Sono tanti i film che raccontano la rivoluzione russa: “Ottobre”, 1927, di Ejzenštejn; Il dottor Zhivago, 1965, di David Lean; Rivoluzione d'ottobre, 1967, di Frederic Rossif; Reds,1981, di Warren Beatty; I dieci giorni che sconvolsero il mondo, 1982, di Sergej Bondarchuk; Arca russa, 2002, di Aleksandr Sokurov. Ma, sebbene non ambientato nel ’17, ma dodici anni prima, durante il movimento insurrezionale del 1905, il film che ho scelto per inquadrare la rivoluzione d’ottobre è il celebre “La Corazzata Potëmkin” (Bronenosec Potëmkin), 1925, di Sergej Ejzenštejn.
E so benissimo che, leggendo questo titolo, il primo pensiero va subito alla celebre battuta del ragionier Ugo Fantozzi. E' inevitabile. Ormai fa parte dell'immaginario collettivo. Icona nell'icona. Ma perché il nostro nazionalpopolare impiegato-tipo e i suoi colleghi mettono su un tentativo di rivolta proprio dopo la visione del film? Che siano stati contagiati dallo slancio rivoluzionario di quelle scene? Ma adesso lasciamo perdere il nostro ragioniere e passiamo al film.
La pellicola nasce appunto come film celebrativo del ventesimo anniversario della rivolta armata del 1905.
La trama è nota: l’equipaggio della corazzata Potëmkin, ancorata al largo del porto di Odessa, si ribella ai propri superiori che vogliono costringere i marinai a mangiare il rancio avariato, costituito da porzioni di carne putrefatta e piena di vermi. La ribellione si scatena quando le autorità ordinano la fucilazione dei marinai che si sono rifiutati di mangiare il pasto distribuito: il plotone incaricato di far fuoco sui propri compagni disubbidisce all'ordine dando il via all'ammutinamento vero e proprio. I marinai assumono il totale controllo della nave, ma negli scontri a bordo contro gli ufficiali rimane ucciso l’eroico marinaio Vakulinčuk, colui che aveva dato inizio alla rivolta. Il suo corpo viene composto e trasportato nel porto di Odessa, dove la popolazione civile in processione gli rende onore e fraternizza con l’equipaggio della corazzata. Ma arrivano i cosacchi dello zar, che puniscono gli abitanti di Odessa, colpevoli di solidarietà agli insorti, sparando senza pietà sulla folla riunita sulla scalinata del porto, facendo strage di uomini, donne, vecchi e bambini. La flotta zarista, giunta per sedare la rivolta, però si rifiuta di sparare con i cannoni contro la corazzata e permette alla nave di riprendere il mare e alzare la bandiera rossa.
Il film, che rispecchia la struttura della tragedia in cinque atti, nel 1949 è stato dichiarato, da una giuria internazionale riunita in Svizzera, il miglior film del secolo e nel 1958 tale verdetto fu confermato alla Esposizione Mondiale. Fu proiettato la prima volta a Mosca nel 1925, ma ostacoli di carattere burocratico e politico impedirono la messa in circolazione della pellicola nel resto d'Europa, nei cui teatri venne distribuita (tagliata e deturpata) solo nel 1952.
Innumerevoli sono le interpretazioni e i giudizi dati a questa pellicola: si va dalla volgare opera di propaganda politica al documentario storico (poco fedele), al dramma lirico stile tragedia greca al puro esercizio formale ed estetico di composizioni plastiche.
Qualunque opinione si possa nutrire per questa opera (in linea o meno con il giudizio fantozziano), resta il fatto che La Corazzata Potëmkin è un film icona del XX secolo, che ha rivoluzionato la storia del cinema, non fosse altro che per le novità costituite dal montaggio delle scene, senza dubbio influenzate dal costruttivismo e dal formalismo russi. L’organizzazione del materiale e delle scene dei film di Ejzenštejn, infatti, non segue uno schema drammatico-narrativo classico (trama che si svolge lungo un tempo lineare) quanto piuttosto dei criteri formali, retorici, incentrati sulla predominanza del momento del montaggio (la narrazione si sviluppa su di un tempo discontinuo).
