domenica 28 agosto 2016

Il sacro sullo sfondo


Nelle opere di alcuni pittori del Cinquecento, come Patinir, Altdorfer e Bruegel il Vecchio, è evidente la progressiva perdita di centralità e preminenza del soggetto storico o mitologico rappresentato, a favore di un ruolo molto più significativo concesso al paesaggio. Questa progressiva emarginazione, fino alla totale espulsione, della figura umana, che era stata il perno della rivoluzione rinascimentale, continua per tutta la seconda metà del Cinquecento.
Dopo la Riforma Protestante, il Nord Europa fu interessato da una serie di episodi di iconoclastia, cioè di distruzione di immagini sacre, all’interno di luoghi di culto cattolici. Il fenomeno dell’avversione violenta al culto delle immagini non era nuovo in Europa, ma sembrava definitivamente risolto in Occidente dal Concilio di Nicea (787 d.C.) che aveva stabilito che “Chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto”. Dopo Martin Lutero, diversi riformatori protestanti incoraggiarono la demolizione delle immagini religiose, accusate di indurre idolatria o iconolatria e appellandosi alle proibizioni contenute nel Vecchio Testamento. La furia iconoclasta percorse la Svizzera, la Germania, la Francia, i Paesi Bassi arrivando in Danimarca e perfino in Scozia. Immagini dei santi o della Vergine, vetrate raffiguranti eventi miracolosi o soprannaturali furono rimosse dalle chiese e dalle cappelle cattoliche, e spesso furono distrutte. Furono presi di mira, per citare qualche esempio, la basilica di San Martino, a Tours, quella di Notre-Dame, a Rouen, e quella di Santa Maria Maddalena, a Vézelay.
Uno degli episodi più cruenti fu quello che esplose nelle Fiandre tra l’agosto e l’ottobre del 1566 e che è ricordato con il termine di beeldenstorm (tempesta delle immagini, in olandese). Come una tempesta, infatti, folle inferocite, aizzate da predicatori calvinisti, demolirono in Olanda, Belgio e Lussemburgo numerose chiese cattoliche, cappelle, abbazie, monasteri e tutto ciò che contenevano.
In tale iconoclasma furono distrutte anche alcune opere di contenuto religioso, per lo più ispirate ai Vangeli, del pittore olandese Pieter Aertsen. È probabile che tutto ciò influì sull’arte del maestro, la quale subì una svolta in senso manierista: osteggiati dal radicalismo calvinista, i soggetti religiosi non scompaiono, ma vengono relegati sullo sfondo, quasi dissimulati dietro un primo piano in cui predominano scene “di genere”, raffiguranti ambienti profani, personaggi popolari e “nature morte”. Con termine tedesco, questo procedimento è stato definito manieristische Umkehrung: “inversione manieristica” della rappresentazione. Viene anche usata la definizione di “prospettiva inversa”, con cui però non si fa riferimento a un capovolgimento della proiezione geometrica prospettica, bensì dei piani di rappresentazione in ordine alla rilevanza dei soggetti rappresentati, per cui ciò che in precedenza appariva in primo piano, ora è spostato sullo sfondo e viceversa.
Chiaramente la furia iconoclasta non spiega integralmente questo cambiamento di rotta, rispetto al quale concorsero molteplici cause; innanzitutto un concomitante cambio di committenza, da una essenzialmente ecclesiastica con destinazione pubblica a una borghese destinata alla fruizione privata, che interessava per lo più il nuovo ceto mercantile sviluppatosi in alcune città delle Fiandre e dell’Olanda. Tradizionalmente, inoltre, la pittura fiamminga e olandese era caratterizzata dalla tendenza alla raffigurazione realistica e naturalistica, alla minuziosa riproduzione di oggetti e di arredi domestici, di utensili di uso quotidiano o di prodotti dell’agricoltura, della caccia e dell’allevamento. Tale descrittivismo dettagliato e oggettuale era già da lungo tempo integrato nella rappresentazione di scene della storia sacra, in modo da attualizzarle agli occhi dello spettatore, favorendo l’identificazione di quest’ultimo con l’evento narrato dal dipinto. Ora questi elementi che appartengono alla scena del vissuto guadagnano il primo piano, mentre il sacro viene spinto sempre più sullo sfondo. Il soggetto religioso diventa una semplice citazione visuale, ed è pertanto tollerato in quanto non più oggetto di culto. In certi dipinti, come scrive Pino Blasone ne Il sacro sullo sfondo, “l’effetto è straniante al limite del grottesco, al punto da poter risultare larvata denuncia di un sopravvento – perfino profanatore e talora violento, sebbene camuffato – del materialismo sulla spiritualità.” (Pino Blasone, Il sacro sullo sfondo)
Eseguito prima del beeldenstorm del 1566, quando il clima iconoclasta era nell’aria, il dipinto di Aertsen Ecce Homo ci è giunto solo in frammento, conosciuto come Scena di mercato.


