domenica 18 settembre 2016

L'uomo e la natura - Alessandro Magnasco. Le ombre del Settecento

Alessandro Magnasco, L'esorcismo delle onde, 1735-1740 ca., Memorial Art Gallery of the University of Rochester.
Visionario e geniale, plumbeo e anticonformista, irriverente e provocatorio, a tratti funereo e spettrale, di sicuro originalissimo, Alessandro Magnasco, detto il Lissandrino, è un pittore singolare e affascinante. Genovese di nascita, ma formatosi a Milano, a Firenze fa la conoscenza dei “capricci” di Salvator Rosa e delle incisioni di Jacques Callot.
Le sue tele, lontane dal gusto estetizzante del rococò, si popolano di monaci laceri ed emaciati, zingari, saltimbanchi, accattoni, soldati, briganti, quaccheri e lavandaie, maestose rovine e sottofondi claustrali: in esse un beffardo umorismo si alterna a un sulfureo delirio, sottolineato dalle figure aguzze e deformate, dalle atmosfere iniettate di tenebra, dalle pennellate rapide e guizzanti, dalla sintassi narrativa melodrammatica e teatrale.

I violenti contrasti di luce e di ombra, la tensione delle forme, l'esasperata caratterizzazione dei gesti e delle espressioni qui concorrono a tessere una pittura fortemente antiretorica e antiaccademica, uno sguardo impietoso sui vizi e sulle debolezze umane, sulla violenza e l'abiezione che seguono guerre e carestie, uno sguardo che mostra i segni precoci del vento illuminista che soffierà contro la superstizione religiosa e l’oscurantismo. Alcuni suoi quadri come il “Refettorio dei monaci” (Bassano, Museo Civico), la “Lezione di Catechismo” (Seitenstetten, Abbazia), “Il furto sacrilego”, (Milano, Quadreria arcivescovile) sono quanto di più impressionante sia stato dipinto nel Settecento. Storie di emarginati e di umili, di laidezza e miseria, di corruzione e di degrado morale, di violenza e di battaglie pitocchesche, che rivelano uno sguardo lucido e critico, che respinge la decorazione, i soggetti nobili e la grande pittura celebrativa per dipingere non tanto le luci di quel secolo appena iniziato, ma soprattutto le ombre dense e i dubbi irrisolti.
Tornato a Genova nel 1732, Magnasco si dedica alla pittura di grandi paesaggi, del mare e delle tempeste, di pescatori e di naufraghi. Campagne sotto la bufera, alberi squassati dai fulmini, burrasche marine sono gli scenari ricorrenti. La sua è una natura tormentata, che irrompe nella scena come una furia sfuggendo al controllo dell'uomo; un cataclisma che avvolge tutto e rispetto al quale non c'è nulla che possa offrire rifugio: «nessuno mai prima aveva fatto sibilare il vento e muggire le onde così», scrive il Sambon.

Paesaggio con sant'Agostino e il bambino, 1730-40, Genova, Museo di Palazzo Bianco.

Il quadro Paesaggio con sant'Agostino e il bambino raffigura un celebre episodio della storia agostiniana, che grande fortuna ha avuto nell'iconografia del santo. Un giorno, sant’Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S’avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l’acqua del mare in una buca. Incuriosito dall'operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant'Agostino spiegò pazientemente l’impossibilità dell’intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario». E detto questo sparì. L’attribuzione dell’episodio a Sant’Agostino si fonda su una lettera apocrifa a Cirillo dove Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum? Cioè: «Agostino, Agostino che cosa cerchi? Pensi forse di poter mettere tutto il mare nella tua nave?».
In questa scena burrascosa, dove le onde sembrano voler sommergere ogni cosa, Agostino e il Bambino sembrano minuscoli e indifesi di fronte alla drammaticità dell'evento che si sta sviluppando intorno a loro. L'unico edificio presente è una torre diroccata, tra l'altro irraggiungibile e ghermita anch'essa dai flutti. Protagonista sembra essere il vento, che sconvolge la natura e sfrangia le vesti del vecchio santo, la cui figura sfilacciata mostra come il pittore si sia completamente affrancato dai canoni figurativi.
In quest’opera della maturità si rivela la stupefacente padronanza di Magnasco della tecnica di pittura "a tocco", rapida e guizzante. Il suo genio gli permette di tenere uniti sulla tela il dramma e lo scherno, il tormento e l'ironia, il naturalismo e la visione onirica, restituendoci efficacemente l'inquietudine che pervade l'Europa alla vigilia dei grandi sconvolgimenti che porteranno alla caduta dell'Ancien Régime.

Alessandro Magnasco, Cristo salva Pietro dalle acque, 1740 ca, Washington, National Gallery of Art.
Alessandro Magnasco, Eremita nel deserto.



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