Fede Galizia, Alzata con prugne, pere e una rosa", 1602 ca., replica, collezione privata. |
Contemporaneamente al paesaggio, la fine del XVI secolo vede la nascita di un altro genere pittorico, destinato ad avere grande successo nell’arte occidentale fino ai nostri giorni, la natura morta, entrambi caratterizzati dall’espulsione della figura umana dalla scena pittorica.
L’affermarsi della pittura di genere, dunque, nasce da una frattura all’interno di quell’unità rinascimentale incentrata sul centralismo antropologico che poneva l'uomo come principio ordinatore e misura di tutte le cose.
Difficile localizzare con precisione le origini del genere “natura morta”. Ciò che è certo è che nella seconda metà del XVI secolo molta pittura, soprattutto quella destinata a una committenza privata, comincia a emarginare il suo protagonista, cioè l’uomo. Ma c'è qualcosa di più rilevante da sottolineare, un qualcosa che è alle origini della pittura moderna. Come scrive Flavio Caroli, “fra gli oggetti e il cuore dell’uomo sembra instaurarsi, da questo momento, un rapporto del tutto preferenziale, come dimostra lo sviluppo della pittura a venire. Se il paesaggio può essere ancora segnato dalla idealità classica, l’oggetto, la «still-life», diventa un deposito silenzioso di spiritualità, quasi «l’altra faccia», o la «faccia delegata», dell’interiorità.”
E' come se gli oggetti inanimati, apparentemente muti e privi di vita, fossero investiti del compito di esprimere i tumulti o i moti leggeri dell'animo umano. Il pittore affida alle cose, che come ombre silenziose accompagnano l'esperienza del mondo, l'espressione dei suoi sentimenti, delle emozioni e degli impulsi che travagliano la sua sfera interiore. Se il Rinascimento, basato su una visione umanistica, affidava l'espressione dei sentimenti in via esclusiva alla fisiognomica e alle espressioni del volto, ora anche gli oggetti vengono responsabilizzati a tale compito: “Le cose cominciano a essere, con consapevolezza creativa, specchio fedele e mobile dei sussulti che agitano il cuore.”
Uno dei pittori alle origini del genere natura morta è certamente Fede Galizia (1578-1630), precoce artista milanese, figlia di un miniaturista, morta di peste a soli cinquantadue anni.
Il gusto per il dettaglio e l'inanimato caratteristico della tradizione lombarda del Cinquecento, l’attenzione di Caravaggio per la natura (è del 1599 la celebre “Fiscella”), l'influenza della maniera nordica, in particolare di Jan Brueghel dei Velluti (a Milano con il Cardinale Borromeo fra il 1595 e il 1596): sono questi i punti che costituiscono il quadro di riferimento in cui collocare la produzione di Fede Galizia e l'affermazione del genere natura morta in Lombardia.
Il suo dipinto scomparso "Alzata con prugne, pere e una rosa" (o una peonia), datato 1602, giuntoci grazie a una replica, conservata in una collezione privata italiana, può essere considerato uno dei primi autentici esempi di natura morta, e di questo genere sicuramente ne coglie le caratteristiche essenziali. La scena è alquanto sobria: l’alzata centrale, una mezza pera, delle prugne dal colore triste, una rosa sull’orlo del disfacimento, colta nel momento in cui la corolla è al massimo della sua apertura, un attimo prima che i petali comincino a cadere inesorabili.
L’immagine ferma il tempo sulla bellezza dispiegata, sul suo simbolo più comune, appena prima che sfiorisca. C’è il senso della vita che passa in questo quadro, della giovinezza e della bellezza che fuggono via. E tuttavia c’è anche la bellezza che resiste eterna agli attacchi del tempo, catturata e immortalata dai colori e dalla luce sulla tela.
Fede Galizia, Maiolica Basket of Fruit, 1610 ca. - Public Domain via Wikipedia Commons |
Con perizia scenografica, Galizia fa emergere gli oggetti dal buio alla luce, con una devozione assoluta alla rappresentazione realistica del visibile. Manca qui qualsiasi riferimento all'apparato letterario, retorico e mitologico della cultura rinascimentale, perché quest'arte è completamente votata all'indagine paziente e accurata sulla forma e sulla materia, sulla luce e sulle ombre, sull'incanto silenzioso di oggetti privi di vita che, nella loro desolazione, si fanno carico dell'interiorità dell'artista.
