sabato 30 marzo 2019

Il corpo barocco tra metamorfosi e sensualità

Gian Lorenzo Bernini, “Il ratto di Proserpina”, particolare, 1621-22, Galleria Borghese, Roma.


Il corpo è il luogo dove si esplica l’estetica barocca: contorsioni estreme, deformazioni e tensioni, instabilità e movimento di forme che sembrano nascere dall’ombra, plasmate e modellate dalla luce. Pittura e scultura sono il teatro del corpo, che occupa la scena declinato nelle sue manifestazioni più conturbanti: la metamorfosi, il martirio, l'estasi della carne.
L’arte del Seicento è sontuosamente scenografica, teatrale e propagandistica; essa mira alla seduzione dei sensi, allo scatenamento dell'immaginazione, allo spettacolo stupefacente e coinvolgente. Il corpo barocco è un corpo teatrale. Nell'atteggiamento delle figure è evidente il passaggio dal gesto naturale a quello espressivo, con una palese derivazione dalla mimica del teatro; i personaggi hanno una gestualità marcatamente retorica, inscenante situazioni fortemente emotive: il dolore, l'estasi, il delirio.

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, particolare, 1622-25, Galleria Borghese, Roma.

Il Seicento è il secolo della crisi, che vive lo spaesamento generato dalle inquietudini religiose, dalle nuove scoperte scientifiche e geografiche, che determinano il disfarsi e il rifarsi del mondo in forme del tutto nuove. Di fronte a questa inafferrabile mutevolezza del reale, lontana dall’ordine rinascimentale, anche l’arte si fa inquieta. L'estetica Barocca rifugge l’equilibrio e l’armonia unitaria, prediligendo la forma fluida e irregolare. Essa è permeata dai motivi dell'instabile e del mutevole, dell'illusione, dell'apparenza, della metamorfosi, del moto continuo. Come la nuova cosmologia afferma che tutto l’universo è animato dal movimento perenne, così l’arte interpreta in modo cinetico le sue rappresentazioni. Il nuovo spazio è uno spazio dinamico. Niente più è fermo e stabile. Tutto si muove, i personaggi sono colti nel momento culminante dell'azione, e si predilige la trasformazione, il mutamento, la rappresentazione dell’attimo fugace. La grande fortuna del tema della metamorfosi è legata a questa percezione della realtà come continuo movimento e trasformazione, dove tutto muta senza sosta in qualcos’altro. Ogni cosa è mobile, inconsistente, effimera, illusoria.

Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25, Galleria Borghese, Roma.

Un esempio magnifico di questa estetica della metamorfosi è il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini “Apollo e Dafne” (storia tratta, appunto, dalle “Metamorfosi” di Ovidio), che rappresenta i due protagonisti nel momento in cui si sta compiendo la trasformazione di Dafne in una pianta di alloro: le dita dei piedi stanno divenendo radici, la corteccia lignea sta ricoprendo il corpo, i capelli e le mani si stanno tramutando in rami e foglie. L’autore ha deciso di fermare nel marmo il momento in cui comincia la metamorfosi. La figura sinuosa della fanciulla è ancora riconoscibile, ma reca già i segni di ciò in cui si sta trasformando. La postura dei corpi è resa con estremo dinamismo, che dà l’illusione del movimento. L’uso esclusivo di linee curve conferisce alla composizione una sensazione di leggerezza e una forma a spirale, una forma, cioè, senza fine e senza compimento, che si prolunga e si avvita indefinitamente nello spazio.
Il gruppo scultoreo di Bernini si può considerare la realizzazione perfetta di un tema centrale nell’immaginario barocco, qual è appunto quello delle metamorfosi. Attraverso il mito di Apollo e Dafne l’autore mette in scena l’instabilità delle forme, mostrando il loro perenne mutare e disfarsi: tutto è precario e variabile, persino il confine tra animato e inanimato, tra mondo umano e mondo vegetale.

Gian Lorenzo Bernini, “Il ratto di Proserpina”, 1621-22, Galleria Borghese, Roma.

L’opera, da qualunque parte la si guardi, appare frammentata in particolari e in punti di vista che impediscono la fruizione complessiva del tutto. Il medesimo discorso sulla molteplicità dei punti di vista può essere esteso ad altre opere del Bernini, come ad esempio l'altrettanto dinamico e spettacolare "Ratto di Proserpina". La scultura è caratterizzata da una volitiva sensualità, evidente nella violenta stretta di Plutone sulla pelle morbida e luminosa della giovane fanciulla. Il modo in cui le dita del dio si immergono nella carne assume una valenza profondamente perturbante.
Grande sensualità emana anche dalla nudità di tante figure di donne che affollano i quadri di questo periodo: Danae, Venere, Cleopatra, Lucrezia e innumerevoli altri personaggi del mito e della storia sono rappresentati in atteggiamenti che vanno dall’abbandono languido alla seduzione dello sguardo e delle carni procaci alle manifestazioni di violenta drammaticità e tensione emotiva.

