giovedì 5 gennaio 2017

L'uomo e la natura - LE DÉJEUNER SUR L’HERBE, LA COLAZIONE CHE FECE SCANDALO

Nella storia dell’arte, uno dei quadri che più suscitarono clamore e scandalo presso il pubblico e la critica ad esso contemporanei è stato il celebre Déjeuner sur l’herbe, del pittore francese Édouard Manet, dopo Courbet uno dei maggiori rinnovatori della pittura francese dell’Ottocento. Realizzata undici anni prima della mostra che diede avvio all’Impressionismo, questa tela rappresenta uno dei simboli che incarnano la rivoluzione artistica del XIX secolo.

Édouard Manet, Déjeuner sur l'herbe, 1863, Musée d'Orsay, Parigi - Public Domain via Wikipedia Commons

Intitolato in un primo tempo Le Bain, il quadro fu respinto dalla giuria del Salon del 1863. Quell’anno, le opere rifiutate dall’esposizione ufficiale furono molto numerose; così, per contenere le proteste degli artisti, Napoleone III ordinò che i quadri respinti fossero esposti in alcune nuove sale del Palais de l’Industrie, sede del Salon. Nacque così il “Salon des Refusés”, di cui la grande tela di Manet divenne il principale motivo di attrazione, a causa delle polemiche suscitate dalla sua esposizione. I critici e il pubblico giudicarono l’opera volgare e oscena, non solo a causa del soggetto (la presenza di nudi femminili in compagnia di giovanotti borghesi), ma anche per la modernità dello stile cromatico e compositivo. La stessa corte imperiale dichiarò il quadro “un’offesa al pudore”. Questo episodio fu il primo atto d’una battaglia destinata a protrarsi per circa trent’ anni. Manet divenne di colpo il pittore più noto in tutta Parigi, un rivoluzionario suo malgrado, in quanto non era certamente quella la celebrità cui aspirava.

La tela raffigura un gruppo di quattro persone in un bosco nei pressi di Argenteuil (un comune non lontano da Parigi), dove scorre la Senna. In primo piano vi è una donna completamente nuda, seduta su un panno azzurro, che, con una mano sotto il mento, guarda verso lo spettatore. I due giovanotti in sua compagnia sono invece completamente vestiti, con abiti borghesi alla moda del tempo. Più lontano, sullo sfondo, una donna in sottoveste sta facendo il bagno nelle acque di un ruscello. Le figure sono disposte a piramide, e spiccano per via dei nitidi contrasti cromatici con cui è composto il quadro.
La modella di entrambe le figure femminili è Victorine Meurent, mentre nei due giovani in primo piano sono riconoscibili Gustave Manet (fratello del pittore) e lo scultore olandese Ferdinand Leenhoff, amico e cognato di Manet. Nell’angolo in basso a sinistra, a guisa di natura morta, giacciono i vestiti delle donne e le vivande della colazione, pane e frutta, da cui l’opera prende il titolo.

Tiziano (o Giorgione), Concerto campestre, 1510, Louvre, Parigi - Public Domain via Wikipedia Commons.

Apparentemente nelle opere di Manet non c’è niente di rivoluzionario; anzi, molte sue opere rivelano con chiarezza l’impianto compositivo di matrice classica e il riferimento ai grandi maestri del passato (Tiziano, Raffaello, Goya, Ingres), studiati nei maggiori musei. Il tema iconografico della “conversazione” tra figure nude e vestite in un paesaggio era già stato svolto nel Concerto campestre (oggi attribuito per lo più a Tiziano, all’epoca ritenuto opera del Giorgione), mentre la composizione e le pose delle figure centrali si ispirano allo schema del gruppo di divinità fluviali presente nel Giudizio di Paride di Raffaello (conosciuto tramite alcune incisioni di Marcantonio Raimondi del 1520).
Il quadro del Tiziano aveva un preciso significato allegorico, ben integrato nella cultura aulica, neoplatonica, del Cinquecento. La scena mostrava due donne nude e due uomini vestiti nei costumi dell’epoca. La nudità delle donne le contraddistingueva come personaggi divini, probabilmente due muse, nell’atto di far dono agli uomini delle arti della poesia e della musica. Concerto campestre metteva sulla tela la summa della visione cinquecentesca, rappresentando un mondo ideale caratterizzato dall’equilibrio e dall’armonia degli opposti (umanità e divinità, esseri umani e natura, spirito e corpo), dove la nudità era emblema di virtù, di purezza, di unione con la natura. Il quadro di Manet non cela alcun significato allegorico. Il pittore francese sostituisce i personaggi del mito con uomini e donne del suo tempo; i nuovi dei sono dei gentiluomini borghesi vestiti alla moda e la donna in primo piano, i cui abiti moderni sono ammucchiati per terra e il cui sguardo si rivolge sfrontatamente allo spettatore, sembra più una prostituta che una dea o una ninfa.

