mercoledì 23 marzo 2016

L'uomo e la natura - La pittura di Giovanni Bellini



Nel Medioevo la realtà fisica della natura non era considerata dal punto di vista estetico o scientifico, ma veniva vista e pensata, compresa e assimilata in rapporto con la dimensione spirituale: la natura era una sorta di testo cifrato, in cui ogni elemento era signum, cioè simbolo che allude ad "altro", a verità spirituali e religiose, una sorta di Sacra Scrittura redatta in un linguaggio diverso dalle parole. Gli elementi che costituiscono la natura (in quanto riflesso del mondo divino) e la loro rappresentazione avevano per l'uomo del Medioevo una funzione didascalica, carica di significati teologici e morali. La natura, dunque, non era considerata in quanto tale, ma in quanto riferimento simbolico a una realtà soprannaturale. Non si perseguiva la ricerca delle sue leggi, non si indagavano i fenomeni per coglierne le relazioni oggettive. Lo studio della natura era prevalentemente metafisico, non fisico.
Nell’età umanistico-rinascimentale si considera la natura come l’ambiente in cui l’uomo vive, il regnum hominis. Essa non è più vista come una forza imprevedibile contro cui l'uomo non può fare nulla, ma invece si comincia a comprendere che i fenomeni naturali avvengono con una certa regolarità e che sono quindi prevedibili, per cui l'uomo è in grado di indagarli per cogliere le leggi che li governano.
Per comprendere lo spirito della civiltà del Rinascimento occorre tener presente che la sua cultura poggia da una parte su una nuova concezione del ruolo dell’uomo, visto come centro dell’universo, e dall'altra su un vivo interesse per il mondo della natura, considerato come un campo da analizzare, scoprire e utilizzare mediante l’indagine razionale, autonoma da considerazioni di tipo soprannaturale.

Non si deve però pensare che la cultura rinascimentale abbia perso il senso del divino e dell’importanza della dimensione religiosa. Senonché l’approccio al soprannaturale  avviene in modo diverso rispetto al Medioevo. Per gli uomini del Rinascimento la scoperta del divino avviene mediante lo studio della natura, considerata il libro aperto dell’opera di Dio che spetta a essi indagare e comprendere con strumenti razionali. L’uomo è ‘copula del mondo’, creatura che si pone tra Dio e la natura, la cui "dignità" è quella di nobilitare la propria esistenza con il sapere e le opere.

