sabato 23 febbraio 2019

Il corpo umano nel Rinascimento. Masaccio e gli affreschi della Cappella Brancacci



Il XV secolo è caratterizzato da nuove condizioni politiche, sociali, economiche e culturali che favoriscono una nuova concezione dell’arte e, con essa, una nuova rappresentazione del corpo umano. Se l’iconografia medievale ruotava per lo più intorno a questioni di carattere religioso, già con lo stile cortese si era verificato un progressivo allontanamento dalla sfera sacrale e una progressiva secolarizzazione dell’immagine.
L’Umanesimo porta con sé una nuova visione dell’uomo, alquanto diversa da quella elaborata dal Medioevo. La nuova cultura attua una celebrazione laica del corpo umano, nel quale viene riconosciuto il microcosmo perfetto, che riassume e riflette il macrocosmo, cioè la struttura complessiva dell’universo, e ne costituisce l’elemento più degno. Lo stesso universo è considerato quasi un’estensione dell’uomo, per cui la conoscenza del corpo è uno strumento privilegiato di conoscenza delle leggi del mondo.

La cultura umanista si fonda sull’interesse conoscitivo dell’uomo su se medesimo e sulla sua posizione nell’ordine naturale. Ciò fornisce un impulso decisivo alle indagini attorno al corpo inteso in senso laico come oggetto di conoscenza, che influiscono sia sulle ricerche scientifiche che sulle arti visive. La nuova rappresentazione del corpo è caratterizzata da tre spinte: la ricerca anatomica, lo studio delle proporzioni e la conoscenza del pensiero e dell’arte antica.
Le ricerche anatomiche di questo periodo si muovono sia nel campo del lavoro filologico sulle fonti classiche, quanto su quello innovativo della ricerca autoptica sul cadavere e raggiungono il culmine con il De humani corporis fabrica (1543, più noto come Fabrica, nel senso di edificio inteso come rapporto armonico di diverse parti) di Andrea Vesalio, corredato da magnifiche illustrazioni, che propone una revisione e una riscrittura dell’anatomia galenica che aveva dominato l’insegnamento di questa disciplina.
Bisogna però fare una precisazione: questa impostazione scientifica, fondata sull’indagine naturale, si coniugava con la ricerca della proporzione e della perfezione ideale. Il corpo umano, cioè, era studiato nel suo aspetto reale ma concepito (e rappresentato) in forma idealizzata. A ciò concorse anche la ripresa degli studi classici sulle proporzioni applicate alla figura umana e alle sue parti. Come era già successo all’arte egizia e a quella greca, ciò di cui si è alla ricerca è un canone, cioè un rapporto di misure, grazie al quale realizzare una figura umana perfetta e armonica. Realismo e idealismo, in questo caso, non sono in contraddizione, perché la convinzione di fondo è che la realtà, compresa quella del corpo umano, sia un cosmo organizzato secondo leggi perfette, che spetta all’uomo di cultura indagare e scoprire. Proprio come un edificio architettonico anche il corpo umano è fatto di varie parti, ognuna rispondente al proprio compito e tutte organicamente unite in un ordine armonico.
Tra i primi artisti del Quattrocento a dimostrare uno studio accurato del corpo umano è certamente il grande Masaccio. A questo fine, ci spostiamo a Firenze, all’interno della chiesa del Carmine, dove tra il 1424 e il 1428 Masolino da Panicale e il giovane Masaccio eseguirono gli affreschi della Cappella Brancacci, terminati solo cinquant’anni dopo da Filippino Lippi. Le scene rappresentate narrano le storie di san Pietro e alcune vicende tratte dal libro della Genesi, in particolare l’episodio del peccato originale da parte di Adamo ed Eva e quello della cacciata dal Paradiso Terrestre. Basta confrontare queste due scene per rendersi conto della portata della rivoluzione compiuta da Masaccio, e più in generale dall’arte del Rinascimento rispetto alla tradizione tardogotica, di cui Masolino era un esponente.

Masolino da Panicale, Tentazione di Adamo ed Eva.