Pieter Aertsen, Ecce Homo (frammento), Scena di mercato, 1550 ca, Alte Pinakothek, Munich – Public Domain via Wikipedia Commons
Analogamente ad altri quadri biblici del pittore, l’evento che dà il titolo al dipinto si svolge sullo sfondo, mentre il primo piano è dominato da una scena di mercato. L’immagine, tagliata nella parte superiore, offre solo uno scorcio della folla che sta gridando “Barabba” davanti a Pilato. Davanti, la scena è saturata dalla disposizione dei carri e delle bancarelle dei venditori. Questa inversione di priorità dei soggetti sarà tipica di Aertsen.

Banco di macelleria, con Sacra Famiglia che distribuisce elemosine” (o “con Fuga in Egitto”) è un’altra opera di Pieter Aertsen, dove si verifica la stessa inversione: in primo piano osserviamo il banco di una macelleria, ingombro di vari tagli di carne e caratterizzato da una certa indulgenza al dettaglio macabro e raccapricciante.


Pieter Aestsen, Banco di macelleria con Fuga in Egitto, 1551, Universitatgemalde Sammlung – Public Domain via Wikipedia Commons

La scena sacra, richiamata nella seconda parte del titolo del quadro, è stata spinta in secondo piano, dove vediamo raffigurata in miniatura una scena liberamente ispirata al Vangelo di Matteo e a tradizioni apocrife, secondo le quali, nel corso della Fuga in Egitto, Giuseppe e Maria col piccolo Gesù si soffermarono a distribuire ai poveri il poco cibo che possedevano.



La scena in primo piano, oltre al fatto che sembra fuoriuscire dal quadro e invadere lo spazio dello spettatore, si contrappone all’altra in ogni senso: ambientata al chiuso la prima, all’aperto l’altra; realizzata in colori vivi, con predominanza del rosso e del bianco l’una, sfumata in tinte dimesse l’altra; trionfo dell’abbondanza e dell’interesse da una parte, povertà e generosità dall’altra. Difficile escludere che la scena sullo sfondo sia una chiave interpretativa di quella in primo piano. In genere questa contrapposizione riveste una funzione di monito etico; e tuttavia la scena sacra non demonizza quella mondana, risultato di una vita operosa consacrata al lavoro, ma la legittima in quanto ne smussa gli aspetti egoistici, invitando alla generosità e ad evitare gli eccessi (come sembrano anche ricordarci le due aringhe quaresimali nel piatto sopra la testa del bue). L’opulenza frutto dell’onesto lavoro, sembra dirci il pittore, è cosa buona e giusta a patto che egoismo e avidità non prevalgano. È la nuova etica del lavoro e della ricchezza dei ceti borghesi emergenti.
La stessa composizione 'scena di mercato – fuga in Egitto' fu ripresa dagli allievi e imitatori di Aertsen. L’esempio più famoso è I quattro elementi: terra (1569) di Joachim Beuckelaer, nipote del maestro.
Questo quadro fa parte di una serie di quattro dipinti che hanno come tema i quattro elementi dell’universo, Terra, Acqua, Aria e Fuoco, che il pittore realizzò ad Anversa, probabilmente per un mecenate italiano.


 Joachim Beuckelaer, I quattro elementi. Terra, 1569, National Gallery, Londra – Public Domain via Wikipedia Commons

Qui in primo piano vediamo una “natura morta”, costituita dai prodotti della terra (sono state identificate sedici diverse varietà di frutta e verdura), disposti a cascata ricadente verso lo spettatore. Essa è anche una “scena di genere”, animata da due floride popolane nei loro costumi tipici, intente una a promuovere la propria mercanzia e l’altra a valutare i prodotti da acquistare e mettere nel proprio paniere. Sullo sfondo a sinistra, appena visibile, le minuscole figure della Sacra Famiglia attraversano un ponte di pietra in lontananza.