Artemisia Gentileschi, Cleopatra, 1635.

La sensualità si spinge ad esprimere anche l’esperienza del sacro. I corpi dei martiri sono esibiti nella loro nudità ferita e sofferente mentre vengono sottoposti ad atroci supplizi, quelli dei santi sono percorsi dall’emozione dell’estasi. Il pathos e la voluttuosità della carne si mescolano insieme; il corpo lacerato o in rapimento mistico conserva un’espressione sensuale e conturbante.
Si vedano a questo proposito le rappresentazioni barocche di figure come quella di San Sebastiano e della Maddalena penitente, pervase da un erotismo quasi tattile, in cui l’estasi spirituale si manifesta come un’esperienza prevalentemente dei sensi.
La Maddalena, relegata dalla cultura occidentale al ruolo di prostituta redenta, è spesso esplicitamente caratterizzata nei suoi elementi sessuali. È raffigurata quasi sempre a seno nudo, con lunghi e sensuali capelli e giovane e luminosa carnagione, un’immagine che sembra destinata più al godimento degli occhi che al fervore devozionale.

Maestro della Maddalena di Capodimonte, Maddalena penitente, XVII sec., Museo Regionale di Messina.

Cagnacci Guido (attr.), Maddalena penitente (o in estasi), 1626, Roma, Palazzo Barberini

Jusepe de Ribera - Maria Maddalena penitente - Museo de Bellas Artes de Bilbao.

Peccatrice e nello stesso tempo penitente, prostituta e nello stesso tempo santa, il suo personaggio è raffigurato nell’ambivalenza di sacro e profano, in un equilibrio mutevole tra la sensualità della peccatrice e la sua ascesi spirituale nel pentimento. L’oscillazione tra sofferenza e peccato, spiritualità ed erotismo, penitenza e lascivia, che caratterizza l’iconografia maddaleniana soprattutto dopo la Controriforma, è ben visibile in un dipinto attribuito a Guido Cagnacci, in cui l’espressione del viso e l’arcuarsi del corpo della Maddalena in estasi oscillano tra il rapimento mistico e il piacere carnale.
Una delle opere che meglio incarnano il connubio barocco di pathos e sensualità è indubbiamente l’Estasi di santa Teresa d’Avila nella cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria a Roma, realizzata da Gian Lorenzo Bernini. L’autore, in questa come nella maggior parte della sua produzione artistica, fa di tutto per provocare la totale immersione dello spettatore nell’opera.
All’interno di una nicchia, adagiata su una nuvola di marmo che sembra effettivamente sospesa da terra, giace la santa in rapimento mistico. Un angelo davanti a lei si prepara a trafiggere (trasverberare) il suo corpo con una freccia.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, particolare, 1647-1652, marmi policromi e bronzo, chiesa di Santa Maria della Vittoria, cappella Cornaro, Roma.

Tutta l’opera appare sospesa nel vuoto, mentre il corpo della santa è attraversato da una forte tensione, che lo tiene sollevato in una sorta di spasmo. Il volto estatico, con la testa e gli occhi riversi all’indietro, diviene la manifestazione dell’esteriorizzazione dell’anima nel suo incontro con il divino.
Molto è stato discusso a proposito dell’ambiguità del rapimento della santa, espressione di estasi mistica, ma nel contempo di sensualità. La posizione supina del corpo, la testa reclinata all’indietro, la mano e il piede abbandonati, gli occhi socchiusi e le labbra aperte come per un sospiro o gemito, mentre si offre alla freccia dell’angelo, hanno spesso dato adito a interpretazioni di significato espressamente sessuale. L’esperienza mistica di queste figure di sante richiama l’abbandono dell’esperienza erotica. Le rappresentazioni sacre promanano la stessa carnalità di quelle profane.
Il corpo barocco si espande nella realtà fino a dove giungono i sensi, diventando vettore di un nuovo messaggio religioso e politico. La pratica della Controriforma non mortifica i turbamenti della carne, ma trova il modo di imbrigliarli in un nuovo sistema di potere e di controllo, che è anche iconografico, facendo del corpo lo strumento, a disposizione di tutti i fedeli, per unirsi a Dio e sottomettersi, nel contempo, all’autorità della Chiesa.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi della beata Ludovica Albertoni, 1671-74, Chiesa di San Francesco a Ripa, Roma.

Guido Reni, San Sebastiano, 1615 circa; Genova, Palazzo Rosso.

Guido Reni, San Sebastiano, 1640-1642, Bologna, Pinacoteca Nazionale.
Guido Reni, San Sebastiano, 1625 ca., Auckland Art Gallery, Auckland.


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