mercoledì 9 marzo 2016

L'uomo e la natura - La "Madonna del cancelliere Rolin" di Jan van Eyck

Agli inizi del Quattrocento, i due maggiori poli dell'arte occidentale sono l'Italia e le Fiandre, tra i quali esistono legami sia economici che culturali. Mentre a Firenze Brunelleschi, Masaccio e Donatello mettono a punto le regole geometriche della prospettiva lineare, nel nord fiammingo si fa uso dello stesso artificio rappresentativo a cui però si è arrivati non tramite l'astrazione matematica, ma per vie del tutto empiriche.
I fiamminghi del Quattrocento sono letteralmente innamorati della natura, che raffigurano con straordinaria meticolosità e attenzione per i particolari. Queste qualità rappresentative sono possibili anche grazie all'uso della pittura a olio, che permette una maggiore precisione dei tratti, oltre a donare trasparenza e brillantezza ai colori.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin, 1435 ca., Museo del Louvre, Parigi.

Tradizionalmente si ritiene Jan van Eyck il primo a fare largo uso di questa tecnica e di certo questo eccezionale pittore è il promotore della rivoluzione artistica in ambito fiammingo. Uno dei suoi capolavori è la "Madonna del cancelliere Rolin". Si tratta di una tavola in cui compaiono la Madonna con il bambino e il cancelliere di Borgogna e di Brabante Nicolas Rolin, potente consigliere di Filippo il Buono. Rolin è il committente dell'opera, destinata alla cappella di famiglia nella chiesa Notre dame du Châtel a Autun, sua città natale. Si tratta pertanto di un quadro devozionale, a committenza privata.

Anche nei dipinti medievali a contenuto sacro spesso compariva il committente dell’opera, ma in posizione marginale e rimpicciolito secondo la propria importanza gerarchica. In questa tavola, invece, la figura del cancelliere Rolin è esattamente proporzionale alle figure sacre ed è in primo piano, in una posizione di parità rispetto alla Madonna con il bambino. Questi ultimi non sono al centro della scena, ma a lato, di fronte all’uomo, che riceve la benedizione divina senza alcuna intermediazione, come era d’abitudine, di santi intercessori. Il cancelliere è in posizione di devota preghiera, ma la sontuosità del suo abito, il lusso della dimora e lo sguardo aperto, senza nessun accenno di riverenza, ostentano il suo status sociale.
Nonostante si tratti di un tema dell’iconografia cristiana, una Sacra Conversazione, generalmente caratterizzata dalla presenza nella stessa scena di personaggi umani (donatori e committenti) e divini (la Vergine con il Bambino), che occupano uno spazio comune, se si osserva bene il gioco degli sguardi, questi stessi personaggi appaiono distaccati, ognuno immerso in se stesso e nelle proprie meditazioni. Gli occhi del cancelliere, in particolare, sembrano concentrati in una sorta di visione interiore.


La terrazza ospita un giardino recintato (hortus conclusus), simbolo della verginità di Maria, dove crescono vari fiori associati al simbolismo mariano: il giglio rimanda alla purezza della Madonna, le rose rosse preannunciano la Passione di Gesù, ecc. La simbologia dei pavoni è ambigua e oscilla tra il richiamo all’immortalità e quello alla vanità. Numerosi sono gli elementi presenti dotati di riferimenti simbolici, di molti dei quali abbiamo ormai perso le chiavi di lettura.
Il paesaggio oltre i bastioni è sfumato in lontananza, secondo le regole della prospettiva aerea che Van Eyck dimostra di conoscere bene e che sono in grado di conferire profondità al dipinto. Questo è uno dei primi esempi di vedutismo moderno, in quanto nel medioevo la pittura di paesaggio era stata del tutto assente. La prospettiva centrale e le mani giunte in preghiera del cancelliere da una parte e la mano benedicente del bambino dall’altra sottolineano l’inquadratura del panorama. Esso è dominato dal corso del fiume (probabilmente il Mosa), attraversato da un ponte a sei arcate e ai lati del quale sorge la città (sull’identità della quale le ipotesi sono numerose e discordi. Qualcuno ipotizza la presenza di due città diverse: a destra, in corrispondenza della Vergine, la città celeste, che si eleva verso il cielo, con la cattedrale gotica e le innumerevoli guglie; a sinistra, in corrispondenza di Rolin, la città terrena, su cui si estende l’autorità del cancelliere).



