sabato 4 maggio 2019

Edvard Munch. Corpi affetti dal male di vivere.



La rappresentazione della figura umana è uno dei temi preferiti dagli artisti appartenenti alle diverse correnti dell’Espressionismo in quanto le forme del corpo, le espressioni del volto e i gesti si prestano a comunicare con immediatezza lo stato interiore dell’artista.
Il corpo diviene il luogo di rappresentazione dei sentimenti, delle emozioni, dell’angoscia e dei tormenti esistenziali, ma non si tratta più di un corpo che rispetta quei canoni estetici che ne avevano a lungo dettato i criteri di rappresentazione. Il corpo degli espressionisti è un corpo che subisce una radicale deformazione, come il personaggio del celebre “Grido” di Edvard Munch, pittore che alcuni critici considerano un espressionista a tutti gli effetti.
Emblema di tutto il Novecento, Il grido (opera nota in lingua italiana anche come L'urlo) trasforma un’esperienza personale nella percezione di un sentimento universale: la visione di un tramonto si trasfigura in incubo cosmico, in sintesi visiva del disagio esistenziale comune. L’uomo in primo piano esprime, nella solitudine della sua individualità, il dramma collettivo dell’umanità intera.


E. Munch, Il grido (1893), Disperazione (1894), Angoscia (1894)

In un paesaggio allucinato, una figura attraversa un ponte ripreso in diagonale, senza inizio né fine, che si affaccia su un fiordo. La deformazione del corpo umano, come del paesaggio, ha raggiunto qui un limite fino ad allora sconosciuto alla pittura. L'essere che vediamo frontalmente in primo piano, infatti, ha poco di umano: la sua sagoma è flessuosa e molle come quella di uno spettro, priva di scheletro e di consistenza, realizzata con le stesse pennellate filamentose che compongono il resto della scena. Al posto della testa vi è un enorme cranio, che ricorda una maschera o un teschio, deformato in un urlo insostenibile, così forte da trasfigurare tutta la natura. Le narici sono mostruosamente ridotte a due fori, un occhio sbarrato è fisso mentre l'altro sembra sbirciare ansioso dietro di sé, la bocca, centro compositivo del quadro, è spalancata in uno spasmo innaturale. In lontananza, come indifferenti al dramma che si svolge in primo piano, due figure nere e sottili sembrano continuare imperturbabili la propria passeggiata. L'uomo urla tenendosi le mani strette sulle orecchie come per attutire il suono del grido, che si propaga in terrificanti onde sonore che investono il cielo, la terra e il mare, dando loro l'aspetto di pieghe convulse e vorticose, dando la sensazione di una rapida diffusione del terrore dal soggetto alla natura circostante che diventa un tutt’uno con l’uomo. E' come se l'urlo riuscisse a espandersi nell'aria e nell'acqua, creando un'onda d'urto dagli effetti sconvolgenti, un gorgo spaventoso che risucchia il mondo. Un suono che ha il potere di deformare la natura, ma che implode muto e impotente, restando sordo e inavvertibile dagli altri, i quali rimangono impassibili, chiusi nell'involucro delle proprie impermeabili individualità.
Il senso di disagio è accentuato dalle differenze di trattamento tra la parte destro-superiore e quella sinistra del dipinto. La prima è realizzata con impasti cromatici crudi e violenti, quasi magmatici, e con segni dall'andamento curvilineo e vorticoso. Le linee del paesaggio si ripetono con lo stesso andamento nella figura in primo piano, come se quest'ultima facesse parte del dramma cosmico della natura. La parte sinistra è invece realizzata con colori meno violenti e con linee rette. Anche le due sagome lontane sono longilinee, ben diverse dalla figura serpentiforme in primo piano: esse appartengono alla dimensione concreta, rettilinea, della realtà, quella estranea e indifferente alla tragedia del mondo.
L'uso dei colori è ossessivo e irreale; fra tonalità chiare e scure non c'è armonia, ma violenta contrapposizione, in grado di caricare la scena di una forte tensione. I toni caldi come il rosso, l'arancio ed il giallo sono qui contrapposti a quelli freddi come il verde e il blu. Linee, forme e colori non mirano a riprodurre le sembianze del mondo; ogni fine naturalistico è bandito a favore del solo effetto espressivo.

