lunedì 20 maggio 2019

Verso la dissoluzione della figura umana. Paul Klee. Corpi sospesi tra visibile e invisibile

Paul Klee, Senecio (presto un uomo vecchio), 1922, Basilea, Kunstmuseum.

L’arte del Novecento stabilisce una frattura radicale con la realtà, cioè con la finalità mimetica che le arti visive avevano assunto a partire dal Quattrocento. Materia della pittura non è più la riproduzione del visibile, ma la ricerca di qualcosa che va oltre la sfera delle apparenze, nella ricerca di liberare l’arte dalla dipendenza nei confronti dell’oggetto. In questo percorso, in cui gli artisti sono più interessati a mostrare la propria visione della realtà piuttosto che la realtà stessa, anche la rappresentazione della figura umana subisce delle conseguenze radicali, fino al dissolvimento totale di essa nell’arte astratta, ossia non figurativa.
Nel tentativo di delineare le diverse fasi che portano al dissolvimento della figura umana, non possiamo non soffermarci sulla produzione del pittore svizzero Paul Klee, il quale, ne La confessione creatrice (1920), scrive: "Un tempo si rappresentavano le cose che erano visibili sulla terra, la cui vista ci procurava piacere o che avremmo avuto piacere di vedere. Oggi la relatività delle cose visibili è nota, di conseguenza consideriamo come un articolo di fede la convinzione secondo la quale, in rapporto all'universo, il visibile costituisce un puro fenomeno isolato e che ci sono, a nostra insaputa, altre numerose realtà."

L’artista è chiamato a penetrare la corteccia del mondo fenomenico; suo scopo non è riprodurre la realtà ma partecipare in modo diretto all’opera creatrice della natura.
Paul Klee. Ritratto di Frau P., 1924. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Klee, infatti, ritiene che l’arte si avvicini alla natura non perché la imiti, ma perché riesce a riprodurne le intime leggi della creazione. L'arte non è imitazione, ma deve far apparire il “possibile” all'interno del "dato". È quanto lo stesso Klee mette in evidenza quando, ne La Confessione creatrice, afferma che compito del pittore non è appunto "riprodurre il visibile", bensì "rendere visibile".
Quello che ci circonda è solo uno dei mondi che si è realizzato. Compito dell'artista è quello di dare vita alle possibilità inespresse e non ancora realizzate. Scrive ancora Klee nei suoi diari: "Non appartengo solo a questa vita, perché io vivo bene con i morti, come con i non nati, più vicino del consueto al cuore della Creazione, ma non abbastanza vicino".
Per Klee l’artista occupa una posizione particolare che è una soglia, e quindi può attingere a questo mondo, ma nello stesso tempo può rivelare l’altro mondo, misterioso e invisibile, che sta oltre quella soglia. L’arte, pur essendo legata direttamente alla natura, mostra però altre realtà, altri mondi possibili, diversi da quello di cui abbiamo esperienza.

Paul Klee, Ha testa, mano, piede e cuore, 1930

Solo l'artista, per la sua apertura nei confronti delle forze della natura, è in grado di avvicinarsi al mistero della creazione, pur nella consapevolezza di non poterlo mai raggiungere definitivamente. Egli si pone in quel mondo intermedio tra visibile e invisibile che è il mondo del possibile, della libertà creativa. Egli può spingersi fino ad avvicinarsi a quel momento primigenio che è il principio del tutto, vicino al Creatore, nella consapevolezza che nessuna rappresentazione, per quanto creativa, è in grado di rendere pienamente visibile l'invisibile.
L'artista è un uomo come gli altri, gettato in un mondo che muta continuamente; a differenza degli altri però ha i mezzi per liberarsi, attraverso la sua attività di creazione. Per far questo deve avere uno sguardo aperto, incantato, come quello dei bambini, cioè in grado di stupirsi e di andare oltre le apparenze. L'astrattismo di Klee non significa rappresentare l'astrazione di un'idea, l'immobilismo di un concetto. Al contrario, l'astrattismo di Klee è movimento, spazialità, temporalità, è rendere con la pittura il continuo divenire della natura. Per questo la sua pittura è più vicina alla musica e alla poesia che alle arti figurative.


La linea, vera protagonista delle opere di Klee, e il colore cessano di essere compressi nella loro funzione mimetica, e quindi riproduttiva; l'artista libera questi elementi da quella antica schiavitù e li innalza ad una missione produttiva. Sono le linee e i colori che generano dal loro interno significati sempre nuovi e diversi dell'opera, la quale non è una rappresentazione, ma un "evento", qualcosa che non è mai concluso, ma sempre in fieri, per le infinite interpretazioni a cui sarà sempre aperta.
L’arte di Klee non può definirsi astratta in senso assoluto (cioè totalmente trascendente e distaccata dal mondo empirico, come per Kandinskij), ma collocata su una linea di confine tra figurativo e non figurativo, tra riconoscibile e non riconoscibile, sospesa tra visibile e invisibile. “Io sono astratto con qualche ricordo”, usa dire il pittore. La sua astrazione della figura umana, infatti, non elimina il suo riconoscimento e l’intellegibilità della sua raffigurazione. Così accade, ad esempio, per il suo “Senecio”, sorprendente per la carica espressiva contenuta in una forma fondata sulla tensione tra astratto e figurativo. In quest’opera, come nelle altre di Klee, si nota inoltre l’attenzione per le espressioni artistiche dei bambini e per l’arte primitiva extraeuropea, ambiti nei quali vanno ricercate le origini primordiali del linguaggio artistico, quando ancora la creazione non viene inficiata dalla razionalità.. Il bambino infatti, quando disegna, non si limita a rappresentare quel che vede, ma attraverso le immagini semplificate, le proporzioni e lo spazio deformati ci racconta quel che conosce, l’esperienza che vive, il mondo a volte magico e misterioso in cui si trova.


