I reel, nella loro brevità ipnotica, rappresentano l’unità minima della visione contemporanea: micro-narrazioni autoreferenziali in loop, concepite per durare pochi secondi, ma strutturate in modo da stimolare un desiderio immediato di ripetizione. La loro efficacia risiede nella continuità del flusso: lo scrolling, cioè il gesto meccanico e reiterato del dito sullo schermo, diventa un rituale di attenzione automatizzata, una forma di trance percettiva che dissolve la percezione del tempo. In questa economia dello sguardo, la visione non si dirige più verso un contenuto specifico, ma verso l’atto stesso del passaggio, dell’attesa di un’immagine successiva che possa suscitare una micro-gratificazione dopaminica. L’immagine non è più fine, ma stimolo: serve a tenere vivo il circuito della ricompensa, più che a trasmettere significato.
Con l’avvento dei modelli di intelligenza artificiale generativa, anche questo universo di immagini, fatto di gesti buffi, affettivi o sorprendenti di animali domestici e non, è stato assorbito nella produzione sintetica. I gattini, protagonisti assoluti della cultura visuale dei social, sono ora replicati da un algoritmo che ne imita movenze, espressioni, emozioni, fino a produrre una parodia perfetta del reale. L’IA riproduce in modo iperreale e prevedibile ciò che un tempo apparteneva alla spontaneità del vivente.
Questi video “di animali” generati artificialmente mantengono intatto il loro potere di fascinazione: gli utenti li commentano con lo stesso trasporto ingenuo, come se fossero reali, e anche quando qualcuno segnala la presenza del marchio “Sora”, la risposta è spesso indifferente: “sono carini lo stesso”. È un segnale eloquente: l’autenticità non è più un criterio di valore, ciò che conta è la capacità dell’immagine di attivare in noi le stesse risposte emotive. La dopamina digitale, in fondo, non distingue l’origine biologica da quella algoritmica dello stimolo. In questo senso, il “mondo sintetico” non si limita a imitare il reale, ma ne ingloba l’immaginario affettivo, appropriandosi delle sue icone più universali - i gatti, i cani, i cuccioli - per restituirle in una versione potenziata.
Ma se l’intelligenza artificiale genera oggi ogni tipo di video - umani, paesaggi, oggetti, eventi - perché soffermarsi proprio su quelli che hanno per protagonisti i gatti, i cani o altri animali? Perché è qui che la mutazione culturale diventa più rivelatrice.
L’irruzione dei video sintetici in questo ambito segna quindi una soglia critica: anche ciò che un tempo rappresentava la purezza del vivente - la zampata dispettosa del gatto, la premurosità di mamma orsa, l’esitazione disarmante del bambino - viene ora assimilato nel regime della simulazione, riprodotto secondo un’idea algoritmica di naturalezza. L’innocenza diventa un effetto estetico, una superficie programmata di emozione. È come se il mondo sintetico avesse conquistato l’ultima riserva di realtà affettiva dell’immaginario digitale: gli animali e i bambini erano gli ultimi “attori non attoriali”, garanti di una verità spontanea. Ora anche quella soglia è oltrepassata. Ciò che rimane non è più l’animale in sé, ma l’immagine dell’innocenza, resa infinita, replicabile e priva di rischio.
Così, l’alterità vivente, che un tempo ci sorprendeva e ci ricordava il limite del nostro controllo, è diventata una figura estetica dell’addomesticamento totale: la natura stessa, resa algoritmo, pattern computabile, segno estetico di una tenerezza o di una imprevedibilità simulata. I gattini segnano così una ulteriore tappa del processo di colonizzazione dell’immaginario quotidiano da parte del sintetico.

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