi, umani e animali, che sembrano uscire dalla tela e venire contro di noi.
Il messaggio divino è giunto, come al solito, improvviso, inaspettato, cogliendo di sorpresa: lo si intuisce dall'agitarsi nervoso dell'animale, dalla fronte profondamente corrugata del vecchio e dalle vene gonfie della sua gamba.
Torniamo al cavallo. C’è da immaginarsi lo sconcerto di coloro che scorsero l’opera per la prima volta, i quali videro le terga di un enorme destriero dominare la scena della conversione del santo per eccellenza, l’Apostolo delle genti. Una scelta compositiva che andava contro tutte le norme codificate nei trattati tridentini sulla pittura, che prescrivevano di non porre al centro della rappresentazione un animale o elementi secondari. Eppure proprio la rappresentazione del cavallo è l’elemento che permette una comprensione più profonda dell’evento. La pittura e la scultura si sono spesso servite di questo animale, saldamente dominato dal suo cavaliere, per celebrare una gloria o un potere, per innalzare la superiorità morale, politica o militare di un personaggio. Paolo invece viene raffigurato a terra, sotto il cavallo, dopo essere stato sbalzato dalla propria arroganza e dal proprio orgoglio di soldato di Roma, nella posizione più umiliante e nello stesso tempo più propizia ad accogliere la fede.
Con Caravaggio cambia lo sguardo dell’artista, che raffigura animali e nature morte con la stessa cura con cui rappresenta uomini e santi, prendendo le sembianze di questi dalla gente del popolo, ritraendola con realismo crudo e drammatico, lontano da ogni idealizzazione, in uno spazio in cui la tridimensionalità non è data dalla prospettiva, ma dalla luce, che plasma e modella i volumi dei corpi facendoli uscir fuori dal buio della scena.

Nessun commento:

Posta un commento