lunedì 20 marzo 2017

Follia - Il folle nel Medioevo

Salterio, lettera ‘O’ istoriata in cui è rappresentato un Folle con palla di cristallo e la “marotte”, il tipico bastone del giullare con un volto intagliato che riflette il folle stesso, XIII secolo.


Come ci ha dimostrato Michel Foucault, nel suo celebre La storia della follia in epoca classica (1963), la concezione moderna di “follia” nasce attorno al XV secolo. Nell’antichità e nel Medioevo la follia non ha un’esistenza autonoma e si confonde con le manifestazioni del sacro. La convivenza quotidiana con la dimensione magico-religiosa della realtà instaura un profondo legame tra follia e forze divine o demoniache. Nella mitologia greca, la furia delle menadi o quella che acceca eroi come Ercole o Aiace, è provocata da divinità.

Nel Medioevo il folle è ancora tollerato ai margini della società, né integrato né escluso del tutto, poiché in lui si riconosce un ‘segnato da Dio’. Per quanto lo estrometta e lo releghi tra i reietti della società, infatti, la cultura medievale accorda al folle il ruolo di portatore di verità “non ortodosse”, gli concede uno status di straordinarietà che gli consente di parlare senza censura, ne fa una figura importante della propria immaginazione popolare e artistica. Il folle è visto come il possessore di un sapere oscuro e impenetrabile, che può accedere a realtà impercettibili all'uomo comune, realtà superiori che nascondono segreti misteriosi o rivelazioni religiose: “il folle, nella sua innocente grullaggine, possiede questo sapere così inaccessibile e così temibile… lo porta in una sfera intatta: questa palla di cristallo, che per tutti è vuota, è piena ai suoi occhi di un sapere invisibile”. (Foucault, Op. cit.).

Chroniques sire JEHAN FROISSART ». Français 2643.

Nel Medioevo, la ratio non detiene ancora il primato tra le facoltà umane, perché la ragione non è in grado di comprendere la saggezza e la volontà di Dio, le quali non possono che apparire come follia agli occhi degli uomini. Il folle, pertanto, incarna la critica alla superbia della ragione e la coscienza della tragicità dell'esistenza umana. Il semplice, l’idiota, lo stolto, il diverso, nella loro innocenza e umiltà, partecipano alla grazia divina. Prende consistenza la figura del “folle di Dio” che spesso confina con il fool. Indovino, profeta, inviato da Dio, l’unico al quale sia concessa la completa libertà di parola e l’impunità giuridica.
Attraverso i suoi “atti esteriori di follia” il “santo folle” riesce, come il fool, ad insegnare agli altri la verità, proclamando l'insensatezza delle cose del mondo. I “santi folli” sono degli asceti: essi vogliono diventare gli ultimi, i dimenticati, per vincere l’orgoglio e rinunciare a se stessi. La follia per loro è l’ultimo e il più alto grado di umiltà: la totale perdita della reputazione, della stima, dell’identità stessa.
Oppure, all'altro estremo, il folle è considerato un indemoniato, posseduto dal maligno, che occorre esorcizzare. La pazzia è dunque sintomo di santità o di possessione diabolica e il confine tra le due condizioni è alquanto labile e ambiguo.

Le Fou, Tarot dit de Charles VI, fin du XVe siècle, Italie du Nord

Ricapitolando, nel Medioevo la concezione di follia è ancora inserita nell’antica contrapposizione Bene/Male come parte inscindibile dell’umana tragicità. Il folle è l’immagine dell'insensatezza e della dissolutezza umana, collocato ai margini della società, ma mai escluso da essa. L’isolamento non gli preclude un ruolo sociale e simbolico che l’arte e la cultura dell’epoca non mancano di concedergli.

 L’etimologia della parola “folle” rinvia al latino follis che significa “soffietto, vescica, sacca, pallone, borsa, sacco gonfio d’aria”. Intorno al VI secolo si verifica uno spostamento di significato per cui il termine passa ad indicare un persona priva di senno, assimilabile alla vacuità di una sacca o pallone pieno d’aria, testa vuota.

BM Autun, ms. 275, f 3 v °, Bibbia di Nicolas Rolin, v. 1450.

Il Fool

Ancor più che uomo in carne ed ossa, nel Medioevo il folle è un personaggio, una maschera, una figura letteraria, oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, stereotipo dell’insensatezza della condizione umana e ricettacolo delle paure dei propri contemporanei. Coagulo di questo tipo di rappresentazioni è il buffone, che possiede licenza di pazzia. Licenza che da collettiva e limitata a un paio di giorni l’anno (come nelle “festa stultorum”) diviene personalizzata e permanente. Il fool è figura istituzionalizzata e deposito di una verità che in ogni società rimane a lato come scarto, verità che solo un pazzo può testimoniare.
Si può dire che il buffone è, in qualche modo, l’istituzionalizzazione della parola della follia, e in questo senso riveste un ruolo rituale e, nello stesso tempo, di ribellione. Senza rapporto con la morale e la politica e sotto la protezione dell’irresponsabilità, egli esprime il suo punto di vista altro sulle cose del mondo, raccontando in forma simbolica i vizi, le ipocrisie e quelle verità che gli uomini comuni devono tacere.
Se la follia come fenomeno sociale, condannata nelle numerose favole morali del Medioevo, porta l'umanità con sé nel suo oscuro abisso di perdizione, il Folle come personaggio dell'arte e della cultura racconta la propria verità attraverso il suo non-senso. Si sovrappongono, dunque, nella figura del buffone, due concetti che, per noi moderni, sono antitetici: la follia e la verità.

Chroniques sire JEHAN FROISSART ». Français 2643.



Nessun commento:

Posta un commento