La madre morta, 1899-1900, Kunsthalle Bremen, Bremen, Germany

E. Munch, La bambina malata, 1885.

Edvard Munch, La mort dans la chambre du malade, 1893

La figura che urla tappandosi le orecchie ritornerà in altri dipinti e stampe di Munch, come “La madre morta e la bambina” (1897-99), ispirato anche questo alla biografia dell'artista, la cui vita venne sconvolta da numerosi lutti e tragedie, la prima delle quali fu la morte della madre quando il piccolo Edvard aveva solo cinque anni. Anche in questa tela un dolore incomunicabile, anche qui l'incapacità di sostenere l'intensità del proprio stesso grido che risuona da dentro. Forse questo gesto espressivo delle mani che comprimono le orecchie, che isola ancor di più il soggetto in se stesso, fu ispirato al pittore dall'aspetto di una mummia peruviana esposta nel 1889 al Musée de l'Homme a Parigi.
La concezione dello spazio nelle opere di Munch fa di questo un luogo insieme fisico e psicologico: egli associa i personaggi allo spazio che li contiene, facendone la cassa di risonanza delle loro angosce e dei loro conflitti interiori. E, nonostante la rappresentazione sia semplificata, frontale, piatta e bidimensionale, tuttavia riesce a raggiungere vertici inusitati di espressività. Munch adopera lo stesso sfondo per declinare il tema della “Paura di vivere”, che forma una delle sezioni del “Fregio della vita”, serie di opere in cui il pittore esplora il destino dell'uomo (l’amore, la paura, la morte, la malinconia, l’ansia).

E. Munch, Sera nel corso Karl Johann

Il fiordo, il cielo insanguinato e vorticoso e il ponte fanno infatti da scenografia anche a “Disperazione” del 1892 (quasi una sorta di preludio narrativo a “Il grido", dove al posto del cranio calvo troviamo un uomo in carne e ossa, gravato dal peso di una natura che gli preme addosso con tutta la sua inclemenza), a Disperazione del 1894, e ad “Angoscia”, sempre del 1894, che unisce lo stesso tumulto convulso della natura con un gruppo di inquietanti personaggi, che hanno l’aspetto di morti viventi, molto simili a quelli già rappresentati in “Sera nel corso Karl Johann”.
In quest’ultimo dipinto il tema dell’angoscia torna a essere un problema collettivo, anche se vissuto da ognuno nella solitudine della propria individualità. I passanti in abiti borghesi, che attraversano il ponte, uomini e donne, hanno volti pallidi e scheletrici, simili a spettri o automi, dall'espressione vacua, involucri chiusi nella propria irrimediabile incomunicabilità.
Le figure di Munch sembrano stare su una linea di confine tra la vita e la morte, mostrando l’aspetto di esseri viventi ma privi di vita: corpi piatti e appena abbozzati; magrezza e pallore della pelle; facce che assomigliano a teschi o a spettri. Alcune sue opere sono dedicate alla malattia e all’adolescenza, descritta come una condizione morbosa e inquietante, permeata da sentimenti di angoscia, un accostamento che forse gli proveniva dalla sua esperienza di ragazzo, quando assistette alla morte per tubercolosi della giovane e amatissima sorella Sophie a soli quindici anni.

E. Munch, La pubertà (1894-95)

Ne “La pubertà” Munch e rappresenta il passaggio delicatissimo e difficile dall’età infantile a quella adulta e alla maturità sessuale.
La composizione è quanto di più essenziale: raffigura un’adolescente, completamente indifesa nella propria nudità virginale, seduta su un letto coperto da bianche lenzuola, in un ambiente anch’esso spoglio e disadorno, immerso in una penombra che accentua il senso di claustrofobia dato dalla verticalità della visuale. Altra protagonista della composizione è la grande ombra che la figura della ragazza proietta sulla parete alle proprie spalle.
L’immagine non rivela alcun accenno di compiacimento sensuale, ma solo un senso di inquietudine. Il corpo della fanciulla presenta le contraddizioni tipiche dell’età: se i fianchi sembrano già quelli di una donna, le spalle infantili e i seni appena abbozzati rivelano un corpo ancora acerbo.
Lo sguardo è fisso, quasi attonito, e le braccia incrociate coprono pudicamente il grembo. L’inquadratura ravvicinata, a figura intera, sembra sorprendere la ragazza nella propria intimità e nel proprio turbamento.