A Masolino si deve la scena della “Tentazione di Adamo ed Eva“, che risente notevolmente dello stile cortese. I due corpi nudi sono dipinti con forme armoniose e raffinate; sono anche volumetricamente consistenti e luminosi e presentano una certa accuratezza anatomica, ma sembrano non avere peso e non trovare una salda collocazione nell’ambiente. I volti emanano nobiltà e soavità, ma sono inespressivi e privi di alcun sentimento. La figura di Eva, in particolare, è aggraziata ed idealizzata, secondo le convenzioni dell’arte tardogotica e, come quella di Adamo, sembra sospesa in un luogo senza tempo e senza profondità né gravità.
Masaccio è invece l’autore de “La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre”, che raffigura i due progenitori dell’Antico Testamento dopo il peccato, con i corpi appesantiti e i volti deformati dalla disperazione per la condanna ricevuta da Dio. I piedi poggiano saldamente sul terreno, mentre una luce violenta investe le figure, modellando la perfetta anatomia (si noti il ventre contratto di Adamo) e proiettando le ombre sul terreno. Secondo alcuni critici, le fonti andrebbero rinvenute nella statuaria classica, ma Masaccio cita l’arte antica filtrandola attraverso lo studio diretto della natura (i suoi contemporanei, infatti, lo esaltarono come “l’optimo imitatore della natura”).

Masaccio, La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre.

Il giovane pittore, considerato dagli storici la pietra miliare nel percorso che va da Giotto a Leonardo, Michelangelo e Raffaello, presenta una pittura del tutto nuova, in grado di rappresentare l’umanità nella sua condizione reale. La condizione di un uomo che ha dovuto abbandonare il Paradiso ed è entrato nella storia, calpestandone il terreno desolato, vivendo il tragico peso della materia, piangendo e gridando tutta l’umana sofferenza.
Le figure non sono più idealizzate e aggraziate, ma plasmate con un realismo e un vigore inediti. I gesti e le espressioni suggeriscono efficacemente il dramma che i personaggi stanno vivendo. L’umanità si percepisce chiaramente in quell’urlo disperato e nella vergogna espressa dal gesto con cui Adamo si copre il viso con le mani.
Tra le varie scene del ciclo di affreschi si trova inoltre il Battesimo dei neofiti. Al centro della scena, un uomo dal corpo atletico è inginocchiato con il capo chino, dietro di lui un altro, in piedi e con le braccia incrociate al petto, sembra tremare per il freddo. I due corpi, dei quali Masaccio evidenzia le masse muscolari, esprimono una fisicità concreta, tangibile, resa manifesta dalle ombre che si proiettano sul terreno. Quanta umanità vi è in questi due corpi? Stendhal affermerà che la figura del neofita tremante è rimasta senza rivali, fino al secolo di Raffaello.

Masaccio, Battesimo dei neofiti.

Stesso discorso per gli altri dipinti eseguiti nella Cappella da Masaccio, come “Il pagamento del tributo di Cristo al gabelliere di Cafarnao”, dove la figura di Cristo emerge nella sua monumentalità e ognuno degli Apostoli è individuato da una caratterizzazione psicologica e da una propria personalità.
Masaccio realizza tutte le figure con poderosa plasticità, che ne mette in risalto l’intensità scultorea e la dignitosa autorità, espressioni di quella fiducia che l’uomo ormai riponeva in se stesso e nelle proprie qualità. Negli affreschi della Cappella Brancacci, anche il più umile mendicante o infermo è un individuo che rivela grande dignità morale e sicurezza di sé, come è possibile notare nella scena in cui “Pietro, seguito da Giovanni, risana con la sua ombra gli infermi”. Un pittore del gotico internazionale avrebbe dipinto i malati e i mendicanti con un realismo impietoso e grottesco accanto alle figure eleganti delle dame e dei cavalieri. Per Masaccio, invece, i poveri e gli storpi hanno la stessa dignità umana dei santi e degli apostoli; essi sono entrati da protagonisti coscienti nella storia, con la loro compostezza nella miseria e nella sofferenza.

Masaccio, Il pagamento del tributo di Cristo al gabelliere di Cafarnao.

Quello rappresentato in questo ciclo è l’uomo rinascimentale, l’uomo moderno, che sa padroneggiare lo spazio, che ha una grande forza morale perché consapevole del proprio ruolo nel mondo e artefice del proprio destino. Sembra di rinvenire nei personaggi tratteggiati da Masaccio la stessa austerità e autorevolezza delle statue della Roma Repubblicana, ma essi rappresentano tuttavia la nuova umanità civile che si sta affermando a Firenze in quegli anni. Sono gli uomini contemporanei del pittore, membri di una società laica, che discutono dell’attualità politica (drammatica), collocati in uno spazio ben definito e articolato, che non è più la corte dello stile gotico, ma la piazza cittadina. In questo contesto laico si compie il miracolo e la presenza divina: la storia narrata nei Vangeli si rinnova nel presente e nel quotidiano, coinvolgendo ciascuno. E questo ciascuno è un individuo dotato di anima e corpo, di un corpo che, per quanto gravato dal peso della storia e del proprio ruolo in essa, è immagine dell’ordine dell’universo, il centro stabile del cosmo.

Masaccio, Pietro, seguito da Giovanni, risana con la sua ombra gli infermi.

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