Giorgione, La Tempesta, 1502-1505 ca., Gallerie dell'Accademia a Venezia. |
Non si contano le ipotesi interpretative avanzate, spaziando dall'ambito religioso a quello letterario, dal mitologico all'esoterico. Tutte a ricercare il significato nascosto dei vari elementi presenti in scena. Ma in questo caso si rischia davvero che l'elenco delle probabili allusioni simboliche diventi estenuante. Forse la domanda più assennata è: ha senso cercare un'interpretazione a tutti i costi, anche a costo di ricoprire l'opera di una spessa crosta di stratificazioni esegetiche che rischiano di sottrarla definitivamente al nostro sguardo e che possono soprattutto rompere il magnifico incanto di questa atmosfera onirica e sospesa che esercita un potere ipnotico sullo spettatore?
La prima impressione è che la scena non racconti una storia precisa, ma assembli degli elementi scollegati che attendono di essere ricomposti. E' come, insomma, se ci trovassimo dentro un sogno, nel quale non vige un nesso lineare di correlazioni, ma più elementi sono accostati insieme con una logica ermetica che risponde a criteri oscuri, che ci sfuggono e che non riusciamo a controllare e razionalizzare completamente. Non ci si spiega, ad esempio, l'eterogeneità degli elementi architettonici presenti, le colonne spezzate, il muro incompiuto; lasciano stupiti l'isolamento e l'estraneità dei personaggi. Essi paiono vivere in due mondi paralleli: appartengono infatti a due diversi piani prospettici e le loro dimensioni non sono congruenti. La donna, prospetticamente arretrata rispetto all’uomo, ne ha tuttavia la stessa statura. Ma siccome è da escludersi l'ingenuità dell'incoerenza prospettica, si può solo supporre che il pittore intendesse, ricorrendo agli strumenti propri della pittura, rappresentare proprio l'appartenenza dei due personaggi a due universi distinti e incomunicabili. Secondo l'interpretazione di uno dei più acuti studiosi del Giorgione, Edgar Wind, il soggetto della Tempesta potrebbe consistere in “pochi simboli rinascimentali ben collaudati evocativamente giustapposti”, magari richiesti dallo stesso committente dell'opera (come era uso all'epoca), in una sorta di rebus visivo che forse solo i contemporanei potevano decifrare. Lo stesso Wind suppone che la Tempesta sia un’allegoria di Carità (la donna) e Fortezza (l’uomo) associati alla Fortuna (il fulmine).
Altre interpretazioni hanno voluto vedere in queste figure umane le fattezze iconiche di diversi personaggi della religione, del mito e della letteratura, da Adamo ed Eva, a Giuseppe e Maria, ad Adrasto e Hypsipyle, a Deucalione e Pirra, solo per citarne alcuni. Alcuni le hanno identificate con la famiglia stessa del Giorgione. La prima testimonianza scritta, di Marcantonio Michiel, descrive l'opera come un "paeseto in tela cum la tempesta cum la cingana [zingara] et soldato". Fiumi di inchiostro sono stati versati alla ricerca del rimando simbolico e allegorico di queste figure, ma, a meno di ulteriori scoperte, difficilmente si potrà raggiungere una interpretazione convincente e accettata da tutti gli studiosi.
Più suscettibile di sviluppi è forse concentrarsi sulla visione del dipinto nel suo insieme. Se si abbandona l'ossessione di spiegare l'identità e la funzione di quelle enigmatiche figure, si scopre che il dato più significativo dell'opera è il paesaggio alle loro spalle. Vale qui la pena ribadire che La Tempesta è stato il primo dipinto al quale è stato applicato il termine "paesaggio".
Al tempo di Giorgione, Venezia vive il culmine della sua gloria politica ed economica e della sua identità di crocevia culturale. Anche l'antica città lagunare conosce il suo Rinascimento, rielaborato in maniera del tutto originale, che si distacca dalla rigidità intellettualistica e matematica dei toscani, perché Venezia è una città acquatica aperta a mille contaminazioni, una città che si muove, che fluttua e che vibra di riverberi e di sfumature. Ed ecco che in pittura prevale il tonalismo e la mancanza di contorni netti (di derivazione leonardesca). Gli inizi del Cinquecento vedono altresì l'inizio del declino della supremazia sul mare della Serenissima, che pertanto intensifica l'espansione nell'entroterra, dove vengono realizzate le bonifiche dei terreni paludosi e viene avviata la costruzione di grandi ville. Lo sguardo si sposta pertanto verso la campagna e il paesaggio agreste.
Proprio il paesaggio diventa così un elemento fondamentale anche nella pittura, da Giovanni Bellini a Tiziano fino a Veronese e Tintoretto, e Giorgione è il rappresentante forse più significativo di questa svolta, in quanto nelle sue opere (tranne nei ritratti) sono sempre presenti il paesaggio e la natura, non in quanto mera cornice della scena, ma come comprimari. Il critico Lionello Venturi ha scritto che la natura è il soggetto di quest'opera, pervasa da un afflato panteistico. In effetti, le figure umane si inseriscono nella scena come elementi secondari, decentrati. Protagonista della “Tempesta” è la natura stessa come manifestazione di fenomeni e sprigionarsi di forze: lo scoppio del fulmine, il bagliore che riveste le cose di una luce irreale, l'acqua del fiume che si incupisce riflettendo il tumulto del cielo, l'avvolgersi nell'ombra degli alberi e delle zolle in primo piano.
La pittura tonale, che consente a Giorgione di eseguire paesaggi e figure quasi senza ricorso al disegno, permette una fedele rappresentazione delle forme naturali nei loro instabili e mutabili aspetti, una più vitale espressione delle cose attraverso i valori di luce e colore. Il pittore inoltre riesce ad armonizzare le variazioni di tono dell'intera composizione grazie all'uso di una dominante cromatica.
Per mezzo del tonalismo e dello sfumato si verifica una stretta compenetrazione tra l'uomo e la natura: il colore e la luce si trasmettono senza soluzione di continuità dal suolo alle persone, dalla vegetazione ai resti architettonici, dal cielo livido all'acqua del fiume, in una comunicazione intima di tutti gli elementi della scena. Cielo e fuoco, terra e acqua, piante, uomini e architetture si fondono insieme in una grande sinfonia di colori e di vibrazioni luminose e musicali, rendendo coerente l'incongruenza, uniforme e armoniosa la frammentarietà iconica presente nel quadro.
Giorgione, Venere dormiente, 1507-10 ca., Gemäldegalerie di Dresda. |
Nei paesaggi della pittura veneziana irrompe il paesaggio, con la sua energia e il suo mistero. Non si tratta più, come nella pittura toscana, di un'idea di natura geometrizzata e asservita alla prospettiva oppure di una natura ancillare rispetto alla storia raccontata in primo piano, di cui costituisce un semplice sfondo. Nell'arte veneta, e in Giorgione in modo particolare, è protagonista una natura sottratta alla grandi narrazioni dell'assoluto e restituita alla sua quotidianità.
Giorgione, Tre filosofi, 1506-08 ca., Kunsthistorisches Museum, Vienna. |
|
Nessun commento:
Posta un commento