E. Munch, Edvard Munch, Lits, par la fièvre lit de mort, 1915; Edvard Munch, Au chevet du mort (1895)

L'ombra ingigantita, proiettata da un’illuminazione che viene da sinistra, dà l’impressione di nascere dal corpo stesso della fanciulla. Il suo colore scuro e corposo contrasta con la pelle chiara del corpo. Più che un’ombra, sembra un fantasma che incombe alle spalle, come un destino incerto ed oscuro. È un vortice nero e informe che emana dai fianchi della ragazza e si gonfia, e si blocca nell'aria accanto a lei come una presenza ectoplasmatica. Non è il corpo della fanciulla che si proietta sul muro retrostante, ma il suo convulso stato interiore, il raggrumarsi di paure ed emozioni contrastanti, la manifestazione di una minaccia che viene da dentro, dal caos interiore di un corpo in subbuglio.
Può anche dare l'impressione di essere un doppio visto di spalle, di cui vediamo la lunga e folta chioma, la materializzazione di un lato oscuro, del conflitto lacerante che è proprio delle fasi di passaggio.
Numerose sono le opere in cui è raffigurato il capezzale di un morente. La rappresentazione non ci mostra più dei corpi da guardare o per cui provare compassione, ma ci porta all’origine del male. La pittura si fa sofferenza e disfacimento.

Edvard Munch, Bacio alla finestra, 1892

Il mondo di Munch trabocca di temi che riguardano la vita umana: malattia e morte, paura e distruzione, odio e desiderio. Munch ha dedicato molte opere al rapporto uomo-donna. Le sue molteplici scene di bacio ci colpiscono per la mancanza di tenerezza e di gioia e per la cupezza della rappresentazione. I corpi senza volto, avvinghiati tanto da essere indistinguibili l'uno dall'altro, sembrano lottare più che scambiarsi affetto. L'abbraccio è sì sensuale, ma anche ambiguo e carico di tensione. Più che uno scambio di amore, vediamo qui una volontà da parte di entrambi i membri della coppia di sopraffare l'altro, di annullarlo assimilandolo a sé. Non due identità che si incontrano e si amano, ma un miscuglio informe di corpi che cercano di fagocitarsi e di annullarsi a vicenda e nel contempo di celarsi allo sguardo del mondo, al quale sottraggono la vista della loro relazione illecita e peccaminosa.
Numerose sono anche le versioni dell’opera “Gelosia” che mostra figure deformate da passioni violente e incontrollabili, che devastano il corpo e la mente.

Edvard Munch, Gelosia, 1895 - 1907 - 1913.

Nella pittura di Munch troviamo anticipati tutti i grandi temi dell'espressionismo: dall'angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana all'incombere della morte, dalla incertezza del futuro al meccanismo disumanizzante tipico della società borghese. Egli vuole rappresentare stati d'animo e sentimenti, non la realtà sensibile, e anche i suoi personaggi non sono altro che involucri di passioni e angosce.
Ci troviamo nel momento cruciale del passaggio di secolo: le certezze dell’età ottocentesca entrano in crisi di fronte alle prepotenti istanze del nuovo uomo contemporaneo. La modernizzazione afferma con enfasi l'autonomia individuale, ma il costo di questa conquista è anche una nuova condizione del soggetto fatta di solitudine, incertezza, perdita di controllo su ciò che lo circonda e anche sulla propria vita interiore. Ecco che l'ansia, malattia dell'uomo contemporaneo, diventa il tema della letteratura e dell'arte. Come i letterati della sua generazione, Strindberg, Ibsen, Kafka, e come il pittore Van Gogh, anche Munch fa dell'interiorità la vera protagonista della sua arte, che trasforma la realtà esterna in simbolo del dramma dell'anima. “E nei suoi quadri non farà altro che 'scrivere' e 'riscrivere' la sua vita: un'autobiografia dell'anima per immagini, o meglio un'anatomia delle catastrofi dell'Io, imprudente nell'intensità, provocante nei mezzi. Chi guarda sbatte contro quell'ansia e vi riconosce la propria: non vi è dubbio che, tra i pittori, Edvard Munch è colui che, più di ogni altro, ha saputo dare volto alla psiche moderna”. (E. Di Stefano, Munch)

Edvard-Munch, La danza della vita, 1899-1900,  National Gallery, Oslo.

Sphinx o Le tre età della donna (1894 - Bergen, Rasmus Meyer Collection) di Edvard Munch

Edvard Munch - Separation

Munch, Ceneri, 1894, National Gallery, Oslo.

Edvard Munch, Modella con sedia di vimini, 1919-21, Oslo, Munch-museet.
Edvard Munch, Weeping woman, 1907


Edvard Munch, Weeping Nude


Self-Portrait on the operating table
 

Il Monte Calvario, noto anche come Golgota, 1900

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