Marcantonio Raimondi, Giudizio di Paride (da Raffaello Sanzio), Dettaglio,  1515-16, Staatsgalerie Stuttgart - Public Domain via Wikipedia Commons.

Lo scandalo nasceva non dalla scelta del tema, ma dalla sua trasposizione in età moderna. Ciò che suscitava maggiormente indignazione non era solo lo sguardo licenzioso e la nudità della donna, resa con crudo realismo e ritenuta inspiegabile e inutile nel complesso della scena, ma soprattutto il fatto che quella nudità fosse stata maliziosamente collocata in un contesto contemporaneo. L’arte accademica era infarcita di nudi femminili, ma la nudità era sempre idealizzata e nobilitata dalle finalità celebrative o allegoriche delle opere e dall’ambientazione mitologica o storica delle stesse, molto lontana nel tempo e nello spazio.

Colazione sull’erba costituiva la prosaica rappresentazione di un’ineluttabile “perdita dell’innocenza”, dove la nudità, lungi dal richiamare alti e nobili ideali di purezza, si mostrava come una sfacciata provocazione alla morale e al decoro. Il formato di grandi dimensioni, tra l’altro, era tradizionalmente riservato alla pittura di storia, non a scene di genere come una colazione all’aperto. In pratica si rimproverava a Manet di aver sporcato e stravolto il linguaggio accademico della mitologia e delle allegorie e di aver sfacciatamente rappresentato delle comuni prostitute e altri personaggi perfettamente identificabili in rappresentanti dell’élite borghese parigina. E’ questa collocazione nella contemporaneità ciò che rendeva quella tela inverosimile e oscena agli occhi del pubblico francese. L’opera, priva di qualsiasi giustificazione metatestuale, appariva pertanto come una deliberata provocazione e un’offesa alla morale borghese.
Oltre alla sconvenienza e insensatezza del soggetto e alla mancanza di idealizzazione del nudo femminile, al pittore veniva rimproverata la “volgarità” dell’esecuzione pittorica, che si contrapponeva a quella tradizionale, in particolare per ciò che riguardava la stesura cromatica e la costruzione dell’impianto spaziale. Il chiaroscuro e la prospettiva erano, per la dottrina accademica, gli strumenti principali e imprescindibili del pittore, il primo necessario per modellare forme e volumi, la seconda per collocare gli stessi nello spazio. Manet, invece, riduce drasticamente e quasi abolisce i passaggi chiaroscurali, creando ampie zone di colore puro e uniforme, steso con pennellate dense e veloci. Ciò determina un’impressione di assenza di volume e di plasticità.
È una pittura priva di sfumato e impostata su violenti contrasti tra luce ed ombra, tra colori chiari e colori scuri (in particolare l’evidenza del nudo contro gli abiti maschili), tra toni caldi (ad esempio quelli della frutta fuoriuscita dal cestino rovesciato) e toni freddi (il vestito azzurro). Le forme sono sommariamente descritte, definite semplicemente per opposizione di toni, e la luce non è raggio che colpisce i corpi, ma si fonde con la qualità del colore. I particolari dello sfondo sono appena abbozzati attraverso pennellate di tinta, senza l’aiuto della linea e del disegno: ad una visione ravvicinata, il quadro si presenta come un insieme di macchie. Occorre una visione distanziata affinché l’immagine acquisti un senso di verità. Il pubblico del tempo non era di certo abituato a porsi in quest’ottica davanti a un’opera d’arte. Uno dei parametri per giudicare la bravura di un pittore era proprio la verifica a distanza ravvicinata, che consentiva di apprezzare il livello di definizione e perfezione della stesura pittorica. Tutto ciò era negato nel quadro di Manet che, al contrario, a distanza ravvicinata, mostrava solo delle forme indistinte. Questa totale libertà nell’uso dei colori, che svincolava la pittura dalla necessità del disegno, era ciò che più affascinava quei giovani pittori che faranno di Manet la loro guida ispiratrice.
Oltre alla plasticità chiaroscurale, si rimproverava la mancanza nel dipinto di una vera e propria organizzazione prospettica dello spazio. In effetti, la profondità è suggerita solo dalla giustapposizione di macchie di colore diverso e dalla presenza degli alberi, disposti in piani che si sovrappongono gli uni agli altri come in una quinta teatrale. L’assenza di profondità e di volume fa sembrare i personaggi in primo piano quasi come fossero stati ritagliati e incollati sul fondale; la donna che si sta lavando è troppo grande rispetto agli altri soggetti e alla barca ormeggiata; manca, inoltre, un confine preciso tra l’acqua e il prato, così come non c’è una netta distinzione tra i corpi solidi e lo spazio.
Manet proveniva da una ricca famiglia borghese e aveva avuto una formazione accademica, nell’atelier di Thomas Couture, dove aveva acquisito una solida tecnica. Gentiluomo elegante, colto e raffinato, disdegnava tuttavia i temi accademici, attingendo i propri soggetti prevalentemente dalle strade, mostrando sempre uno spiccato gusto per la provocazione, per la polemica, per l’attacco al moralismo borghese. Realizzava i suoi quadri in studio e solo più tardi si lascerà convincere a dipingere en plein air, raggiungendo una maggiore luminosità in senso impressionista. Ciò nonostante, benché si proclamasse pittore realista, egli non condivideva con Gustave Courbet né l’estrazione sociale, né la tecnica, né tanto meno le idee politiche. Fu sincero amico degli impressionisti, che lo consideravano loro precursore e ispiratore, ma non aderì mai al gruppo né partecipò a nessuna delle loro mostre. Manet considerò sempre il Salon, cioè il contesto della cultura ufficiale, il “vero campo di battaglia”, l’ambiente in cui un artista doveva misurarsi e affrontare il giudizio del pubblico.
Quello di questa tela non è ancora il linguaggio impressionista: il nudo non è impregnato del riverbero del terreno o degli alberi e lo sfondo è così piatto da apparire un fondale teatrale. Ma la sincerità sfrontata di quel corpo proposto senza pretesti allegorici o mitologici, quel rimando alle fonti classiche così ardito e provocatorio, quell’apertura al mondo della vita, così lontano da quello delle accademie e dei musei, quella natura ricercata nell’apparenza di una sensazione luminosa, fanno di questo dipinto una pietra miliare del nuovo che avanza, destinato a ribaltare i canoni della tradizione.
Quella di Manet e degli altri Impressionisti fu una svolta epocale, che fu prima di tutto una rivoluzione ottica. Essi scoprirono come l’arte tradizionale avesse elaborato un modo per rappresentare uomini e oggetti in condizioni quanto mai artificiali, facendo posare i modelli negli studi dove la luce entra dalla finestra, e usando il chiaroscuro, cioè il graduale passaggio dalla luce all’ombra, per suggerire l’idea del volume e della consistenza. Ma la rappresentazione delle forme si era talmente consolidata in questo artificio, da dimenticare come all’aria aperta non sia possibile cogliere le gradazioni di passaggio dall’ombra alla luce. Guardando la natura all’aria aperta, noi non vediamo oggetti singoli, ciascuno con il suo colore, ma piuttosto una mescolanza di toni che si fondono nell’insieme della percezione. Alla luce del sole i contrasti sono netti, senza passaggi graduali; gli oggetti sono molto più brillanti, e anche le ombre non sono così uniformemente grigie o nere, dato che la luce, riverberandosi dagli oggetti circostanti, influisce sul colore delle parti in ombra. La pittura degli impressionisti, insomma, vuole affidarsi all’autenticità della percezione dell’occhio e non al pregiudizio di come gli oggetti dovrebbero apparire secondo le regole accademiche. Essi vogliono dipingere ciò che vedono, non ciò che conoscono, “sostituendo un’arte di percezione a un’arte di concetto e rivendicando così all’opera il diritto a essere giudicata per se stessa e non per la sua corrispondenza a principi a essa estranei” (B. Denvir, Impressionismo).

