Immagine generata da Dall-E 3 usando come prompt un brano di Kant della Critica del giudizio, che descrive il sublime. |
La concezione moderna del sublime è l'apice dell'affermazione del primato del Soggetto. Edmund Burke concepiva il sublime come un'esperienza corporea e spirituale di orrore mitigata dal senso di sicurezza. Il sublime è ciò che accade quando la spinta all’autoconservazione si scontra con la paura che deriva dall’incontro con qualcosa di potente, confuso e minaccioso, con l'irrazionale e incommensurabile e questo terrore viene mitigato attraverso il sentimento di sicurezza fisica del soggetto che contempla quella manifestazione potenzialmente distruttiva.
Immanuel Kant, nella Critica del giudizio, va ancora oltre. L'esperienza del sublime riafferma la natura umana come razionale attraverso la sua capacità di concepire un'incommensurabile assenza di forma. Il soggetto si determina rivendicando la superiorità sulla natura. Il filosofo distingue tra sublime
matematico e sublime dinamico; in entrambi i casi è la potenza della ragione come forza soprasensibile a trionfare sulla natura. Siamo alla fine del XVII secolo: il farsi strada della rivoluzione copernicana e della coscienza dell’infinito aveva mandato in frantumi la rappresentazione cosmica (cioè ordinata, armonica e quindi bella) della natura. Il mondo aveva cominciato ad estendersi nell’illimitato e non aveva più né circonferenza né centro, né ordine né compiutezza. L’uomo aveva perduto la sua posizione centrale, era stato privato della sua stabile dimora nel cosmo e avvertiva un senso di abbandono, di precarietà e accidentalità della propria esistenza. Per reagire al disorientamento provato di fronte a una natura che si rivelava sempre più anomica e indifferente alle esigenze umane, la civiltà europea della metà del Settecento elabora il sentimento del sublime.
In questa visione moderna, il sublime viene esplorato a livello di contenuto lasciando intatta la forma dell'opera d'arte; mentre il contenuto può essere trasgressivo (il vulcano, il terremoto, la frana, il mare in tempesta, insomma l'aspetto informe della natura), la forma è tradizionale e rassicurante. L'estetica delle forme (il quadro, la scultura, il verso, la prosa letteraria) garantisce ancora il primato della ragione nella capacità di contenere e dare ordine al caos. Sono le forme a conferire quella sensazione di conforto e protezione.
Nel postmodernismo questo conforto viene meno, perché vengono meno le forme. Se la modernità preservava la rappresentazione dell'informe, dell'incommensurabile, il postmoderno rifiuta la messa in forma del non-rappresentabile e di sottoporlo all'azione ordinante della ragione. Il sublime, in questa nuova accezione, non riguarda solo i contenuti, ma mette in radicale discussione anche le forme in cui sono espressi (Lyotard).
Il postmoderno rivolge continuamente l'opera d'arte contro se stessa, minando il proprio modo di produzione. Mentre il sublime kantiano si aggrappava ancora alla certezza e alla chiarezza della forma, è proprio questa chiarezza ad essere problematizzata nel discorso postmoderno. Tutto ciò rappresenta un primo duro colpo per il primato del Soggetto razionale, che comincia a smantellare l'impalcatura della modernità.
Il sublime postmoderno è sintomatico del senso che esprime una crisi che avvolge sia i contenuti che le strutture della conoscenza, cioè una crisi epistemologica causata dal crollo e dalla perdita di fiducia nei fondamenti della conoscenza razionale. Nel sublime, la ragione raggiunge il suo limite ed entra nel dominio dell'incomprensibile, del mostruoso, del colossale, dell'irrazionale.
Immagine generata da Dall-E 3 usando come prompt un brano del pezzo finale di questo articolo. |
Qual è l'esperienza del sublime nella nostra era? La potenza computazionale delle reti neurali in grado di apprendere dai dati sembrano scalzare l'umano da ogni egemonia residua, sottraendogli il primato della capacità di svolgere ragionamenti logici, di processare informazioni e di agire in modo intelligente. L'infosfera, d'altra parte, si è rivelata un ambiente così saturo di informazioni che nessun essere umano potrebbe mai sottoporle a visione ed elaborazione, sembrando piuttosto volerlo sommergere. Ecco come si delinea il moderno sentimento del sublime: come contemplazione non della potenza della natura, ma dell'infinità dell'infosfera, dei miliardi di informazioni, immagini, testi, che ogni giorno fluiscono intorno a noi, invadendo ogni interstizio del nostro spazio e del nostro tempo, anche se la maggior parte di essi non accederà mai alla nostra esperienza sensibile.
L'oggetto di contemplazione, nel vissuto odierno del sublime, non è più la natura cieca, che dispiega ottusamente la sua potenza ma è incapace di 'vedersi' e di 'vedere'. La natura non ci guarda e non ci riconosce, mentre le macchine oggi sono in grado di farlo e sono anche in grado di manipolare e di utilizzare quelle informazioni. Ecco come si delinea il sentimento del sublime contemporaneo: come l'incontro con lo sguardo della macchina, che è in grado di vedere molto più e molto più acutamente di noi, che può guardarci e processarci, che è dotata di un 'cervello' sterminato da cui può attingere dati e connessioni, operando sintesi e trasformazioni che definiscono nuove forme persino di creatività.
Se la natura, con la sua cecità, costituiva in passato un oggetto che, nonostante la sua potenza, poteva essere contenuto e neutralizzato dalla superiorità intellettuale e morale dell'uomo, oggi siamo di fronte a una entità che difficilmente possiamo relegare al ruolo di oggetto cieco. Perché le nuove macchine hanno capacità di vedere e vedono noi come un oggetto da analizzare, usurpandoci il ruolo di soggetto assoluto della visione. Perché l'infinito - dell'infosfera - è la macchina a contenerlo questa volta, a padroneggiarlo, elaborarlo e trasformarlo. E l'uomo non può che delegarle il compito, accettando di svestire il ruolo di signore assoluto dello sguardo, del pensiero e della creazione.
Se il sublime moderno agiva sul contenuto lasciando intatte le forme e il sublime postmoderno dissolveva sia l'uno che le altre tenendo però più o meno fermo il ruolo del soggetto creatore, il sublime contemporaneo consiste in questa radicale ridefinizione dell'autore che non contempla la preminenza assoluta della componente umana.
Il sublime dei nostri giorni è l'abbandono di ogni posizione di sicurezza e l'attraversamento dell'uncanny valley, l'esperienza conturbante di un nuovo soggetto non umano che ci affianca in attività che finora erano state di nostra esclusiva competenza. Tale sublime difficilmente potrà ancora risolversi nell'autocelebrazione del soggetto umano (con tutte le implicazioni antropologiche e politiche di tale soggetto astratto, che storicamente lo hanno connotato come maschio bianco occidentale), segnando il tramonto probabilmente definitivo dell'antropocentrismo su cui si è fondata la nostra modernità.
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