La pittura tonale
Anche in campo artistico, l'obiettivo è quello di raggiungere, tramite strumenti razionali, una maggiore conoscenza della realtà, cioè le leggi che regolano la visione ottica. L'arte aspira, cioè, ad essere mimesi del reale. Gli strumenti attraverso i quali gli artisti dell'Umanesimo italiano cercano di raggiungere questo obiettivo sono sostanzialmente due: la prospettiva lineare da una parte (ossia il rimpicciolimento proporzionale degli oggetti nel cono ottico) teorizzata dal Brunelleschi, dall'Alberti e da Piero della Francesca; la pittura tonale dall'altra.
La pittura tonale, in Italia, si sviluppa soprattutto a Venezia, a partire dagli ultimi decenni del Quattrocento. Essa è caratterizzata da uno scrupoloso studio dell’azione esercitata dalla luce colorata sui corpi e sugli oggetti. La realtà viene pittoricamente ricostruita tenendo conto dell’irradiazione primaria colorata e delle reciproche influenze delle luci e dei colori. Nell’ambito della pittura tonale si dà rilevanza non al colore puro, ma al tono di colore, che è una variante timbrica del colore stesso. In sintesi il tono di un colore può essere definito come la quantità di luce che esso riflette. Se un oggetto viene investito da una grande quantità di luce, esso rifletterà molta luce e il suo colore ci apparirà di tono chiaro (insaturo); se invece è scarsamente illuminato, il suo colore sarà di tono scuro (saturo). Su uno stesso piano, pertanto, non possono esserci contemporaneamente toni chiari e toni scuri, ma questi vanno collocati su differenti piani di profondità a seconda dell'illuminazione.
Usando questa tecnica si può, senza ricorrere alla prospettiva tradizionale, creare un effetto di profondità spaziale dell'immagine pittorica.  Dal punto di vista della rappresentazione dei paesaggi naturali, la pittura tonale offre nuove potenzialità rispetto alla prospettiva lineare. Quest'ultima, infatti, aveva bisogno delle architetture per poter pienamente manifestarsi nella scena pittorica, costringendo la pittura ad una sudditanza nei confronti dell’architettura dipinta. Il tonalismo veneto rappresenta una nuova possibilità (un'altra fondamentale sarà la prospettiva aerea di Leonardo) di ricreare l'illusione di tridimensionalità dell'immagine in qualsiasi ambientazione, non necessariamente architettonica.
Se la prospettiva lineare fiorentina, inoltre, si fondava sulla predominanza del disegno, che è la trascrizione razionale del nostro pensiero del reale, la pittura tonale si fonda invece sul colore come esperienza dei sensi e fonte di emozioni.
Prospettiva lineare e pittura tonale sono gli strumenti rappresentativi che modellano la percezione che il soggetto ha di una certa realtà e in quanto tali costituiscono le leggi primarie della pittura occidentale. Ma ecco che dalla trama della ricerca della suprema verità ottica viene fuori la contraddizione fondamentale che caratterizza la pittura del Rinascimento. Esso parte dall'affermazione che la pittura imita una realtà oggettiva, ma in realtà la prospettiva lineare, come la pittura tonale, non sono che un modo di rappresentare una percezione soggettiva. Tutto ciò fa si che la storia della rappresentazione pittorica di quattro secoli possa essere vista da un lato come il trionfo del primato della realtà, cioè dell'oggettività, dall'altro come il trionfo della volontà dell'uomo di annullare ogni distanza e di imporre le proprie leggi sulla realtà stessa (si veda E. Panofsky, La prospettiva come 'forma simbolica'). Tutto ciò implica di fatto la coincidenza di imitazione e invenzione: la realtà viene riprodotta con precisione, ma al tempo stesso secondo il punto di vista soggettivo dell'osservatore.

Natura e paesaggio nelle opere di Giovanni Bellini
Si fa risalire l'inizio della pittura tonale a un capolavoro di Giovanni Bellini, padre della pittura veneziana moderna, la "Incoronazione della Vergine", facente parte della celebre Pala di Pesaro.

Giovanni Bellini, Incoronazione della Vergine, 1471-83, Musei civici, Pesaro.

Qui, in un'apertura nella spalliera del trono di marmo, su cui siedono Gesù e la vergine Maria, vediamo uno squarcio di  costa marchigiana, con un castello (probabilmente la Rocca di Gradara) che si staglia contro un cielo solcato da nuvole bianche.
La composizione  principale dell'opera si delinea su un'impostazione geometrica; lo spazio, come in Piero della Francesca, è organizzato secondo le leggi della prospettiva e la regolare disposizione di elementi architettonici simmetrici, come l'incorniciatura del trono e le linee del pavimento. Ma la caratteristica peculiare della pittura di Giovanni Bellini consiste nel fatto che questa architettura non definisce un ambiente  chiuso, ma si apre in un luminoso paesaggio, che la pittura tonale riesce a rendere in modo molto più naturalistico rispetto al rigore del disegno fiorentino.

 

Il paesaggio appare straordinariamente vivo: grazie alla pittura ad olio (che il Bellini  cominciò a utilizzare  sempre più spesso sull'esempio di Antonello da Messina, giunto a Venezia nel 1475), è possibile creare stupefacenti effetti luminosi e atmosferici, che fanno dell'opera il compimento dell'incrocio tra arte fiamminga (nei confronti della quale il maestro veneziano mostrò grande attenzione) e pittura italiana, una sintesi armonica tra architetture, personaggi e paesaggio.
Caratteristica della pittura di Giovanni Bellini è la straordinaria attenzione al rapporto tra figure umane e natura, tanto che l’ambiente assume un rilievo quasi paritetico a quello dei protagonisti delle immagini, a differenza di quanto avviene a Firenze, dove lo spazio naturale è totalmente subordinato alle figure.
Si veda ancora, sempre del Bellini, la Trasfigurazione conservata a Napoli nel museo di Capodimonte, dove le figure non sono esterne  o non sono "davanti" a un paesaggio, ma sono collocate al suo interno, in un'atmosfera naturale luminosa e avvolgente. Figure e paesaggio sono inscindibili e costituiscono una profonda unità. Essi si completano a vicenda, in una sorta di visione lirica di respiro cosmico.


