In Davanti all'immagine (Mimesis 2016) Didi-Huberman sviluppa il concetto di sintomo riferito alla fruizione e allo studio dell'arte.
Egli afferma che l'immagine occidentale è agitata da un lavoro che oscilla tra due opposte tensioni: la visione da una parte e la lacerazione dall'altra, l'interpretazione dei significati e la scoperta dell'inintelligibile. La lettura e il trauma.
L'immagine contiene insomma, al contempo, simboli e sintomi.
Didi-Huberman, riprendendo Freud, introduce la nozione di sintomo (symptoma, “evenienza, circostanza” da syn- “insieme” e -piptein “cadere”) per intendere ciò che appunto 'si sottrae' alla decifrazione simbolico-semantica, ciò che non è traducibile, che non è riconducibile totalmente a un significato consolidato.
Il sintomo è crisi, lacerazione, sprofondamento. E ciò che non ci parla secondo un codice iconografico convenzionale: esso è “grido o mutismo nell’immagine supposta parlante”.
Si avvicina, come concetto, al punctum di Barthes anche se, secondo Didi-Huberman, non si può identificare con esso.
Vedere un'immagine, dunque, significa mettere in dialogo simboli e sintomi, senso e non-senso, metafore e metamorfosi o per dirla alla Warburg, “astra” e “monstra”.
La nozione di sintomo innesca un cambiamento radicale nel nostro modo di guardare le immagini. Se gli storici dell'arte hanno da sempre voluto cercare una corrispondenza perfetta tra i dettagli dell'opera e i loro significati, supposti fissi e immutabili, unità indissolubili di senso dalla cui somma emerge il significato dell’opera, il nuovo approccio accoglie invece la potenza d'urto delle immagini, la loro capacità di apertura a un senso che è sempre e solo instabile e provvisorio.
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