Frutta e verdura sono rese con grande realismo e vitalità; la messa a fuoco è sempre più accurata, verosimile e tendente all’illusione di realtà.
In questo video si possono vedere tutti e quattro i dipinti della serie, sullo sfondo dei quali è collocato in miniatura un episodio del Vangelo:



Un altro episodio biblico molto ricorrente in questo genere di composizioni è quello narrato dall’evangelista Luca a proposito della visita di Gesù nella casa di Marta e Maria di Betania, sorelle di Lazzaro. Maria rimane con Gesù ad ascoltare la sua parola, mentre Marta si reca in cucina per preparare da mangiare per l’ospite. Quest’ultima, tuttavia, si lamenta con Gesù apostrofandolo bruscamente: “Signore, non t’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille che venga ad aiutarmi!”, al che il suo ospite risponde: “Marta, Marta, per molte cose ti dai da fare e ti agiti, ma una sola importa. Maria ha scelto la parte buona, quella che non le sarà tolta”.
I primi padri della Chiesa interpretarono questo passaggio come l’affermazione della superiorità della vita contemplativa sulla vita attiva, del nutrimento dell’anima su quello del corpo.
Ora osserviamo questo dipinto di Aertsen del 1552.

Pieter Aertsen, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1552, Kunsthistorisches Museum, Vienna – Public Domain via Wikipedia Commons

In primo piano domina una natura morta vera e propria (priva di ogni figura umana) caratterizzata da un’abbondanza di oggetti, tra i quali spicca un gran pezzo di carne. Essa è resa con colori forti, con un’attenta differenziazione delle superfici e sempre con grande realismo. A sinistra, sullo sfondo, ecco raffigurato l’episodio evangelico della visita di Cristo nella casa di Marta e Maria. Nel quadro possiamo quindi individuare due piani spaziali contigui ma separati, perché appartenenti a due diverse dimensioni temporali: lo spazio occupato dalla scena biblica e lo spazio in primo piano della natura morta, che a sua volta, attraverso il tavolo, irrompe in un terzo spazio, quello dello spettatore. Ciò che mette in relazione le due opposte realtà spaziali e temporali, quella del sacro e quella del profano, è l’allegoria: il primo piano si sviluppa come ricamo simbolico di ciò che avviene sullo sfondo (il grande pezzo di carne di agnello è un rimando allusivo al Cristo, il garofano, in latino detto carnatio, è simbolo dell’incarnazione di Gesù. Il fiore è conficcato in un pezzo di lievito, il lievito non è ancora pane ed è in uno stato di “transustanziazione”, con chiaro rimando al mistero eucaristico).
Il primo piano del dipinto, sviluppandosi come piano simbolico, compie un ruolo di transizione tra la realtà e la scena divina; esso, avvalendosi della rappresentazione allegorica del cibo, conduce lo sguardo dello spettatore dallo spazio reale-mondano allo spazio sacro della parola di Cristo.

Pieter Aertsen, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1553, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam – Public Domain via Wikipedia Commons

La grande rivoluzione compiuta da Aertsen sta nell’includere nel campo visivo del quadro la parte che normalmente ne veniva esclusa, creando così un nuovo elemento pittorico di grande interesse, che sarà importante fonte di spunto per i pittori successivi. Qui la manieristische Umkehrung, la prospettiva inversa della pittura olandese e fiamminga, rappresenta anche un’inversione interpretativa rispetto a quella data all’episodio dalla tradizione patristica: “Alla vita attiva rappresentata dal personaggio di Marta viene restituita, insieme al primo piano nella raffigurazione, una dignità consona con l’incipiente modernità – e con l’etica protestante, che se ne condividessero o meno i principi riformistici religiosi. Resta in piedi, anzi si amplifica fino a dilatarsi in una barocca ridondanza fine a se stessa, l’allegoria della cucina, del cibo e del nutrimento. Se la scena di mercato può inoltre rimandare a una rinascita della produzione e del commercio, la scena di cucina è accostabile a un processo di lavorazione e di trasformazione di materie prime, che in qualche modo evochi quello manifatturiero anticipatore dello sviluppo industriale. Senza contare una simbologia arcaica, quella del laboratorio o della fucina alchemica.” (Pino Blasone, Il sacro sullo sfondo)
La vera novità di questi dipinti, scrive Victor Stoichita, consiste nell’aver inglobato nel campo visivo dell’opera il “fuor d’opera”, cioè una porzione dello spazio dell’osservatore, cioè quello che (di norma) restava al di qua dell’immagine. Se è vero che fosse comune appendere questo genere di dipinti nelle cucine, ne consegue che la continuità spaziale del mondo reale (quello della fruizione del dipinto) e il primo piano dell’opera ha in sé un significato preciso. Grazie al proprio carattere illusionistico, la rappresentazione doveva rendere l’immagine e la parola di Dio virtualmente presenti nello spazio per il quale era stata dipinta.
Con qualche variante, Aertsen dipinse il tema della cucina associato alla visita di Gesù nella casa di Marta e Maria almeno tre volte e senza dubbio fu quello il soggetto che incontrò maggiore fortuna presso i suoi seguaci, in particolare il nipote Joachim Beuckelaer. Sono numerosi i suoi dipinti che ripropongono questo tipo di composizione, uno dei quali fa parte della stessa serie de I quattro elementi, di cui abbiamo già parlato in precedenza.