Giovanni Bellini, Trasfigurazione di Cristo, 1478-79, Museo nazionale di Capodimonte, Napoli.


L’opera, che rivela ancora influenze dello stile del Mantegna, cognato di Bellini, colloca la scena sacra entro un panorama costruito su valori cromatici, plastici e atmosferici di grande suggestione, vicini a quella resa naturalistica che poi troveremo nella pittura di Giorgione e quindi di Tiziano.
Nelle opere della maturità, la presenza del paesaggio si fa sempre più piena e convincente, come dimostra una serie di opere realizzate intorno al 1480, tra cui il San Girolamo della collezione Contini Bonacossi e il San Francesco nel deserto, nelle quali si realizza una sempre più morbida fusione tra le figure presenti nella scena e l'ambiente circostante.


Giovanni Bellini, San Girolamo Contini Bonacossi, 1480, Galleria degli Uffizi, Firenze - Public Domain via Wikipedia Commons

Si noti come nel paesaggio del San Girolamo, il pittore abbia collocato alcuni celebri monumenti di Ravenna e il Tempio Malatestiano di Rimini.  Questo uso di inserire, in modo riconosibile seppure arbitrario, delle architetture famose sullo sfondo dei dipinti,  si affermerà sempre di più nel corso degli anni, per l'esigenza di collocare in maniera credibile e attuale l’evento storico o religioso rappresentato.


Giovanni Bellini, San Francesco nel deserto, 1480 ca., Frick Collection, New York - Public Domain via Wikipedia Commons

Ma l'opera più enigmatica e di difficile interpretazione di Giovanni Bellini è senza dubbio l'Allegoria sacra.

Giovanni Bellini, Allegoria sacra, 1490-1500, Galleria degli Uffizi, Firenze.


L’insieme è quella che normalmente viene definita una “sacra conversazione”, cioè un gruppo di figure religiose tra cui compare sempre la Madonna. A destra riconosciamo San Sebastiano e Giobbe; oltre la balaustra probabilmente le figure dei santi Pietro e Paolo. Di difficile identificazione, invece, le due figure femminili, vicino la Madonna, e i quattro bambini che al centro giocano con l’alberello e i suoi frutti.


Benché il soggetto ci sfugga, il quadro conserva tutto il suo fascino. Su tutta la scena domina, tratteggiato con amorevole cura, il paesaggio: ampio, armonioso e tuttavia vario, soffuso di una luce particolarissima che riesce ad ad ammorbidire i contorni  e ad infondere nei colori uno splendore inconsueto e un fresco respiro.
E, sebbene i monti e le rocce che dominano la scena siano aspri e per lo più spogli e scabri, l’impressione complessiva dell'opera non è affatto cupa o sinistra, piuttosto sospesa, nel senso che pare aleggi ovunque il senso di attesa di un evento, di una rivelazione, alla quale anche la natura sembra partecipare.



Nonostante l'opera sia divisa in due parti, quella inferiore con la scena sacra e la regolarità delle linee geometriche, e quella superiore, con il paesaggio naturale e le linee irregolari, la scena possiede tuttavia una profonda coerenza cromatica e una unità atmosferica, date dalla pittura tonale, e una ferma unità spaziale, data dall'impianto prospettico di sicura definizione, che mettono insieme sacralità, umanità e natura.



Ritroviamo la stessa sintesi tra personaggi e natura in molte opere del Bellini, tra cui questa Madonna del prato. All'iconografia medioevale della "Vergine dell'Umiltà" si sovrappone un ampio e luminosissimo panorama agreste, cui viene attribuita pari importanza rispetto al gruppo sacro.


Giovanni Bellini, Madonna dell'orto, 1505 ca., National Gallery di Londra.


