giovedì 16 luglio 2020

L'istante non decisivo. The Present di Paul Graham

Paul Graham, 53rd Street and 6th Avenue 6th, May 2011.

La fotografia è un’immagine fissa. Negli spazi di esposizione in cui normalmente la fruiamo, essa è racchiusa da una cornice, o comunque da bordi che la isolano dallo spazio circostante, consentendole di occupare luoghi discreti, discontinui, dove la dimensione temporale possibile è quella erratica dell’occhio che vaga sulla sua superficie e della mente che cerca, per quanto possibile, di apprestarne una lettura.
Eppure, tra i molteplici contesti in cui fruiamo la fotografia, non sono per nulla rari quelli in cui un’immagine è seguita da un’altra all’interno di una sequenza predefinita, che sia l’album di famiglia, un libro o una mostra fotografici. È un meccanismo immediato della percezione quello di ‘collegare insieme’, di creare concatenazioni, di cercare narrazioni possibili, di immettere il tempo dentro lo spazio delle immagini che si affiancano e si susseguono. Tanto più quando le immagini accostate sono molto simili, sia nell’inquadratura che nel contenuto. Come accade nel lavoro di Paul Graham The Present (2012), che conclude la trilogia cominciata con American Night (Göttingen, SteidlMACK, 2003), proseguita con A Shimmer of Possibility (Göttingen, SteidlMACK, 2009) e che riflette sull'America contemporanea esplorando, al contempo, le possibilità espressive del mezzo fotografico e dei meccanismi di narrazione per immagini.


The Present è stato realizzato interamente nella città che appartiene al mito della fotografia, New York, nelle aree ad alto traffico di Manhattan (Penn Station, Times Square e 125th Street, tra le altre). E’ composto da dittici - e da qualche trittico - la cui struttura è molto semplice: mostrano la stessa inquadratura a distanza di pochi secondi l’una dall’altra, quasi sempre illuminata da una luce tagliente. Riprendendo la locuzione usata da Mac Adams per i suoi lavori, tra le due immagini del dittico esiste un ‘vuoto narrativo’, una minuscola ellissi temporale, per quanto quasi sempre di poco rilievo: nel secondo frame le persone sfocano o scompaiono del tutto dall’inquadratura, sostituite da nuovi passanti che fanno quasi la stessa cosa; i taxi passano veloci, i pedoni attraversano la strada. Solo raramente avvengono fatti di qualche rilievo. In una sequenza, ad esempio, una donna inciampa e cade: prima la vediamo avanzare e poi distesa sul marciapiede.
Ciascun dittico ha qualcosa di perturbante: ogni immagine sembra il quasi-doppio dell’altra. Gli occhi che le percepiscono non possono fare a meno di cercare ciò che permane e ciò che invece è passato, il mutamento delle figure in uno sfondo che resta quasi identico. E nello scarto, nella differenza, nella frustrazione della storia mancata, c’è tutto il senso del progetto.
Nella forma rivisitata della street photography – e il rimando è a nomi quali Garry Winogrand, Harry Callahan, Lee Friedlander, Joel Meyerowitz – Graham di fatto opera una riflessione acuta sull’atto fotografico e, ancor prima, sul modo in cui guardiamo il mondo. Osservati insieme, infatti, questi scatti non fanno che riproporre la dinamica dell’esperienza visiva, nella quale la nostra concentrazione sposta continuamente il fuoco da un oggetto all’altro, realizzando un flusso visivo, così come il libero scorrere dei pensieri dà vita a quello che in letteratura viene chiamato flusso di coscienza.


L’artista fa parte di quella generazione di fotografi inglesi che, alla maniera degli americani William Eggleston e Stephen Shore negli anni 1970, hanno contribuito a legittimare l’uso artistico della fotografia a colori. Il suo approccio maggiormente concettuale, rispetto a quello più corrosivo dei contemporanei Martin Parr e Richard Billingham, porta avanti una lenta decostruzione del genere documentario e una riflessione sulle problematiche della rappresentazione fotografica del mondo. Contaminando e dialettizzando vicendevolmente il documentario con il concettuale, Graham configura la sua fotografia come un’attività riflessiva sulle modalità di azione e sulle condizioni di possibilità del mezzo; e nello stesso tempo la sua analisi si rivolge acutamente alla storia e alla realtà sociale, prima quella europea e poi quella americana.
In The Present il confronto si dipana, come già detto, con la street photography tradizionale, portato avanti in quello che è il santuario di questo genere, le strade di New York. Il suo obiettivo critico è il dogma dell’istante decisivo, quello in cui accade l’evento, interpretato come configurazione perfetta di piccoli accadimenti, alchimia armoniosa quanto effimera di elementi in relazione tra di loro, corrispondenza di fortunate coincidenze visive in grado di illuminare il dramma o la commedia umana. Nelle immagini realizzate da Graham, il flusso della strada disegna una coreografia casuale e passeggera, in uno spazio saturo di possibili traiettorie ma, in ogni dittico, l’attesa dell’evento proposta dalla prima immagine non viene portata a termine dalla seconda. Detto altrimenti, non esiste una narrazione ovvia: spazio e tempo sono unitari, ma manca ciò che definiamo ‘azione’. In realtà, non accade nulla: le persone passano e vanno avanti, appaiono sulla scena del mondo, illuminate dalla luce del sole e messe a fuoco dalla macchina fotografica; e poi scompaiono, risucchiate dall’ombra e dalla sfocatura; il flusso del tempo continua inarrestabile. Una donna che mangia una banana attraversa le strisce pedonali; una frazione di secondo dopo, un cieco con un bastone è proprio dietro di lei. Altrove, in uno dei pochi trittici, la sua attenzione si sposta da un uomo apparentemente senzatetto a un uomo con una borsa della spesa a una donna con un barboncino. Nessun filo narrativo da dipanare: ciò che le immagini fanno è esplorare sia la natura del movimento oculare sia la compressione e l'espansione del tempo.


Graham focalizza l’obiettivo su una persona, lo isola dalla folla, prima di interessarsi al soggetto successivo, facendo piombare la prima nel nulla del fuori scena. La tensione tra i due frame crea movimento, provoca un senso di lettura narrativa, quasi sempre frustrata dal fatto che, più che una sequenza temporale e orientata, e dunque ordinata, l’impressione che se ne ricava è quella di piccole dosi di caos, di un’entropia visiva che si manifesta nelle strade della metropoli.
Questo non vuol dire che la selezione degli accostamenti sia casuale. Tutt’altro. Alcuni degli abbinamenti sono molto ricercati: un uomo con una benda sull'occhio è seguito da un uomo che fa l'occhiolino; una donna con i capelli arancione ne anticipa un'altra che beve aranciata. Ma, invece di concentrare il tutto nella stessa inquadratura, dando luogo alle fortuite coincidenze della tradizionale fotografia di strada, Graham opta per la scomposizione temporale e dialettica delle immagini. Se Cartier-Bresson aveva teorizzato "il momento decisivo", Graham lo mette in discussione dividendolo e impedendo così all’immagine di esaurirsi in se stessa e di assumere quella rigidità impostale dalla necessità di raccontare tutto in un’estrema sintesi visiva. In più, questa forma concettuale di editing rivela la propria rilevanza metalinguistica e autoriflessiva, evidenziando la ‘presenza’ dell’autore, privando l’immagine di quella ‘trasparenza’ oggettiva che si riteneva propria di questo genere di fotografia.





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