Oltre il centro urbano, le colline ondulate, con gli alberi, i campi e i verdi prati; infine le montagne innevate che sfumano all’orizzonte.
A mediare lo sguardo tra lo spazio prospettico del primo e quello del secondo piano, van Eyck ha inserito due figure di spalle, affacciate ai bastioni merlati. Si tratta di un espediente pittorico e prospettico che guida lo spettatore a superare il primo piano e ad affacciarsi a quello seguente, costituito dal paesaggio.


Interno ed esterno, architettura e natura, appaiono profondamente equilibrate tra loro, restituendo una scena immersa e raccolta in un silenzio contemplativo.
Occorre sottolineare che solo dal Seicento in poi la pittura di paesaggio comincerà a essere un genere autonomo. Fino ad allora essa conserverà sempre un ruolo subalterno, come sfondo di una storia, a soggetto storico o religioso, rappresentata in primo piano.
Oltre allo splendore dei colori, che sembrano donare alle cose una luce propria, questo celebre dipinto si caratterizza anche per l'organizzazione degli spazi. Nonostante non siano qui applicate le regole matematiche della prospettiva lineare (come si può notare dalle mattonelle del pavimento) e nonostante le linee convergano in diversi punti di fuga, purtuttavia gli ambienti, sia quello interno che quello esterno, sono realisticamente plausibili e dotati di una notevole profondità.


Tramite l’uso dei diversi giochi di luce, van Eyck riesce a rendere la diversa consistenza dei materiali, dal broccato al velluto alla pelliccia, dai marmi all’oro alle pietre preziose. Basta osservare le pregiate vesti del cancelliere, i dettagli della trama e della consistenza dei tessuti, mentre la Vergine è avvolta da un pesante manto rosso che, come in altre opere di van Eyck, si increspa profondamente creando un sofisticato gioco di linee e chiaroscuro.


A differenza di quella italiana, la pittura fiamminga è caratterizzata dall'uso "non selettivo" della luce: ogni oggetto, ogni porzione di spazio, ogni dettaglio è ugualmente illuminato e reso con grande precisione, sia in relazione alla consistenza materica che al rapporto spaziale con gli altri elementi della scena. In una visione così attenta al particolare, che conferisce la stessa importanza a ogni elemento che compare nello spazio, l'uomo non è il centro del mondo e il signore dell'universo degli umanisti italiani, al cui ordine razionale tutto è riconducibile. Esso è solo una parte, per quanto importante, di un cosmo molto più ricco e complesso di quanto la sua ragione può contemplare e disciplinare.
Basta osservare la scena di questo dipinto, l'abbondanza delle decorazioni del loggiato, la ricchezza di elementi che caratterizzano sia il paesaggio urbano che quello naturale.

Ma tanto minuzioso naturalismo racchiude nelle proprie forme innumerevoli significati simbolici. Ogni particolare racconta della grandezza di Dio; nella natura risplende la sua gloria infinita. Verità e spiritualità costituiscono un binomio indissolubile, che celebra la santificazione del mondo visibile. Beninteso, la natura che rispecchia il volto di Dio non è qui quella selvaggia e primordiale, ma la natura che reca ben visibili i segni dell’opera dell’uomo e la cui visione è disciplinata dalla prospettiva e dal contenimento della veduta in una cornice limitata (in questo caso le arcate), che acquietano la vertigine di un orizzonte senza limiti.
Ogni cosa del mondo rinvia al suo Creatore e in questo modo si impregna di spiritualità. Il visibile dispiega l’invisibile, il finito schiude l’infinito: è questa la portata del naturalismo e dell’amore per il dettaglio di questi artisti nordici come il Maestro di Flémalle (Robert Campin), Jan van Eyck, Rogier van der Weyden e tutti i primi fiamminghi che spaziavano il loro sguardo dall’infinitamente vicino, esplorato con maestria miniaturistica, all’infinitamente lontano (ed è questo che definisce la differenza fra il realismo di questi e quello più strettamente borghese che ispirò i maestri olandesi del XVII secolo).
Non occorre allontanarsi dal mondo, ritirarsi in una dimensione ascetica, per trovare Dio, ma lo si può scorgere nel mondo, beandosi di ogni aspetto della realtà. Se si contempla a lungo la Madonna del cancelliere Rolin, infatti, sembra che la luce, che circola silenziosamente nello spazio, riesca a toccare a uno a uno gli oggetti, quasi fosse la 'luce divina' di cui parlano i mistici. È forse possibile esprimere in modo più pieno e intenso la presenza di Dio in tutto il creato, altrimenti che con questa trasfigurazione delle cose?

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