Joachim Beuckelaer – I quattro elementi. Fuoco, 1570, National Gallery, Londra – Public Domain via Wikipedia Commons

Le raffigurazioni di Beuckelaer mostrano una maggiore profusione di prodotti ed oggetti, sempre resi con molto realismo e colori vivaci. La scena sacra è confinata sempre più sul fondo, incorniciata da un’apertura. L’attenzione dell’artista si sofferma sulla descrizione minuziosa della selvaggina e degli altri alimenti e utensili presenti nella cucina e sui tratti scopertamente popolareschi dei personaggi femminili. Natura morta e scena di genere, che occupano tutto il primo piano, sono resi in maniera monumentale e scenografica.

Joachim Beuckalaer, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1565, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles – Public Domain via Wikipedia Commons

In questi dipinti, l’invadenza visiva dei dettagli tratti dalla vita quotidiana è tale per cui ciò che generalmente in termini iconografici è sempre stato considerato accessorio o marginale, in queste nuove forme di rappresentazione occupa il primo piano dell’immagine, divenendone in apparenza il soggetto. Questa nuova formula visiva trova una certa diffusione anche in area italiana (si pensi a Bartolomeo Passerotti, ai fratelli Campi o ai Carracci), dimostrando dunque l’esistenza di una certa circolazione artistica di queste forme di rappresentazione e un’altrettanta disponibilità dei committenti nel ricercarle e promuoverle.

Vincenzo Campi, Cristo nella casa di Maria e Marta, 1580 ca, Galleria Estense di Modena – Public Domain via Wikipedia Commons

Si tenga tuttavia presente che queste scene paesane e contadine o gli ampli cataloghi di alimenti e utensili, dipinti meticolosamente dal vivo e con accurato realismo, non si propongono il fine di documentare gli usi dell’epoca né, tanto meno, riproducono l’immagine di un genuino mercato rurale o urbano o cucina del Cinquecento. Mercati e cucine si qualificano piuttosto come luoghi fittizi ispirati a quelli reali, allo scopo di produrre un testo visivo di natura simbolica.

Joachim Beuckelaer, La cucina ben fornita, con Gesù a casa di Marta e Maria sullo sfondo – Public Domain via Wikipedia Commons

Queste “inversioni” di prospettiva, che collocano la scena sacra sullo sfondo, sono state interpretate in modo contraddittorio: a volte come una fase nel processo di progressiva autonomizzazione della scena di genere e della natura morta, che ancora hanno bisogno per giustificarsi della presenza di un tema religioso, il quale finirà per essere nulla più di un pretesto allo straripante realismo degli oggetti e degli avvenimenti quotidiani. Altre volte, invece, è stata vista come un modo per enfatizzare e meglio esprimere il senso spirituale e il richiamo morale di questi dipinti, esibendo, per contrasto, una realtà contingente ed effimera, come quella del cibo.

