domenica 15 ottobre 2023

L'inibizione creatrice. Intelligenza artificiale e creatività

Immagine generata da DALL E 3 tramite Bing Image Creator


La modalità umana di pensare, di agire, di produrre, anche creativamente, è caratterizzata - ormai lo sappiamo bene - da un certo grado di automaticità, basata su schemi e stereotipi che ci consentono di adattarci all'ambiente e di sopravvivere. Purtroppo questa tendenza ad affidarci agli automatismi è anche responsabile di molti errori sistematici che compiamo nello svolgere compiti, azioni, ragionamenti, chiamati "distorsioni cognitive". L'uso di scorciatoie, definite "euristiche del giudizio", ci permettono di raggiungere decisioni e conclusioni spesso in modo rapido ed efficace, consentendoci di risparmiare notevole energia, ma al prezzo di frequenti errori e fallimenti, oltreché cristallizzarci in modalità operative e in punti di vista irriflessi e rigidi, e questo anche in campo creativo.

Alcuni esperti, come lo psicologo israeliano Daniel Kahneman (vincitore nel 2002 del premio Nobel per l'Economia) e il pedagogo francese Olivier Houdé sottolineano l'importanza di limitare le scorciatoie superficiali di giudizio. Houdé ha sviluppato il concetto di 'resistenza cognitiva', che consiste in un processo positivo di allenamento della capacità di "inibizione" in grado di riconoscere e bloccare automatismi inefficaci. 

Nel suo libro L'inibizione creatrice, Alain Berthoz si inserisce in questo dibattito, presentando l'inibizione come processo creativo capace di arginare il caos delle informazioni e degli stimoli dando origine ai meccanismi di scelta e di decisione e alla creatività.

Pier Cesare Rivoltella, in un intervento alla Casa della Cultura di Milano di qualche mese fa sul tema del rapporto tra autorialità e intelligenza artificiale, ha ripreso il principio dell'inibizione creatrice. Se l'umano ragiona e agisce secondo automatismi e stereotipi, che si sedimentano e non ci rendono liberi di immaginare diversamente, allora l'intelligenza artificiale, in quanto alterità agente, potrebbe diventare quello stimolo inibitorio in grado di retroagire sull'artista imponendogli vincoli e suggerendogli traiettorie creative impensate, funzionando come catalizzatore e amplificatore del suo processo di inibizione creativa degli schemi ricorrenti, aprendogli nuovi spazi di immaginazione.

In tal modo, le reti neurali generative, che attingono e rielaborano in modi spesso oscuri e non del tutto controllabili il patrimonio mondiale delle produzioni creative dell'umanità, proprio in quanto non pienamente assoggettabili all'intenzionalità dell'autore e in quanto dotate di una certa autonomia, sarebbero non solo dei collaboratori e dei co-autori, ma anche degli "inibitori", cioè dei limitatori di quella autorialità, inevitabilmente caratterizzata da stereotipi e schemi consolidati. In tal modo l'inibizione creatrice offerta da questi agenti potrebbe aiutare ad emanciparsi da quelli e ad aprire nuove possibilità mai esplorate, tracciando percorsi divergenti.

D'altra parte non è nuova l'esigenza avvertita più volte nel mondo dell'arte da parte dell'autore di occultarsi, di eclissarsi, di perdere il controllo sulla produzione proprio per "inibire" e arginare la propria intenzionalità e sfuggire ai propri schemi consolidati, cercando nuove aperture, ma anche per minare dall'interno il primato che la modernità ha attribuito al soggetto, in quanto dominus assoluto del processo creativo. Un'esigenza, ad esempio, molto avvertita dalle nuove avanguardie negli anni della contestazione e della crisi dell'opera d'arte in quanto oggetto compiuto, ma anche negli anni Novanta. Andava in questa direzione - tra le varie proposte - l'arte relazionale teorizzata da Bourriaud. 

Dopo aver definito l'opera d'arte un "oggetto relazionale", "luogo geometrico di una negoziazione", Bourriaud continuava: "questa storia sembra esser giunta oggi a una nuova svolta: dopo l'ambito delle relazioni fra l'umanità e la divinità, poi fra l'umanità e l'oggetto, la pratica artistica si concentra ormai sulla sfera delle relazioni interpersonali" (N. Bourriaud, Estetica relazionale). Siamo per caso ad una nuova svolta, in cui la relazione si definisce tra l'umanità e una nuova specie di agente artificiale? 

Il bisogno dell'apporto di una attività autonoma, di un'alterità collaborante e, nello stesso tempo, inibitoria dell'intenzionalità consapevole e del controllo autoriale si è espressa in molti altri modi, cercando tra agenti non solo artificiali, ma anche biologici (è il caso di chi si serve dell'azione di insetti o altri animali, come Henri Duprat, o di agenti atmosferici), oppure si affida al caso, all'introduzione di processi stocastici o di schemi automatici predefiniti, per far irrompere l'inaspettato, cogliere il non-visto e scardinare i condizionamenti visivi continuamente all'opera.

Questa allora la sfida: possono dei modelli generativi, addestrati tramite le produzioni del passato, e dunque imbevuti anch'essi di bias, stereotipi e schemi tipici dell'umano, far forza sulla loro elaborazione macchinica, non umana per agire come autentica "alterità", come forma "altra" di ragionamento e di immaginazione, in grado di inibire e arginare consuetudini, abitudini dello sguardo, cliché e tradizioni visive consolidate? Può un automatismo generativo dare scacco agli automatismi evolutivi? Staremo a vedere.

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