La corazzata Potëmkin è una vorticosa sequenza di oltre mille inquadrature, ognuna delle quali dura al massimo tre secondi, concedendo alla visione solo dei brevi attimi di respiro nel passaggio dai primi piani ai campi lunghi. Persino le didascalie si susseguono a ritmo forsennato, costituendo quasi esclusivamente dei momenti di raccordo tra una scena e la successiva, perché questo film è costruito quasi tutto sulle immagini e sul loro ritmo, che riescono a creare uno stupefacente coinvolgimento emotivo, carico di vigore simbolico. Ne scaturisce una straordinaria ricchezza visiva che mette insieme momenti lirici e momenti epici, realismo documentarista e linguaggio sperimentale, dove la costruzione drammatica è animata, episodio dopo episodio, dal movimento dialettico costituito dallo slancio rivoluzionario, che determina lo sviluppo di tutto il film, simbolizzato dal leone di marmo che si risveglia e ruggisce.
Il Potëmkin è espressione applicata di quello che il regista definiva “montaggio delle attrazioni” (detto montaggio concettuale o intellettuale): secondo Ejzenštejn "il montaggio è un'idea che nasce dallo scontro di inquadrature indipendenti o addirittura opposte l'una all'altra" per cui attraverso il montaggio non si crea soltanto il movimento fisico, ma anche il movimento delle idee. Rispetto al montaggio invisibile del cinema occidentale, questo tipo di montaggio parallelo evidenzia i tagli, perché lo spettatore non deve essere guidato dentro la storia, ma deve avere un ruolo attivo nella costruzione del senso. Quest’ultima è affidata allo shock provocato dall’accostamento di due inquadrature, una di seguito all’altra. Mettendo insieme due inquadrature indipendenti, o addirittura contrapposte, si ha come risultato la percezione di un’idea diversa dalla somma delle prime due, logicamente e meccanicamente non legata ad esse, ma alla loro connessione. Il montaggio concettuale divide l’azione in una sequenza di inquadrature molto frammentate, rompendo la continuità dell’azione. Esso non vuole coinvolgere lo spettatore dentro una narrazione lineare, ma vuole colpirlo, scuoterlo dalla sua passività, renderlo partecipe della costruzione del senso. Questo montaggio non-narrativo sarà ancora più incisivo in un’opera successiva, “Ottobre”, del 1927, che racconta, in modo fortemente simbolico, la rivoluzione del ’17.
La potenza trascinante e angosciosa della sequenza della scalinata è ottenuta invece con l'uso di quello che lo stesso regista chiama montaggio ritmico: la tensione, per accelerazione di tempi, è raggiunta accorciando progressivamente la durata delle inquadrature, ma anche inserendo elementi di maggiore intensità e con un tempo diverso. Questa scena, intrisa di violenza e di pathos, rappresenta uno dei punti di forza più espressivi della storia cinematografica: Ejzenštejn indugia sui cadaveri, su un bambino riverso sui gradini, su una donna con l'occhio ferito e sanguinante; sulla madre che, colpita, cadendo spinge la carrozzella giù dalle scale; su baionette e stivali (i cosacchi non vengono mostrati mai in viso, al contrario della gente del popolo, che viene inquadrata soprattutto in drammatici primi piani, di grande forza espressionista); sono una serie di flash discontinui, come tanti impulsi il cui ritmo è il ritmo dell'azione, futuristicamente veloce e inarrestabile.
Contrariamente alla prassi del periodo, in questo film la scena è inquadrata da diversi punti di vista che si sovrappongono, quasi per dare di un'immagine diverse dimensioni; in questa insistenza, alcuni critici vedono un'influenza diretta del cubismo, cioè il tentativo di rappresentare su un solo piano - mediante scomposizione - un oggetto nella totalità delle sue dimensioni, creando un conflitto tra l’evento e la sua durata.
Come già nel film precedente del regista sovietico, "Sciopero", anche in questo non c’è un personaggio principale, un eroe della storia. Vera protagonista è la massa, la collettività. Ejzenštejn non utilizza attori, piuttosto ricerca "tipi" che, senza troppo caratterizzarsi individualmente, possano ben inserirsi nel carattere corale della storia. Il collettivismo è il principio estetico dell'arte proletaria (la nuova arte prende per suoi eroi non l'individuo, ma la collettività e l'uomo nella collettività), che non si basa più su un soggetto e sull'intreccio tradizionali. Già a partire da "Sciopero", il film viene elaborato eliminando la centralità delle figure individuali e la catena particolare degli avvenimenti.
L'episodio di Odessa è raccontato in modo da rappresentare simbolicamente l'intera storia rivoluzionaria russa. Ejzenstein intendeva mostrare il tutto attraverso una sua parte, coniando la prima sinnedoche cinematografica.
A questo link, lo spezzone della scalinata:
Sul cinema di questo grande regista, si veda l'imperdibile Antonio Somaini, Ejzenstejn. Il cinema, le arti, il montaggio, Piccola Biblioteca Einaudi 2011.
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