domenica 7 maggio 2017

Il binomio arte e follia

Vincent Van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro, 1887.

Negli ultimi due secoli, nell'immaginario comune, il vero artista è colui che si avvicina più o meno pericolosamente alla follia. Genio e follia quasi vengono a coincidere. Una certa devianza è considerata garanzia di creatività.
Se fino alla fine del Settecento veniva affidata all'arte una funzione mimetica, cioè di imitazione della realtà, con l'avvento del Romanticismo scopo dell'arte diventa quello di esprimere l'interiorità dell'artista, anche i suoi recessi più profondi e oscuri. Il quadro non è altro che il ritratto intimo dell'artista perché, solo liberandosi dalla conoscenza sensoriale e calandosi nella propria interiorità, egli ha accesso a una “conoscenza extrasensoriale” che lo conduce al luogo originario in cui si annulla la differenza fra sé e mondo, fra soggetto e oggetto, fra sé e la totalità dell’Essere. Solo lì può acquisire quindi la verità ultima delle cose.

Mentre l’artista agisce obbedendo ad una “esigenza interiore” - afferma Novalis –, l’uomo comune agisce obbedendo a sollecitazioni esterne. Nell’uomo comune “lo spirito, come pigra materia, sembra sottostare alle leggi fondamentali della meccanica.” L’uomo comune agisce secondo intelletto, quell’intelletto di cui Kant aveva sancito i limiti, l'artista agisce in nome di una logica superiore, attingendo ad una conoscenza assoluta. La netta separazione fra ragione e follia, sancita da Cartesio nelle Meditazioni metafisiche (1641), è fatta propria dall’estetica romantica, ma rovesciata di valore: è ora la “follia” dell’artista ad ascendere ad una verità superiore, inaccessibile alla ragione; follia e natura da un lato, la ragione dall’altra.
Ma nel corso del secolo si venne man mano spegnendo l'aura eroica e romantica di questa follia superiore legata alla figura dell'artista come vate e si venne gradualmente formando una visione che ne associava la figura a un certo disagio esistenziale, fatto di malinconia, depressione, solitudine, disadattamento, emarginazione sociale.
In ogni caso, il connubio tra arte e follia spiega come mai, già a partire dal primo Ottocento, le scienze umane cominciarono a mostrare un così marcato interesse per le espressioni artistiche in ogni loro manifestazione. Ciò fu particolarmente vero per la neonata antropologia criminale lombrosiana, ma anche per l’esordiente psichiatria e per la psicologia. La ragione va individuata principalmente nell’approccio positivista che riteneva di poter sottoporre al vaglio dell’analisi scientifica e della ricerca sperimentale tutte le attività umane, incluse quelle, come l’arte, che la visione romantica aveva collocato in una sfera spirituale superiore, quasi avulsa dal mondo materiale. Quell'approccio riconduceva le attività come l'arte alle stesse condizioni organiche che sono all'origine della malattia mentale.
Edvard Munch – Autoritratto “alla Marat”, clinica psichiatrica del dottor Jacobson, Copenaghen – 1908-09.

"Non esiste genio senza una vena di follia ", scriveva Seneca e l’idea di una stretta correlazione fra genialità, creatività artistica e squilibrio mentale aveva già trovato sostenitori immediatamente prima dell'affermazione della scuola criminologica lombrosiana. Lombroso ribadirà in molti passaggi dei suoi scritti la convinzione di una stretta prossimità fra genio e follia, fra creatività artistica e devianza.
Ai giorni nostri, lo psichiatra tedesco Volker Faust e un gigantesco studio del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno accertato il legame fra creatività e malattia mentale. Scrittori ed artisti, ma anche scienziati, oltre ad avere il 50% di probabilità in più di suicidarsi, soffrono più della media di schizofrenia, ansia, depressione, abusi di alcool e droghe. In particolare, se guardassimo l'elenco degli artisti tra Ottocento e Novecento con accertati disturbi psichici e depressivi, ci stupiremmo della sua lunghezza.
Ma quali sono le cause di questo legame? Molti studi hanno cercato di chiarire il rapporto fra creatività e follia. Una delle teorie più gettonate è che il cervello di artisti e scienziati non abbia un filtro efficiente con la realtà esterna. Tutti gli stimoli provenienti dal mondo vengono riconosciuti come importanti, permettendo all'individuo di stabilire connessioni originali e sorprendenti. Ma proprio questa incapacità di filtrare gli stimoli è considerata una fra le possibili cause delle psicosi ed è stata osservata nelle fasi iniziali della schizofrenia. Tuttavia il mistero permane. Malattia mentale e creatività hanno semplicemente un'origine comune o si influenzano reciprocamente? Non è ancora chiaro, infatti, se sia la malattia mentale a scardinare il flusso ordinato dei nostri pensieri donandogli originalità o siano piuttosto creatività e profondità di pensiero a condurre il cervello sull'orlo dell'abisso della malattia mentale.
La scultura in basso è opera di Camille Claudel, un'artista che trascorse gli ultimi trent'anni della sua vita in un manicomio, dopo essere stata una scultrice di genio, cresciuta all'ombra di una presenza alquanto ingombrante come Auguste Rodin.

Camille Claudel, L'Implorante (grand modèle), 1905, musée Camille Claudel, Nogent-sur-Seine.

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