Monet, Déjeuner sur l'herbe, 1865-66, Musée d'Orsay - Public Domain via Wikipedia Commons.

Gli impressionisti non rappresentano la realtà così com’è, nelle sue forme e colori definiti, come si darebbe in un ambiente ideale, ma la realtà immersa in una natura continuamente cangiante. Come i romantici, essi affermano il principio della soggettività dell’autore, il primato della visione individuale, ma la natura da essi rappresentata non è quella eterna e infinita dei romantici, ma quella che si offre all’occhio umano in un’impressione fuggevole.
L’Impressionismo è l’arte del transeunte, del perenne mutamento delle cose, svelato dall’incessante mutamento della luce che le colpisce o le mette in ombra. “Nell’impressionismo, l’uomo esprime – per la prima volta nella storia della pittura – la poesia dell’attimo che passa, della luce che sfiora e cambia, senza sosta, la materia delle cose”, scrive Flavio Caroli (Il volto e l’anima della natura). E infatti, con questo dipinto Manet si proclama pittore di sensazioni, non più di personaggi o di allegorie, e ciò gli vale a conquistarsi, oltre alle critiche scontate degli ambienti artistici ufficiali, anche l’ammirazione di quelli che saranno gli artisti della nuova generazione e che da allora lo considereranno l’ispiratore dell’Impressionismo. L’importanza di questo capolavoro è anche dimostrata dal fatto che il soggetto verrà ripreso da altri grandi come Monet, che realizzò una propria versione de Le Déjeuner sur l’herbe, molto più rispondente ai principi dell’Impressionismo, e come Cézanne.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

F. Caroli, Il volto e l’anima della natura, Mondadori 2009.
B. Denvir, Impressionismo, Giunti 1997.
E. H. Gombrich, La storia dell’arte, Leonardo Arte 1995.
G.G. Lemaire, Manet, Giunti 2005.
F. Licht, Manet, Jaca Book 1998.
Gilles Neret, Manet, Taschen.
G. Nifosì, L’arte svelata. Ottocento, Novecento, XXI secolo, Laterza.

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