Joachim Beuckalaer, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1568, Museo del Prado – Public Domain via Wikipedia Commons

Nel caso della visita del Cristo nella casa di Marta e Maria, in particolare, la monumentale natura morta in primo piano di queste opere costituisce essenzialmente un messaggio moralizzatore: il cibo materiale non può alimentare lo spirito; solo la parola di Cristo nutre l’anima e la vivifica. La carne si oppone al Verbo. La grandezza della rappresentazione del profano permette dunque, paradossalmente, di contrastare e rinforzare l’importanza del messaggio religioso, ingenerando una “inversione” dell’attenzione primaria, portando l’osservatore a riflettere sul fatto che l’essenziale non è dove i nostri occhi credono di vederlo. Opposti alla virtù incarnata dai personaggi biblici nello sfondo, gli oggetti e le figure in primo piano vengono così trasformati in allegorie del vizio, cioè “vanità”. I veri e propri trompe-l’œil che sono questi quadri di grandi dimensioni, dunque, non sono da valutare per le sole qualità illusionistiche, ma acquistano senso come portatori di un simbolismo religioso che trasforma le apparenze in lezioni edificanti a proposito degli appetiti carnali e dell’avidità umana.

Joachim Beuckelaer, Cucina con Gesù nella casa di Marta e Maria sullo sfondo, 1569, Rijksmuseum, Amsterdam – Public Domain via Wikipedia Commons

Ma è chiaro che la retrocessione della scena biblica dietro le quinte dello spettacolo allontana questo messaggio spirituale a favore dell’esibizione della realtà profana, il cui realismo riempie letteralmente la vista: il trompe-l’oeil del primo piano è proiettato verso l’esterno ed è costruito per dare l’illusione di una comunicazione tra lo spazio immaginario del dipinto e lo spazio reale in cui quella scena era originariamente collocata e quello in cui staziona lo stesso spettatore.

Joachim Anthonisz Wtewael, A Kitchenmaid, in the background Jesus in the house of Mary and Martha – Public Domain via Wikipedia Commons

L’interpretazione di tali immagini sembra dunque oscillare tra realismo e simbolismo, un dibattito che probabilmente risale a un articolo del 1934 di Erwin Panofsky dedicato al famoso quadro dei Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck. In quella analisi Panofsky utilizzò per la prima volta l’espressione “disguised symbolism“, cioè “simbolismo nascosto”, un concetto che risolveva l’apparente contraddizione tra, da un lato, un’arte sempre più orientata verso un accurato realismo e, dall’altro, la sopravvivenza del pensiero simbolico ereditato dal Medioevo.

Jacopo Bassano, Christ in the House of Mary, Martha and Lazarus, 1577, Museum of Fine Arts, Houston – Public Domain via Wikipedia Commons

Georg Friedrich Stettner († 1639), Cristo nella casa di Marta e Maria – Public Domain via Wikipedia Commons

 Pieter de Bloot, Christ in the House of Martha and Mary, 1637 – Flickr

Erasmus Quellinus II, Jan Fyt – Cristo nella casa di Marta e Maria, 1650-75, Palais des Beaux-Arts de Lille – Public Domain via Wikipedia Commons

Joos Goemaere, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1600 ca., Bibliothèque et musée de la Gourmandise, Belgium – Public Domain via Wikipedia Commons

 Michel de Bouillon, Interno di cucina con Gesù a casa di Marta e Maria – Public Domain via Wikipedia Commons

Pieter Aertsen realizza composizioni con scene di cucina o di mercato ispirate ad altri episodi evangelici.
Uno di questi, che avrà ampio successo presso i suoi seguaci, è quello della cena in Emmaus. Un altro momento della vita di Gesù, che diventa scena sacra sullo sfondo, è quello dell’incontro con l’adultera. Nel 1557 e nel 1559 Aertsen dipinge due quadri su questo soggetto.

Pieter Aertsen, Scena di mercato con Cristo e l’adultera, Nationalmuseum, Stoccolma – Public Domain via Wikipedia Commons

In tali opere e analoghe, la scena di vita quotidiana in evidenza è di mercato. La nota dominante sembra essere quella di una generale indifferenza dei personaggi in primo piano verso quanto di drammatico o edificante accade sullo sfondo, mentre la contemporaneità della scena popolare è ricercata e ostentata, in ogni dettaglio. Pino Blasone scrive che “quella del mercato in quanto immagine del mondo è deliberata rappresentazione critica della modernità, o di un ricorrente atteggiamento mondano nei confronti del sacro, il quale può essere non solo dissacrante ma anche ben poco umano”.