Con il Senecio, siamo vicini all’astrazione o comunque alla massima semplificazione delle forme, come avviene nelle maschere primitive, ma c’è anche molto di più, proprio come accade nei disegni infantili, in cui le forme tracciate nello spazio sembrano emergere da una profondità primordiale. Osservandolo si vede anzitutto un volto, caratterizzato da una rotondità molto marcata della testa, da occhi sfasati, da sopracciglia diverse e da spalle piatte che si allungano fino ai lati del dipinto. Possiamo notare (soprattutto dalla forma del naso e degli occhi) un alternarsi tra frontalità e profilo, che ci presenta il personaggio da due punti di vista, mentre la forma differente delle sopracciglia suggerisce il trucco del clown. La forma guizzante degli occhi e l’asimmetria delle pupille conferiscono al volto un’oscillante instabilità, invitandoci a cambiare continuamente la prospettiva da cui guardare la figura, ruotando il capo a destra e a sinistra, passando dalla frontalità al profilo.
La testa enorme si impone al nostro sguardo emergendo dallo sfondo, ma, a causa del contorno più volte interrotto, sembra essere sul punto di riconnettersi alla materia pastosa e sfumata da cui proviene. Pur essendo racchiusi in forme geometriche, i colori sfumano, si compenetrano in passaggi cromatici dal giallo attraverso l'arancione fino al rosso. Attraverso la linea e il colore, la realtà risulta poeticamente trasfigurata dall’immaginazione creativa dell’artista, proprio come succede nei disegni dei bambini, in cui si intrecciano l’astratto e il figurativo, il descrittivo e il simbolico, donando così all’osservatore le sensazioni di una composizione immersa in un’atmosfera magica ed evocativa. Un quadro che è un luogo di mistero, mai pienamente afferrabile, mai del tutto inesauribile.

Paul Klee, Analisi delle diverse perversioni, 1922.

Nel dipinto “Analisi delle diverse perversioni” (1922) è riconoscibile sulla destra una figura barbuta e riccioluta, da cui sembra dipendere il bizzarro macchinario che riempie il piano dell’immagine. Ma come interpretarlo? Che significato hanno le lettere, le frecce e tutti i simboli presenti? Neanche il titolo dell’opera ci aiuta in questo. Tutto il complesso sistema, fondato su un’intricata e labirintica struttura ad ingranaggi, sottostà al personaggio umano con una misteriosa P piantata sulla destra, ma nessuno è in grado di comprenderne il significato. L’uomo controlla il mondo, ma è un mondo che non si lascia decifrare e, dunque, significare. Forse, come scrive Barilli, Klee segue il medesimo intento dadaista “di fornire una meccanica dilettosa, gratuita, allegramente contestativa rispetto ai fini pratici e produttivi” (R. Barilli, L’arte contemporanea: da Cézanne alle ultime tendenze).
Il percorso teoretico e iconologico di Paul Klee trova efficace espressione nella figura dell’angelo, che compare nei suoi lavori a partire dal 1913. A differenza di quello della tradizione, l’angelo di Klee non è immortale, né spirituale, né divino: esso ha un corpo, e quindi è imperfetto, vicino alla condizione mortale ed effimera dell’uomo; non è ancora capace di volare, come dimostrano le sue ali molto piccole, come molto piccoli sono i suoi piedi, che tendono verso la terra. L’angelo kleeiano è dunque sostanzialmente un’entità mediana, contrastata tra l’aspirazione all’altrove, a ciò che va al di là del mondano e del terrestre, e l’attrazione inevitabile, in quanto dotato di corpo, alla terra.

Paul Klee, Angelus Novus, 1920.

In quanto essere mediano tra cielo e terra, tra uomo e Dio, l’angelo è un ponte tra l’essere e il non essere, una creatura in continua trasformazione, che non si ferma in un limbo statico, ma è in continuo movimento, in viaggio verso un’altra dimensione. Se, infatti, si cerca di seguire con lo sguardo l’intrecciarsi delle linee che lo compongono, ci si ritrova dinanzi a un’immagine la cui forma si compone di energie ed elementi in continuo movimento. L’angelo incarna perciò l’ideale kleeiano della superiorità del divenire sull’essere, del brutto sul bello: l’essere e il bello implicano stasi, immobilità, assenza di cambiamento; il divenire e il brutto implicano inevitabilmente la perfettibilità, la costante tensione all’altro da sé, ma anche alla verità del proprio essere.
In questo senso, l’Angelus Novus sembra figurativamente incarnare quel desiderio tutto kleeiano di riconnettere il mondo delle apparenze a una nuova “verità”, una verità interiore e spirituale a cui solo l’arte, per analogia col gesto divino, può attingere. L’angelo diviene, cioè, immagine della creazione intesa come gesto artistico di collegamento fra due mondi (per chi volesse approfondire questo argomento, segnalo l’intervento di R. Corcione, a questo link: https://www.academia.edu/28007934/_Angelus_Novus_storia_di_un_duplice_alter_ego._Walter_Benjamin_e_Paul_Klee_1920-1940_?fbclid=IwAR0R97svrmYhhJ9MC5CjS2CSOALLUSSLc7dKRFSHOfcuqsYSenvkvW-hfyQ)
In conclusione, le opere di Klee restano degli enigmi figurativi mai completamente risolvibili, alimentati da una tensione tra ciò che è terreno e ciò che è divino, un dramma che percorre l’intero pensiero figurativo di questo artista che ha segnato l’intera arte del Novecento.

Klee, L'uomo segnato, 1935.

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