Il paesaggio, indagato fin nei minimi dettagli della vita quotidiana, si adatta perfettamente al tono intimo e familiare delle due figure. La Vergine è seduta a terra con in braccio il Bambino; i personaggi si fondono con l'ambiente, grazie all'armonia delle tinte e all'uso morbido della luce e del chiaroscuro, princìpi che stanno alla base della pittura tonale. La posizione abbandonata del Bambino (che richiama visibilmente una pietà), il suo pallore e i suoi occhi chiusi alludono al suo destino di morte, come il corvo (in alto a sinistra) e l'albero privo di vitalità. Il pellicano che uccide il serpente allude invece alla resurrezione, simbolo di nuova vita, di sacrificio e di liberazione dal male del peccato originale.
Il paesaggio alle spalle di Maria è costituito da un ampio e disteso prato, da una collina e da una cinta di monti azzurrini: Vi si riconosce la campagna a sud delle mura di Feltre, in particolare la collina, detta "Colle delle Capre", sulla quale sorge la cittadella.
Dello stesso periodo è la stupenda Pietà (detta Pietà Martinengo), sul cui sfondo compaiono i monumenti della citta di Vicenza, fra cui la basilica precedente a quella di Palladio, il Duomo, la torre ed il santuario di Monte Berico. Anche qui la luce e  un diffuso colore caldo e ambrato unificano figure e paesaggio e determinano la partecipazione dell'atmosfera naturale al momento psicologico dei personaggi. La luce e il colore divengono così interpreti di emozioni e sentimenti.

Giovanni Bellini, Pietà Martinengo, 1505 ca., Gallerie dell'Accademia, Venezia - Public Domain via Wikipedia Commons

All'aprirsi del Cinquecento e fino alla sua morte Bellini approfondisce i suoi interessi per la rappresentazione della figura umana inserita in un paesaggio aperto, fino ad arrivare ad una piena fusione di questi due elementi, al pari di quanto, negli stessi anni, fa sommamente il suo più celebre e dotato degli allievi, Giorgione.
Mentre Leonardo elabora tra Milano e Firenze le conquiste della resa degli effetti atmosferici attraverso la tecnica dello "sfumato" e di quella degli effetti di unità compositiva e di tridimensionalità con una tecnica di tipo grafico, il chiaroscuro, Bellini e Giorgione usano mezzi tipicamente pittorici e stendono il colore direttamente sulla tavola o sulla tela, riducendo al minimo il disegno. Se il chiaroscuro leonardesco conduce a una tavolozza sempre piú monocroma, il Bellini, al contrario, crea il rilievo tridimensionale, l'unità compositiva e addirittura l'espressione di delicate sfumature psicologiche tramite il colore permeato di luce.
Una delle ultime opere del Bellini è il Festino degli dei, uno dei rarissimi esempi di pittura mitologica eseguita dal maestro veneziano, che predilesse sempre i temi religiosi. L’opera, realizzata per il duca di Ferrara, Alfonso I d’Este, era destinata al Camerino d’Alabastro del castello di Ferrara.  Il dipinto, che racconta una storia tratta dai Fasti di Ovidio, subì successivi ritocchi da parte di Dosso Dossi prima e di Tiziano poi, soprattutto in ciò che concerne il paesaggio dello sfondo, lasciando inalterato il gruppo di figure in primo piano, in clima di indolente lascivia. La luce limpida e i colori smaglianti di quest'opera tessono un'atmosfera di elegiaca poesia.


Giovanni Bellini e Tiziano, Festino degli dei, 1514, National Gallery of Art, Washington - Public Domain via Wikipedia Commons

Come scrisse R. Longhi in Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, la pittura di Bellini realizza sempre un "accordo pieno e profondo fra l'uomo, le orme dell'uomo fattosi storia, e il manto della natura. Accordo tra le masse umane prominenti e le nubi alte, lontane, e cariche di sogni narrati; tra le chiostre dei monti e le absidi antiche, le grotte dei pastori e le terrazze cittadine, le chiese color tortora del patriarcato e il chiuso delle greggi, le rocche medievali e le rocce friabili degli Euganei". Non esiste in Giovanni Bellini, afferma inoltre Federico Zeri, una gerarchia di rappresentazione: uomini, animali, piante, architetture e ambienti naturali sono presentati tutti con la stessa cura, obiettività e mistica partecipazione. C'è un unico occhio che assorbe l'universo in cui l'uomo e il sacro sono profondamente integrati.
Nella pittura del maestro la natura partecipa, in tutti i suoi aspetti, alle vicende della storia rappresentata. E' in questo pacato naturalismo che Bellini esprime la propria poetica, aprendo la strada alla pittura veneziana del Cinquecento, quella di Giorgione e di Tiziano.

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