sabato 2 giugno 2018

Ombre con le scarpe da tennis. Pol Úbeda Hervàs



Cambiare e non riconoscersi più. E’ questo il messaggio, o meglio, la condizione esistenziale alla base della serie “I’m not there” di Pol Úbeda Hervàs, fotografo spagnolo e direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria di Barcellona.
Scrive l’artista: «Io non mi riconosco più. Queste foto esprimono questo sentimento. Queste immagini sono il mio modo di vedere me stesso ora».
Hervas non spiega la natura delle esperienze che lo hanno costretto a mettere in discussione la propria identità, ma accompagna le sue immagini con queste parole: «Come facciamo ad accettare che stiamo cambiando? Come accettiamo di vedere noi stessi in una situazione in cui non possiamo riconoscerci? Non sto reagendo con la stessa modalità con la quale ho reagito in alcune situazioni. Mi sorprendo di me stesso, non mi riconosco più. Queste foto esprimono questo sentimento. Sono l’ombra nella foto, ma non il mio corpo, perché io ancora non so chi sono. Ma tengo le scarpe per assicurarmi che io sia più di una semplice ombra».

Capita a tutti, prima o poi, di attraversare un periodo di cambiamento e di non riconoscersi più. Per questo l’artista ha cancellato digitalmente il proprio corpo, lasciando solo l’ombra e un paio di scarpe, simulacri di un’esistenza ancora in atto, segnali di un qualcosa che continua ad essere, ma che gli occhi non riconoscono più, in quanto diverso, mutato in altro.


Il paradosso visivo crea un impatto surreale, che disorienta lo spettatore. Un’ombra è sempre prodotta da un corpo solido, che qui, però, non c’è. Lo smarrimento dello sguardo di chi osserva le foto ricalca lo stesso turbamento dell’autore, conseguente al non riconoscersi più.
Restano l’ombra e le scarpe quali indizi - “indici”, si potrebbe dire – di un corpo non visibile, di un’identità sfuggente. E’ la rappresentazione di uno stato di sospensione e di transizione, l’attesa di un nuovo io.


L’ombra resta a testimoniare una presenza, ma non basta. Il mondo della fotografia, lo abbiamo visto, è pieno di ombre portate e, la percezione di esse, porta a includere virtualmente nella scena il corpo rimasto fuori campo. Sono le scarpe a determinare il vero paradosso visivo, a renderci evidente l’assenza, perché un’ombra è sempre il prodotto sfuggente di un istante effimero, mentre le scarpe condensano la memoria di una storia vissuta. Colpisce come in quasi tutte le immagini della serie compaia sempre lo stesso paio di scarpe da tennis, tranne in quella ambientata in un campo, guarda caso, da tennis, dove invece – ed è paradossale – vediamo un paio di ciabatte, quasi a testimoniare un senso non solo di smarrimento, ma anche di inadeguatezza.




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