Pieter Aertsen, Cristo e l’adultera, 1559, Museo Städel, Francoforte – Public Domain via Wikipedia Commons

La critica di tradizione classica definisce “minore” quella pittura che non ha, come soggetto principale, la figura umana, il suo ruolo nella storia o nel sacro. Si parla, in questo caso, di pittura di “genere”, il cui soggetto non appartiene alla dimensione universale e atemporale della mitologia o del sacro o non fa riferimento a un episodio del passato di significativa rilevanza, ma appartiene alla sfera dell’immanente, nella sua più anonima quotidianità. La storia ha per oggetto quanto è accaduto una volta in un determinato luogo; il genere, quanto accade sotto i nostri occhi ogni giorno. La teoria classicista considera inferiore la pittura di genere non tanto perché tratta scene di vita quotidiana, quanto perché questa realtà viene trasferita sulla tela in chiave esclusivamente naturalistica, senza idealizzazioni, rifiutando cioè la funzione educativa e morale dell’arte. I dipinti di Aertsen e Beuckelaer si collocano in una fase di passaggio, che va dall’arte sacra con fini edificanti a un’arte che nasce da una nuova sensibilità laica nei confronti della realtà naturale e quotidiana e dall’esigenza di esaltare i valori del procedimento di imitazione. La natura morta, in particolare, concentrandosi sulle proprietà degli oggetti, avrà l’obiettivo di suscitare nell’osservatore l’emozione estetica attraverso l’ammirazione per la verosimiglianza e l’illusione della realtà.

Joachim Beuckelaer, Kitchen Scene with Meeting on the road to Emmaus, 1560-65, L’Aia – Public Domain via Wikipedia Commons

Se l’arte rinascimentale, soprattutto quella neoplatonica, era fondata su una visione unitaria dell’universo, per cui l’autore coglieva l’ordine razionale e l’armonia di ogni cosa, a partire dalla metà del Cinquecento si assiste a una frattura di quell’unità: gli oggetti, artificiali o naturali, non costituiscono più la mera cornice simbolica delle scene storiche o religiose, ma acquistano vita propria e in questi dipinti di Aertsen e Beuckelaer si pongono in un rapporto di antitesi con la scena sacra. La realtà comincia ad apparire come un insieme di frammenti privi di unità: da una parte c’è il mondo fisico percepito dai sensi e dall’altra il significato universale determinato dalla fede. La scena sacra, sullo sfondo di questi dipinti, costituisce l’apertura di una finestra atemporale, ideale, universale, in opposizione con la straripante, ma mutevole ed effimera, mondanità in primo piano. È un’arte che si aggrappa ancora a quello spiraglio per non cedere al mero transeunte, ma che ben presto si renderà completamente autonoma da ogni riferimento sacro, perché, nonostante il giudizio negativo dei classicisti, la pittura di genere avrà un grande consenso di pubblico: committenti e collezionisti di ogni classe sociale, ma in particolare di quel ceto borghese che sulla produzione e sul commercio di oggetti e viveri sta costruendo la propria ricchezza e la propria egemonia sociale e culturale.

Floris van Schooten, Natura morta con frutta e verdura, e Cristo a Emmaus sullo sfondo, ca. 1630 – Public Domain via Wikipedia Commons

Questi dipinti della seconda metà del Cinquecento e dei primi anni del Seicento testimoniano le profonde trasformazioni della sensibilità e della mentalità dell’uomo tra XVI e XVII secolo. Mostrano in particolare l’inizio di un processo che si compirà con la pittura barocca: il venir meno dell’unità e del centralismo antropologico rinascimentale, il determinarsi di una frattura profonda tra sacro e profano, spirito e materia, religiosità e laicità. In fondo, la “prospettiva inversa” si sforza proprio di illustrare questo rapporto, che agli inizi dell’età moderna è ormai divenuto problematico e contraddittorio. In queste composizioni, questi poli vengono messi in opposizione, ma il tema religioso è così discreto ed emarginato che, pur volendogli attribuire una funzione simbolica e moralizzatrice di denuncia della vanità e avidità umana e della precarietà dei beni terrestri, l’impressione è che esso sia poco più di un pretesto per legittimare il gusto, ormai dominante, per la mondanità, per la ricerca dell’illusione ottica, della ricchezza compositiva sfociante nell’eccesso, dell’effetto scenografico. Un’arte che rinuncia a ricercare l’essere eterno e universale per confinarsi nel ruolo di attività che ha a che fare non più con il vero, ma con le apparenze e con il transitorio, che ha l’obiettivo di suscitare nell’osservatore l’emozione estetica e il sentimento, non l’ammirazione della ragione.