Conosciamo poco della vita di questa pittrice straordinaria, che sembra essere stata abbastanza spenta e priva di accadimenti eclatanti, e tuttavia la sua pittura, intima ed elegante nello stesso tempo, ne testimonia la segreta ricchezza interiore. Galizia preferì l'arte al matrimonio; pertanto rimase nubile e trascorse l'intera vita a Milano, dividendo la bottega col padre Nunzio. Oggi è ricordata particolarmente per le sue nature morte, ma l'interesse di Fede Galizia per questo genere, benché assai precoce, non fu più rilevante di quello per i generi tradizionali, dalla pittura sacra al ritratto borghese.
Fede Galizia, Still-Life, 1610 ca. - Public Domain via Wikipedia Commons |
Ancora non è stata fatta piena luce sulle effettive nature morte dipinte da Galizia. Il suo catalogo in questo senso è stato continuamente rivisto, a causa della scarsa verificabilità delle attribuzioni, aggravata dalla contiguità sorprendente delle nature morte riferite all'artista con quelle ascritte al contemporaneo e concittadino Panfilo Nuvolone. Si possono però notare alcuni tratti comuni che caratterizzano le composizioni di Fede Galizia, che hanno quasi un'impostazione seriale: l'essenzialità del taglio compositivo, la presenza di un piano d'appoggio con inquadratura ravvicinata e quasi sempre frontale, lo sfondo scuro, la ricorrenza di un'alzata metallica della medesima foggia, frutti e fiori trattati con un gusto geometrico della forma; un forte senso di rarefazione atmosferica e sospensione temporale. Secondo il giudizio del Longhi, la pittrice milanese crea nature morte "attente, ma come contristate", mentre Caroli afferma che “Fede è intima e desolata come i pomeriggi solitari di una donna milanese.”
Fede Galizia, Fruttiera con pesche e prugne, 1610 ca. - Public Domain via Wikipedia Commons |
Gli oggetti giacciono silenziosi sul loro piano d'appoggio, diventando presenze poetiche in grado di esprimere i sentimenti e i pensieri di coloro che li hanno concepiti e realizzati.
Fin da Leonardo, la pittura occidentale aveva intrapreso il cammino verso l'interiorità, immergendosi a scandagliare le profondità dell'animo umano, cercando, attraverso la rappresentazione di ciò che è visibile, di esprimere ciò che non si vede, ciò che si cela nel profondo dell'anima. Questo non riguarderà solo la fisiognomica e la riproduzione della figura umana, ma anche la natura morta e il paesaggio, che divengono specchio dei moti interiori. E Fede Galizia, con le sue austere ed eleganti alzate colme di frutta, è proprio all’origine della rappresentazione di quello che definiamo “oggetto - stato d’animo”, inaugurando la linea introspettiva dell’arte occidentale.
Come dicevamo, osservando le nature morte di Galizia, si nota una grande uniformità dell'impianto scenografico: punto di vista rigidamente frontale, individuazione più o meno accentuata di una porzione del bordo anteriore del piano d'appoggio, mancanza di profondità di quest'ultimo, limitazione visiva della scena agli oggetti inanimati presenti sul piano, assenza di fondale prospettico, centralità del contenitore, resa plastica di questo attenta al cambiamento dell'incidenza della luce, che determina gli effetti di opacità e riflesso, associazione dell'elemento naturale (fiori o frutta) con il manufatto umano. Una messa in scena che, pur variando di volta in volta, sviluppa una architettura omogenea, caratterizzata dalla figura dell'alzata colma di frutta, che troneggia nella totalità del campo, e da altre figure più o meno isolate posate direttamente sul piano d'appoggio. E' il trionfo della natura, che mostra la sua bellezza e contemporaneamente i segni della sua deperibilità; è la poesia dell'effimero reso immortale dalla pittura.
Fede Galizia, Cherries in a silver compote with crabapples, no date found - Public Domain via Wikipedia Commons |
Nelle nature morte di Fede Galizia è frequente il sistema della replica, totale o di singoli elementi di un quadro, che passano identici in altre composizioni, a segnalare la presenza di un gusto collezionistico nell'ambiente lombardo, o forse dell'Italia settentrionale, probabilmente una committenza relativamente ristretta, comunque in continuo contatto, in gara per piccoli quadri da cavalletto: le dimensioni ridotte, la silenziosa raffinatezza del soggetto e la stessa qualità della pittura, capace di suscitare, nella illusione ottica della rappresentazione bidimensionale, la varietà del naturale e dell'artefatto, dovevano costituire i caratteri più accattivanti e ricercati.
E' ragionevole affermare che l'attenzione, più che all'importanza del soggetto, mirasse soprattutto all'indagine sul modo di riprodurre, nella finzione della pittura, la stessa varietà che caratterizza la percezione, cioè la capacità umana di fare esperienza del mondo, o meglio della sua apparenza nella contingenza dell'istante.
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