Questo raddoppiamento dell’immagine, che è l’inserimento della scena religiosa in un contesto narrativo diverso e in un piano prospettico invertito, caratterizza anche alcune opere giovanili del pittore spagnolo Diego Velázquez, il quale, tra il 1618 e il 1620 esegue due dipinti ispirati a due episodi evangelici già trattati da Aertsen e seguaci: la visita di Cristo nella casa di Marta e Maria e la Cena in Emmaus. Proprio in quel periodo Velázquez sta sperimentando le potenzialità dei bodegones, una forma di natura morta ispirata alle scene di taverna (bodegón) o di cucina. Il pittore spagnolo riprende apparentemente l’idea fondamentale di Aertsen, rapportandovi però varianti significative.

Diego Velázquez, Cristo nella casa di Marta e Maria, 1618, National Gallery, London – Public Domain via Wikipedia Commons

Nel Cristo nella casa di Marta e Maria Velázquez rappresenta  l’interno di una cucina, con due donne a mezzo busto a sinistra, mentre sulla destra vediamo un tavolo con una “natura morta” semplice e austera: 4 pesci, 2 uova, dell’aglio, un peperone, un orcio, forse gli ingredienti di un Aioli (una maionese all’aglio ideale per accompagnare piatti di pesce). Estremamente realistico, il dipinto mostra una grande attenzione per i dettagli. Una giovane donna è intenta a pestare qualcosa in un mortaio, mentre l’altra, una donna anziana dalla fronte aggrottata, sembra che la stia rimproverando. In secondo piano, a destra si svolge la scena divenuta ormai tradizionale grazie ad Aertsen: il Cristo nella casa di Marta e Maria. I gesti di queste figure sono codificati secondo la tradizione iconografica della pittura occidentale: Maria è seduta, come in Aertsen, ai piedi del Signore, in posa contemplativa. Nel quadro di Velásquez non figurano iscrizioni. Per afferrare il senso di quest’immagine lo spettatore deve quindi basarsi esclusivamente sui dati visivi. Il gesto della donna anziana in primo piano ci introduce nell’immagine, il movimento dell’indice traccia una diagonale invisibile che regge la struttura del quadro e guida lo sguardo dell’osservatore. La seconda figura viene a rinforzare il dialogo: la giovane donna ci guarda, con espressione corrucciata.
Se in Aertsen la continuità tra spazio figurativo e spazio reale era affidata al trompe l’oeil, in Velásquez il dialogo è il gesto e lo sguardo. Sono “mezze figure” a grandezza naturale, genere riattualizzato dal Caravaggio intorno al 1600, senza però essere accettato dall’accademia. La pittura a mezza figura era considerata inferiore e volgare, si contrapponeva alla pittura di storia, che presentava i personaggi organizzandoli secondo le regole della “disposizione” classica. In Aertsen e Beuckelaer gli oggetti, abbondanti fino all’eccesso, quasi andavano a sovrapporsi all’apertura prospettica che figurava da cornice all’immagine sullo sfondo; in Velásquez, invece, il taglio è netto ed evidente, senza contiguità prospettica, tanto che molti studiosi si chiedono se si tratti ancora di una vera e propria “apertura” nel muro o se non si abbia a che fare piuttosto con una pittura appesa alla parete.
Di quest’opera gli storici continuano a dare interpretazioni alquanto contrastanti, che nascono soprattutto da una domanda: chi è Marta? È la donna col pestello in primo piano (in questo caso entrambe le scene sono contemporanee e illustrano un unico episodio), o la donna dietro Maria e di fronte a Gesù? Connesso a quest’interrogativo, il dibattito si sviluppa ancora sulla natura della scena biblica che vediamo sullo sfondo: è una scena che si svolge contemporaneamente e in uno spazio attiguo a quello in primo piano (come nelle pitture fiamminghe), è il riflesso di uno specchio (come in Las Meninas) o un dipinto appeso alla parete della cucina? Qualunque sia la verità, che probabilmente riguarda l’illustrazione dell’antitesi (o del legame) tra vita contemplativa e vita attiva, di sicuro possiamo apprezzare l’opera come un primo esempio dell’interesse del pittore spagnolo per il “quadro nel quadro”, il quale caratterizzerà altri suoi dipinti come la La serva di cucina, con la Cena in Emmaus (1618), Le filatrici (1657) e il suo capolavoro Las Meninas (1656).
Con quest’ultimo grande dipinto, il quadro ispirato alla visita di Gesù nella casa di Marta e Maria ha in comune anche una certa dialettica degli sguardi che si crea tra personaggi e spettatore. Se, infatti, la scena biblica isolata dalla cornice della finestra/quadro costituisce un’alterità autosufficiente, non è invece così per la scena in primo piano che, attraverso gli occhi della giovane donna, guarda verso di noi. L’osservatore risulta essere simultaneamente “colui che guarda” e “colui che è guardato”. Sta a lui operare la relazione intertestuale, attivarne il gioco.
L’altra opera giovanile di Velásquez in cui compare una scena di cucina con episodio sacro sullo sfondo è La serva di cucina, con la Cena in Emmaus (conosciuta anche come La mulatta) ed è conservata alla National Gallery di Dublino (ne esiste un’altra versione, conservata a Chicago, ma priva della finestra con l’episodio evangelico).

Diego Velázquez , La serva di cucina con la Cena di Emmaus o La mulatta, ca. – Public Domain via Wikipedia Commons

L’immagine mostra una ragazza con la carnagione scura e una cuffietta bianca, ancora una figura a mezzo busto dietro un tavolo da cucina. Con la mano sinistra regge una brocca in ceramica smaltata; la sua espressione è stanca e malinconica, i suoi occhi hanno un che di vacuo e lasciano intuire una dolente solitudine. Sulla superficie del tavolo sono posati altri utensili e recipienti, tra cui un piccolo mortaio, e un bulbo d’aglio. Sulla parete posteriore è appeso un cesto di vimini da cui fuoriesce il lembo di un panno bianco. Si noti il deciso realismo, di radice caravaggesca, reso attraverso la caratterizzazione psicologica, i volumi e la luce. Protagonisti sono i riflessi luminosi sulla casseruola di rame, sull’anfora di terracotta, sul panno che fuoriesce dalla sporta di vimini, sul pestello e il mortaio, sulle scodelle capovolte, sulla brocca decorata, sul viso e sulla cuffietta della ragazza; protagoniste sono le ombre che si proiettano sul muro e sul tavolo e che, insieme alla luce, danno vita alle cose e alle persone, al loro nudo “esserci” nella stanza buia.
Nel 1933 il quadro fu sottoposto a un’operazione di restauro, nel corso della quale venne fuori la presenza della finestra a sinistra. Attraverso di essa, vediamo la scena della cena in Emmaus, narrata dall’evangelista Luca, con la figura del Cristo benedicente. Si può notare anche un apostolo seduto e la mano di un altro apostolo, lasciato fuori dal taglio che la tela ha subito nella parte sinistra.
Anche quest’opera è oggetto di varie interpretazioni a proposito della natura dell’immagine sul fondo. Che legame c’è tra essa e il primo piano? Si tratta di un’apertura nel muro che collega la cucina con un altro ambiente, di uno specchio o di un quadro appeso alla parete? Rimangono enigmatici sia il tempo che lo spazio in cui si svolgono le due azioni, così come i loro significati. Anche in questi dipinti il sacro si intreccia con il profano, ma in Velásquez questa mescolanza acquista caratteri del tutto originali.
Innanzitutto la sobrietà e l’austerità della natura morta e della scena di genere in primo piano. Manca qui il gusto per l’abbondanza, fino all’eccesso, dei fiamminghi e degli olandesi. I due bodegones del pittore spagnolo non rivelano l’antitesi, che diveniva ammonimento morale, delle opere di Aertsen o di Beuckelaer. In quelle, l’immagine sul fondo costituiva l’apertura sull’atemporale e il trascendente, che si opponeva al contingente e all’immanente della scena in primo piano. In Velásquez questa antitesi è sfumata: l’impressione è che entrambe le scene si svolgano in un tempo presente, fenomenico, come se il pittore volesse mostrare un Cristo presente tra la gente comune, tra gli umili per i quali si apre uno spiraglio di salvezza. Il sacro si è reso immanente, calandosi nel tempo del profano.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

Pino Blasone, Il sacro sullo sfondo. Dall’arte sacra alla pittura di genere.
Corsato, B. Aikema (a cura di), Alle origini dei generi pittorici fra l’Italia e l’Europa, 1600 ca., Zel Edizioni, 2013.
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